Terapie espressive: si può davvero curare con l’arte?

Quando le parole non sono sufficienti, l'arte può essere la soluzione terapeutica più efficace

Terapie espressive: si può davvero curare con l’arte?

Quello delle terapie espressive (arteterapia, danzaterapia, drammaterapia e altre) è un mondo vario e talvolta controverso. Eppure le loro potenzialità terapeutiche sono importanti, soprattutto quando i problemi e i traumi non sono accessibili alla parola.

Nel panorama attuale delle artiterapie, è possibile trovare corsi di terapie espressive per qualunque interesse, bisogno e portafoglio, sia destinati ai pazienti (cioè a chi vuole usufruirne come metodo di cura), sia agli specialisti (cioè a chi vuole formarsi come arteterapeuta). Purtroppo basta guardarsi intorno per rendersi conto come, in un campo poco regolamentato come quello delle terapie espressive, sia frequente offrire poca professionalità in cambio di un “business’” redditizio.

Quando sono utili le terapie espressive

L’arteterapia, se praticata da un professionista qualificato, comprende in realtà vere e proprie tecniche e metodi  di intervento clinico sul disagio psichico. L’arteterapeuta aiuta il paziente non, semplicemente,  a “fare arte o a dipingere”, ma a lavorare intensamente sul contenuto emotivo delle immagini da lui stesso prodotte.
Quando andiamo dallo psicologo, il terapeuta chiede al paziente di narrare la propria storia. Questa narrazione restituisce al paziente un senso di coerenza e di coesione. Vi sono però persone che non riescono facilmente a rispondere alle domande del clinico: parlare risulta loro difficile, si trovano come bloccati, non riescono a trasmettere l’intensità emotiva di quello che stanno vivendo.
Nelle terapie espressive ciò che viene interdetto alla parola può essere espresso per mezzo del disegno,  oppure – come accade nella danzaterapia– sotto forma di movimento corporeo.

Nel bambino…

Come già  Sigmund Freud fece notare a proposito dei pittogrammi degli antichi Egizi in Saggi dell’arte e della letteratura (1910), “il legame tra narrazione e immagine è un intreccio molto antico e profondo” che ancora oggi, curiosamente, ritroviamo nelle tappe dello sviluppo psichico del bambino.
Verso il primo anno e mezzo di vita, il bambino comincia a tracciare scarabocchi. Lo scarabocchio, in arteterapia, è una forma embrionale di proto-pensiero; un processo psichico che non illustra ancora una storia, che non ha un significato apparente ma che gli permette di organizzare il cosiddetto “pensiero sequenziale” (causa-effetto) composto di gesti, tracce e movimenti che diventeranno, in seguito, punti, linee, spirali, fino ad arrivare a cerchi e diagrammi complessi (i mandala) e finalmente alla  figura umana completa, con la nascita del pensiero simbolico, verso i quattro anni di età.
L’espressione artistica aiuta i bambini a sviluppare il linguaggio e a impadronirsi di esso, mentre la sperimentazione dei materiali permette loro di sviluppare la coscienza di sé. Ecco perché per i bambini le terapie espressive possono avere un ruolo importante: viene infatti utilizzata nella cura di differenti patologie tra cui i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e l’autismo, ma anche nella gestione dei traumi di vario genere, offrendo nuovi modi di comunicazione e di espressione del disagio.

…e nell’adulto

All’adulto, invece, le terapie espressive offrono un percorso per così dire all’inverso (dalle parole alle emozioni e dalle emozioni alle parole), conducendo il paziente al di là delle parole stesse: quando la persona non è più in grado di esprimere le emozioni attraverso il linguaggio, l’arteterapeuta propone e valorizza altri canali comunicativi sollecitando il pensiero divergente, potenziando le capacità creative, e interpretando il materiale artistico sulla base della propria professionalità, competenza e sensibilità, orientando così il paziente in un vero e proprio percorso di cura per mezzo delle terapie espressive.

Che cosa dice la scienza

Pur non essendoci ancora molta letteratura scientifica in materia, il potere dell’arteterapia è indirettamente confermato dalle neuroscienze. Daniel Siegel, noto neuroscienziato californiano pioniere degli studi sulla mente relazionale, sostiene che la relazione (compresa quella terapeutica) possa essere trasformativa, producendo un cambiamento nel paziente che è provato anche a livello cerebrale: grazie alla plasticità neurale, infatti, si formano nuove connessioni cerebrali. Come scrive Siegel in Mindfulness e cervello, “lo studio del cervello può aiutarci a individuare i meccanismi delle forme di sintonizzazione empatica, la quale favorisce miglioramenti delle funzioni immunitarie, un senso di benessere e un incremento delle nostre capacità di stabilire e mantenere relazioni personali soddisfacenti”. L’arteterapia, servendosi del linguaggio diretto dell’immagine, apre una finestra sui problemi e sulle proprie esperienze, fornendo la possibilità di esplorare in modo diverso i nostri pensieri, le fantasie e i nostri sentimenti. Attraverso le terapie espressive, quindi, questo processo trasformativo diventa, in un certo senso, visibile e “toccabile con mano” nel manufatto artistico, ma soprattutto viene condiviso empaticamente all’interno della relazione terapeutica.
Il medium artistico, inoltre, è un ponte che permette di ritornare alle modalità sensoriali dell’infanzia (la manipolazione, l’uso dei colori, il collage, la pittura sull’acqua o “suminagashi”), permettendo di attivare memorie episodiche e implicite collegate ai primi anni di vita ma anche a problematiche attuali di cui non si è del tutto consapevoli, aprendo una finestra sull’inconscio.

Un processo di integrazione

Le terapie espressive come l’arteterapia, la danzaterapia, la sandplay therapy e la drammaterapia sono solo alcuni dei molteplici strumenti di cui l’essere umano si può servire per scandagliare la propria interiorità e infine esprimerla attraverso “il fare concreto attraverso il corpo, la gestualità e la tecnica”. Sebbene in questo campo ci siano molte proposte dalla base scientifica debole o nulla, bisogna riconoscere che la creatività individuale ha dato origine a interessanti sviluppi di intervento terapeutico, permettendo un continuo dialogo tra diverse discipline convergenti verso lo studio del potenziale umano.     
Molti professionisti che si formano in questo settore hanno più volte chiarito di non voler più contribuire all’esistenza di un individuo “schizofrenico”, scisso fra la parola e l’espressione delle azioni/emozioni, tra dimensione esterna e mondo interiore. L’obiettivo dell’arteterapia è, in un certo senso, quello di riconoscere il proprio esistere in entrambi, e di viverne interamente tutte le potenzialità, senza cadere in una visione dicotomica e giudicante.