Quando il terapeuta infrange le regole del setting

Violazione del setting psicoterapeutico: quando e perché avviene? E come evitarla?

Per specialisti
Quando il terapeuta infrange le regole del setting

Che cosa succede quando lo psicoterapeuta infrange le regole della psicoterapia? E perché lo fa? Glen Gabbard, noto psichiatra americano, analizzando centinaia di casi clinici ha messo in luce le violazioni del setting più frequenti, cercandone le ragioni e proponendo possibili soluzioni.


Sabina Spielrein, psicoanalista russa, è nota per essere stata una delle prime donne a esercitare questa professione. Ma ancora più famosa l’ha resa la relazione amorosa proibita con Carl Gustav Jung, allievo di Sigmund Freud, che al tempo era il suo psicoterapeuta. La vicenda è stata raccontata anche in due noti film: Prendimi l’anima e A dangerous method.
Una situazione analoga è stata narrata nella serie televisiva In treatment: uno psicoterapeuta di mezza età si ritrova a condurre una psicoterapia con una donna molto seducente che si innamora di lui; si troverà quindi ad affrontare un vicolo cieco umano e professionale, dal quale uscire sarà complicato.
Il caso dello psicoterapeuta che si innamora di una paziente è l’esempio più clamoroso di quella che viene chiamata violazione del setting, ovvero l’infrazione delle norme che regolano il rapporto psicoterapeutico. Nel suo libro Violazioni del setting (di cui è da poco uscita la seconda edizione, edita da Raffaello Cortina), Glen Gabbard, psichiatra e psicoanalista di fama internazionale, passa in rassegna più di 300 casi e analizza le principali cause che portano a evadere le regole in psicoterapia. E, a più di cento anni di distanza dalla fondazione della psicoanalisi, riprende gli interrogativi dei fondatori della psicoterapia. Chi è lo psicoterapeuta? La psicoterapia funziona sempre? Se non funziona, che cosa è andato storto?

Anche i terapeuti sbagliano

In effetti, non sono altro che esseri umani” è la conclusione di Gabbard, che analizza il sentiero percorso fino ad oggi dalla psicoanalisi. Gli psicoterapeuti non custodiscono verità assolute e sono talvolta preda di dinamiche interiori che portano le terapie a naufragare o addirittura a essere dannose. I terapeuti sono per l’appunto esseri umani e in quanto tali sperimentano una vasta gamma di emozioni, spesso molto intense. A volte provano eccitazione, altre si disperano, o ancora sentono frustrazione o odiano i loro pazienti. Non sempre le scuole di specializzazione forniscono una preparazione umana ed etica sufficiente a guidare il terapeuta nella sua professione e, ad oggi, gli strumenti per monitorare i professionisti e le loro deviazioni dal codice deontologico sono spesso insufficienti.
Rivolgendo lo sguardo alla formazione degli psicoterapeuti e ai meccanismi più frequenti di autoinganno, Gabbard individua le cause più frequenti di violazione dei confini e le possibili soluzioni ai problemi posti dalla psicoterapia moderna, a partire dalla tutela della privacy con l’avvento di nuove tecnologie che la compromettono (whatsapp, mail, facebook, google) fino ai rapporti possibili dopo la fine della terapia.

Che cos’è il setting?

Il setting è insieme un luogo fisico e uno spazio mentale. Lo spazio fisico è rappresentato dalla stanza in cui si svolge la terapia: questa contiene, in modo piuttosto variabile a seconda delle convinzioni del terapeuta, due poltrone, o una poltrona e un lettino, un orologio a muro e pochi altri elementi; lo spazio fisico include anche l’orario specifico e il giorno specifico della terapia. Poi c’è lo spazio mentale: questo è rappresentato soprattutto dalla disponibilità e motivazione reciproca dei partecipanti alla terapia a intraprendere questo percorso e a riflettere su quanto emerge di volta in volta dai colloqui.
Il setting è definito dalla presenza di diverse regole: il rispetto di orari e pagamenti, la natura dei contatti al di fuori delle sedute, la confidenzialità che il terapeuta deve garantire e il fatto che si tratti di una relazione asimmetrica (ovvero, il ruolo del terapeuta è quello di aiutare e non può per esempio parlare dei suoi problemi con il paziente).
Il setting è quindi la cornice della terapia. Altra metafora utilizzata da Gabbard è quella del ring. Il ring è delimitato dalle corde che ne tracciano il perimetro; queste però non sono rigide, bensì flessibili. Anche il setting terapeutico può essere considerato in modo simile: uno spazio, fisico e mentale, delimitato da regole, in cui i partecipanti possano “giocare” sentendosi al sicuro.
La flessibilità permette infatti di coniugare l’esigenza di un contesto strutturato e regolamentato con la possibilità – per chi sceglie di intraprendere un percorso terapeutico – di sperimentare ed esprimere forti emozioni senza rischiare di distruggere la relazione, senza sentirsi giudicato, e anzi con l’opportunità di essere accolto e di crescere. Per esempio, il paziente ha la possibilità di esprimere rabbia e aggressività nei confronti del terapeuta, ma quest’ultimo non può reagire contrattaccando. Quello che può e deve fare, invece, è accogliere questi vissuti e aiutare l’altro a comprenderne il significato e l’origine.

Che cos’è una violazione del setting?

Per prima cosa bisogna specificare che esiste una differenza tra violazione e valicamento dei confini terapeutici. Valicare significa superare in modo occasionale i limiti imposti dalla natura della relazione psicoterapeutica. Per esempio, in un momento di commozione per la morte di un proprio caro, il paziente abbraccia il terapeuta. Nella seduta successiva, il terapeuta esplora con lui i significati di quel gesto e spiega che quanto è accaduto non può ripetersi, perché la psicoanalisi prevede l’assenza di contatto fisico.
Violare implica, invece, un superamento continuativo e ripetitivo delle regole, che non viene mai discusso e diventa dannoso per la terapia. Un esempio estremo di violazione è appunto la relazione sessuale terapista-analizzando.
Questo perché una psicoterapia è curativa fintanto che rimane uno spazio simbolico, in cui ogni azione e comunicazione ha un significato immediato ma anche uno più simbolico. Per esempio, il terapeuta viene visto come una persona nel “qui e ora” della terapia ma anche come se fosse il genitore frustrante avuto durante l’infanzia (questa attribuzione di significato alla persona del terapeuta viene chiamata transfert). In sostanza, nel contesto terapeutico nasce una relazione che è sia nuova, cioè con caratteristiche diverse da ogni altra relazione, sia ricca di simbolismi e ripetizioni del passato, che si possono vedere e analizzare. Secondo Gabbard, il collasso di questa modalità sarebbe all’origine delle violazioni del setting. Quando il terapeuta dimentica la dimensione metaforica della relazione, può comportarsi in modo dannoso e non professionale. Per esempio, l’amore e il desiderio erotico verso il proprio analista sono emozioni frequenti, spesso legate al transfert. Ma se il terapeuta approfitta di questi sentimenti per ottenere una gratificazione personale, per esempio a livello sessuale, diventa dannoso. Sta compiendo una violazione del setting.
Chi intraprende una terapia può sviluppare un forte desiderio nei confronti del proprio terapeuta, può pensare che non ci sia niente di male in questo innamoramento e può ricercare una soddisfazione anche sessuale dei propri bisogni. Tuttavia, la storia della psicoterapia – e il buon senso – hanno dimostrato che quando un terapeuta cede e soddisfa tali pulsioni, la relazione si rivela assai disfunzionale, provocando nel paziente un trauma e la sensazione di essere stato sfruttato. Così è accaduto anche a Sabina Spielrein dopo la relazione con Jung.

Il prima, il durante e il dopo

Quanto terapeuta e paziente si incontrano, per entrambi esiste un prima (ciò che erano prima di incontrarsi, il passato che li ha portati a essere quel che sono), un durante (ciò che divengono nell’incontro) e un dopo (ciò che divengono lasciandosi alle spalle la loro relazione).
La terapia dipende soprattutto da chi erano i partecipanti prima di incontrarsi. Il terapeuta ha il dovere di non lasciare che i suoi problemi e il suo passato vadano a intaccare l’integrità della terapia. Deve quindi conoscere se stesso per far sì che i suoi demoni non lo padroneggino.
Ma come è possibile evitare di danneggiare una persona che ci affida il proprio equilibrio mentale? Gabbard propone ai terapeuti di riflettere su se stessi e sul proprio operato, dubitando costantemente delle proprie intenzioni e dell’etica delle proprie azioni. I terapeuti tradiscono il paziente, la propria professione e se stessi soprattutto quando non sono consapevoli della propria oscurità.

Quale soluzione?

Poiché gli esseri umani, e quindi anche gli psicoterapeuti, sono molto abili a ingannare se stessi (cioè ad autoconvincersi di fare il bene dell’altro anche quando non è così), i terapeuti dovrebbero sempre cercare un supporto esterno, per esempio ricorrere all’aiuto di un collega o un supervisore in grado di dare loro un parere obiettivo sulla correttezza delle proprie azioni. Le possibili soluzioni in grado di limitare i superamenti malevoli del setting sono infatti la supervisione e la consultazione.
In tutto ciò, anche le istituzioni e gli enti di formazione dei terapeuti hanno una responsabilità. Quando un terapeuta commette una violazione, in genere la maggior parte della comunità degli psicologi tende a prendere le distanze, come se fosse un problema che riguarda solo i meno “integri”. L’atteggiamento giusto, secondo Gabbard, consisterebbe invece nel riconoscere che in ognuno coesistono sia motivazioni e istinti nobili sia pensieri riprovevoli, bassi e malsani. Ciò dovrebbe portare a cercare in se stessi gli aspetti che possono rendere dannoso il proprio operato.
La soluzione principale proposta dall’autore è una lotta all’isolamento professionale. La psicoterapia è un lavoro in grado di regalare, in egual misura, grandi soddisfazioni e potenti frustrazioni. Gli psicoterapeuti e psicoanalisti possono essere pervasi da senso di impotenza ma anche di onnipotenza. Questa professione implica il dover affrontare, spesso da soli, dubbi e inquietudini profonde, desideri e spinte difficili da controllare. Fare lo psicoterapeuta assomiglia, spesso, al tentativo di raggiungere una meta che è stata posta al di là di un lungo e affilato filo di rasoio.

A chi è rivolto il libro

È rivolto soprattutto a psicoterapeuti e psicoanalisti esperti. I terapeuti che hanno già qualche anno di pratica alle spalle possono ritrovare facilmente se stessi in queste pagine e riuscire a dare un nome a diversi dubbi, angosce e interrogativi deontologici. Il linguaggio utilizzato è quello psicodinamico/psicoanalitico, quindi può risultare di faticosa lettura per chi ha scelto un orientamento diverso, per esempio cognitivo-comportamentale. Tuttavia, le implicazioni professionali sono assolute e trasversali a ogni orientamento, quindi è un libro che tutti dovrebbero almeno provare ad approcciare.
Anche gli allievi delle scuole di specializzazione possono trarre molto giovamento dagli insegnamenti di Gabbard. Possono infatti cominciare a familiarizzare con dinamiche estremamente complesse che si troveranno ad affrontare nella stanza di analisi. Sapere a che cosa si va incontro è sempre molto utile e questo vale in misura esponenziale nell’ambito delle professioni sanitarie.
Violazioni del setting non è un libro divulgativo. Il lettore che ha poca familiarità con il linguaggio psicologico può trovare difficoltà nell’affrontarlo.

Perché leggerlo

Glen Gabbard è un eminente psichiatra americano, che ha scritto molto sulla psiche umana e sulla psicoterapia. È autore di testi fondamentali per la formazione in psicoterapia, quali Psichiatria Psicodinamica e Introduzione alla Psicoterapia Psicodinamica.
Oltre a questo è uno psicoterapeuta e psicoanalista esperto, che ha aiutato molti terapeuti autori di violazioni del setting più o meno gravi o che sono stati sul punto di violare i confini. Nel libro sono riportati moltissimi esempi di violazioni e di situazioni complesse, che vengono analizzate in profondità e con un’onestà e competenza professionale unica. Gabbard riporta anche un suo caso in cui si è trovato personalmente in difficoltà, a causa di impulsi sessuali verso una sua paziente.
Questo libro aiuta perciò ad avere una visione realistica della psicoterapia e degli psicoterapeuti. Aiuta gli psicoterapeuti a riflettere sul perché abbiano scelto questa professione, su quali siano i propri demoni nascosti e su come fare a evitare che le proprie parti peggiori abbiano il sopravvento sulla capacità di essere terapeutici. Gabbard riporta scritti di Freud, Jung e altri maestri della psicoanalisi e mostra la loro nudità. Freud e Jung, oggi pionieri e semi-divinità, erano esseri umani, e in quanto tali avevano le loro debolezze e incertezze e commettevano errori anche gravi. Vengono per esempio riportati scritti in cui emerge che Freud accettava doni in denaro dai pazienti e a volte suggeriva egli stesso di operare donazioni a favore della sua società.
Per i terapeuti, leggere “Violazioni del setting” vuol dire familiarizzare con il proprio egoismo, il proprio narcisismo e la propria miseria. La natura complessa della relazione terapeutica può risvegliare istinti e desideri inconsci che devono essere visti, compresi e limitati. La psicoterapia, a causa di questi limiti, contiene una componente di imperfezione. È ancora una disciplina scientifica piuttosto giovane e le regole sono eterogenee e diversificate. Gabbard propone anche una sorta di riforma della professione. Le regole della formazione e della successiva condotta professionale andrebbero riviste e dovrebbero essere maggiormente condivise tra i diversi orientamenti, per evitare che i professionisti si trovino disorientati, e che in tale confusione qualcuno possa cedere a se stesso o approfittare del cliente.
La nuova edizione è stata aggiornata: sono stati aggiunti alcuni casi clinici (a volte clamorosi) e studi empirici recenti. Rispetto alla prima edizione (1999) si è assistito a una rivoluzione, quella digitale, che ha avuto importanti implicazioni per la relazione terapeutica, dalla ricerca online dello psicoterapeuta alle comunicazioni via mail e via telefono. L’impatto delle nuove tecnologie sulla psicoterapia è ancora un campo inesplorato, su cui i maestri della psicoanalisi non possono aiutare. Chissà cosa penserebbe Freud dell’uso di emoticon su whatsapp, o delle e-mail a contenuto erotico dei/delle proprie pazienti…