Psichiatria

Cos’è il triangolo di Karpman?

Vittima, Persecutore e Salvatore, questi i ruoli che il triangolo di Karpman assegna ai componenti dei nuclei familiari disfunzionali. Con l'obiettivo di risolverli e restituire funzionalità alla famiglia.

Cos’è il triangolo di Karpman?

Il triangolo di Karpman è uno strumento che permette di comprendere e risolvere dinamiche familiari non funzionali.

Questo strumento arriva dall’analisi transazionale, e viene chiamato anche triangolo drammatico. Il modello serve a illuminare le dinamiche disfunzionali all’interno delle relazioni umane, focalizzando e raggruppando gli individui in tre ruoli principali:

  • vittima
  • persecutore
  • salvatore

Attraverso questa mappatura, il terapeuta può far emergere responsabilità e rapporti di potere in un contesto familiare teso e conflittuale. E, partendo da questa base, potrà provare a intervenire per risolvere.

Triangolo di Karpman, che cos’è?

Secondo Stephen Karpman, analista transazionale americano, esiste un modello in grado di spiegare dinamiche familiari disfunzionali: il triangolo drammatico.

Karpman ritiene che in molte interazioni le persone rispettino una sorta di schema, in cui recitano la propria parte come se seguissero un copione. Questo schema è rappresentato da un triangolo in cui a ogni vertice corrisponde un ruolo. I tre ruoli sono: persecutore, salvatore, vittima.

Secondo Karpman, ognuna di queste posizioni permetterebbe di soddisfare alcuni bisogni egoistici:

  • Vittima (schema “Povero me!”). Ottiene attenzione, perché sia Persecutore che Salvatore si concentrano su di lei. Inoltre, il ruolo di vittima soddisfa il bisogno di dipendenza e permette di evitare l’assunzione di responsabilità. La vittima non è sempre realmente una vittima ma agisce come tale. I suoi sentimenti hanno a che fare con il sentirsi oppresso, accusato, senza speranza. Questa persona appare incapace di prendere decisioni, di risolvere problemi e trovare soluzioni
  • Persecutore (schema “Tutta colpa tua!”). È controllante, critico, oppressivo e giudicante. Si sente superiore e bullizza la vittima. Ma così facendo evita i propri sentimenti e le proprie paure
  • Salvatore (schema “Ti aiuto io!”). Il salvatore accorre in aiuto della vittima. Ciò gli permette di mettersi in buona luce e sentirsi moralmente superiore, giusto, ma anche di evitare i propri problemi e sentimenti. Questo personaggio si sente frustrato e in colpa se non riesce a salvare gli altri. Le sue azioni hanno comunque effetti negativi, perché permettono alla Vittima di rimanere dipendente e al Persecutore di continuare ad attaccare.

Ruoli che possono cambiare

Dal punto di vista comunicativo, i legami formati nel contesto del triangolo di Karpman possono creare quelli che comunemente sono definiti giochi pericolosi. Questi giochi implicano una forma di comunicazione distorta che mira a stabilire o eliminare uno dei ruoli drammatici coinvolti.

Ad esempio, il Salvatore si stanca di proteggere la Vittima e finisce per assumere il ruolo del Persecutore. La Vittima, esausta e insoddisfatta di essere oggetto di soprusi, reagisce prendendosela con il Persecutore o anche con il Salvatore stesso. Interessante notare che il Persecutore ha l’opportunità di redimersi e trasformarsi nel Salvatore, cambiando così il dinamismo della situazione.

Questi giochi, se non riconosciuti e affrontati, possono portare a relazioni dannose e disfunzionali.

Un esempio di triangolo di Karpman

La famiglia P è una tranquilla famiglia milanese. I due figli Lucia e Giacomo frequentano il liceo e i genitori sono sposati da diversi anni. Nonostante l’apparente serenità che la famiglia comunica all’esterno, i conflitti e le tensioni non mancano.

Le liti si ripetono sempre uguali, con lo stesso schema di alleanze e accuse, ma soprattutto con i soliti ruoli. Claudia, la mamma, rimprovera spesso Lucia di essere poco di aiuto in casa, additandola come disordinata e pigra. Roberto, il papà, cerca di intervenire per placare la lite, ma viene a sua volta accusato da entrambe le donne di parteggiare per l’altra. L’irritazione crescente lo spinge ad allontanarsi: accusa madre e figlia di essere immature ed esce di casa sbattendo la porta e chiudendosi in sé stesso.

In tutto questo, Giacomo, il fratello minore, si sente frustrato dalla situazione e comincia a comportarsi in modo ostile con tutta la famiglia, oscillando tra l’aggressività e la voglia di mettere a posto le cose.

Come uscire dal triangolo di Karpman?

La diffusione di questi schemi dimostra quanto essi siano radicati e trasversali e di quanto sia difficile, a volte, rendersene conto.

Se non si è consapevoli di questi ruoli, degli schemi e dei copioni che vengono recitati, questi continueranno a esercitare una forza gravitazionale troppo forte. Sfuggirne diventa impossibile e il condizionamento negativo andrà avanti.

Il primo passo è riconoscere lo schema, il secondo, il più difficile, è provare a uscirne. Gli schemi rappresentano qualcosa di familiare, di noto, e abbandonarli può farci sentire insicuri e inadeguati, anche quando questi sono dannosi. Tuttavia, provare a evadere da questi circoli viziosi può avvicinarci a una maggiore serenità.

Ecco qualche suggerimento:

  • fermarsi e osservare, focalizzandosi su di sé e i propri sentimenti. Si dovrebbe smettere di scappare e cominciare, gradualmente, a familiarizzare con il proprio mondo interno
  • lasciare agli altri la responsabilità della propria vita. La rabbia che deriva dai comportamenti dei familiari deve essere affiancata dalla consapevolezza che ognuno decide per la propria vita.
  • intraprendere una psicoterapia, che aiuti a riconoscere questi schemi e a uscirne. Può aiutare a riconoscere l’inizio di un conflitto e a evitare di entrare nella spirale negativa del triangolo drammatico. Un esperto può aiutare a conoscere e approfondire le proprie emozioni, dando supporto nel gestirle.

Come si esce dal ruolo di vittima?

Per uscire dal ruolo di vittima bisogna innanzitutto riconoscere l’auto-vittimizzazione, ottenendo così una visione più obiettiva della propria situazione e del ruolo all’interno del triangolo drammatico. Sbarazzarsi delle maschere indossate, per così dire, nel contesto familiare permette poi di abbracciare la propria autenticità e identità, allontanandosi da questo ruolo passivo. Vanno quindi identificati e contrastati i pensieri autodistruttivi, grazie anche ad un supporto psicoterapeutico, così da interrompere il ciclo di stagnazione cognitiva e dedicarsi all’azione attiva e concreta per rientrare in controllo della propria vita.

Guardare a sé stessi da una prospettiva amorevole e autentica aiuta a utilizzare le risorse interne per proteggere sé stessi e gli altri, essenzialmente contribuendo a una ricostruzione personale e a una trasformazione positiva.

Quando la vittima diventa il carnefice?

La trasformazione della vittima in carnefice, uno degli slittamenti di ruolo che possono verificarsi in un contesto di triangolo drammatico, avviene quando l’individuo precedentemente oppresso o maltrattato, internalizza il dolore e la rabbia accumulati.

Le emozioni represse possono emergere come comportamento aggressivo diretto verso gli altri, riflettendo la propria esperienza di vulnerabilità. La vittima, nel tentativo di recuperare un senso di controllo e potere, può cercare di esercitare dominio sugli altri attraverso intimidazioni, violenze psicologiche o abusi.

Questo cambio di ruolo può essere conseguenza di traumi passati, mancanza di supporto sociale o problemi psicologici non risolti. Il processo di trasformazione da vittima a carnefice evidenzia l’importanza di affrontare le ferite emotive e di cercare supporto psicologico per rompere il ciclo distruttivo e promuovere la propria salute mentale, e la serenità nei rapporti.

Chi soffre di dipendenza affettiva?

Non esiste un tipo specifico di persona che soffre di dipendenza affettiva, ma ci sono alcune caratteristiche comuni che possono essere associate a questa condizione.

Le persone che soffrono di dipendenza affettiva spesso hanno una bassa autostima e una paura intensa dell’abbandono o del rifiuto. Tendono a cercare costantemente l’approvazione e l’affetto dagli altri per sentirsi validi e amati. Questo bisogno costante di conferme esterne può portarli a stabilire relazioni co-dipendenti e a mettere le esigenze degli altri al di sopra delle proprie.