L’abbandono del dualismo tra mente e corpo, insieme alla rivalutazione del secondo in campo psicoterapeutico, ha aperto la strada alla danzaterapia, disciplina che racchiude in sé la storia dell’uomo e della nostra cultura, la quale permette l’allineamento tra esperienze sensoriali ed emotive, e che basa i suoi interventi clinici sulla valorizzazione dell’intelligenza corporea.
Sono stati gli antichi filosofi greci (Socrate, Platone e Aristotele) a gettare le basi della cultura occidentale, e con esse l’idea che mente e corpo siano due cose distinte (il dualismo psiche-soma). In particolare si è messo l’accento sulla capacità della psiche di narrare se stessa e sulla capacità del corpo di “esprimersi”, dal latino ex primere, cioè “premere per manifestarsi all’esterno”. Purtroppo, ancora oggi, mente e corpo vengono considerate due entità disgiunte, prive di integrazione.
Lo psicologo americano Howard Gardner, formulando la sua teoria delle intelligenze multiple, sottolineava come, per la nostra cultura, vi sia un vero e proprio divorzio tra il mentale e il corporeo, associato all’idea che ciò che esprimiamo con il nostro corpo sia un po’ meno privilegiato di ciò che esprimiamo attraverso il linguaggio.
Il corpo in terapia
Che la mente sia più “nobile” del corpo è un concetto diffuso anche in ambito terapeutico. Non è così per i tecnici del corpo come gli psicomotricisti, i fisioterapisti e infine – i meno privilegiati di tutti nella piramide della scientificità – i danzaterapeuti. Non tutti sanno che il danzaterapeuta è una figura riconosciuta e valorizzata nell’ambito clinico e scientifico, ma che tuttavia ogni giorno si scontra con interrogativi di vitale importanza nell’ambito terapeutico: come far parlare il corpo? Come produrre sollievo, rinnovamento e recupero emozionale (emotional relief)? In che modo, infine, il campo aperto dalla danzaterapia e dal movimento corporeo riuscirà, nel corso dell’intervento clinico, a liberare la parole repressa?
Che cos’è la danzaterapia
Come indica l’American Dance Therapy Association, la danzaterapia è l’uso terapeutico del movimento e integra i diversi aspetti emotivi, sociali, cognitivi e fisici dell’individuo. Negli ultimi tempi il senso comune e il pensiero psicologico occidentale hanno abbandonato il dualismo psiche-soma e l’idea che vi sia un primato della mente sul corpo, per avvicinarsi alla consapevolezza che essi armoniosamente si intrecciano e si arricchiscono. Questo ha portato a dare un valore aggiunto alle tecniche terapeutiche corporee, soprattutto in specifiche patologie quali i disturbi alimentari, i cosiddetti “disturbi psicosomatici” ma anche quelli della sfera più ampia dell’identità.
Le origini
Già nell’antica Grecia vi erano artisti che portavano in scena, sotto forma di tragedia e commedia, molte delle nostre condizioni esistenziali rappresentate con grandi capacità introspettive. Per esempio nella tragedia Le supplici di Eschilo, il coro entrava danzando da due passaggi laterali e si configuravano molte delle storie che ancora oggi noi psicoterapeuti ascoltiamo dai nostri pazienti. In altre tragedie venivano narrate l’ostilità e il rancore verso i propri genitori o verso i propri figli, il gusto per la vendetta o il risentimento verso gli amanti, l’umiliazione e l’autodistruzione a seguito di ingiustizie irreparabili e, perfino, scorgiamo nella commedia i primi cenni di ribellione femminile (Aristofane, Le donne in parlamento, 391 a.C.).
La catarsi
Nel teatro antico, il dispositivo attorno a cui ruotava la drammaturgia e che determinava un effetto terapeutico per lo spettatore, che ne traeva benefici attraverso la visione, era la catarsi, definita da Aristotele come una sorta di purificazione emozionale. Leggendo un frammento della sua Poetica, appare chiaro che la catarsi non era un’espressione anarchica delle emozioni, poiché il fine ultimo era l’appagamento, la contentezza, la gratificazione: diremmo oggi, come psicoterapeuti, il superamento dei conflitti.
Come sottolineò il filosofo Friederich Nietzsche nell’opera La nascita della tragedia, il coro che danzava e recitava rappresentava sul palcoscenico “l’intera civiltà umana, e suo era il compito di annunciare la verità dal cuore del mondo”. La danzaterapia si è sviluppata a partire da questi esempi antichi, ma anche da un concetto ancora più ardito: dall’assunto che l’attività motoria del corpo si innesti direttamente sull’inconscio.
Jacob Levi Moreno, padre dello psicodramma e della sociometria, sottolineava come le emozioni, a lungo trattenute e spesso negate, si liberino attraverso l’azione corporea, il pianto, la rabbia o il riso, determinando l’emotional breaking (apertura emozionale). Questo evento è spesso il punto di partenza per l’intervento clinico in danzaterapia, il cui fine (assai arduo) è tentare la ricomposizione dell’orizzonte esistenziale del paziente, poiché nella danza si vive e si esprime quella che è la propria esistenza.
Che cosa accade nel laboratorio di danzaterapia
La danzaterapia è un’esperienza raffinata, estatica e molto complessa. Il sistema corporeo e quello emotivo si allineano ed entrano in contatto profondo “sincronizzandosi”: in questo modo si attivano in noi quelle memorie implicite, dimenticate ed arcaiche, con cui ogni esperienza sensoriale viene immagazzinata.
Il corpo si muove alla ricerca costante di leggerezza, verticalità e sospensione, alle quali poi corrisponde un “ricadere”, nel “qui ed ora” dei propri limiti corporei, obbedendo alla legge di gravità. Questi limiti non sono solo fisici, come nel caso delle disabilità o altre patologie, ma anche emotivi, intellettuali e sensoriali, e possono appartenere a ciascuno di noi, senza alcun criterio di demarcazione tra sani e ammalati.
Scendendo a un livello più tecnico, il vero fattore terapeutico della danzaterapia si verifica, oltre che attraverso l’allineamento degli aspetti corporei ed emotivi, anche attraverso il movimento all’unisono con gli altri danzatori. Questo permette di incanalare gli aspetti emotivi arcaici e rimossi, creando nuove possibilità di movimento, ricostruite poi dal terapeuta nel dialogo attraverso la restituzione dei vissuti.
Ancora una volta il pensiero di Howard Gardner ci ricorda che la natura dell’intelligenza umana è poliedrica, e che la saggezza risiede anche nel corpo: si parla infatti di intelligenza corporeo-cinestetica. Quando l’emozione viene incanalata nel corpo, apre la strada al processo creativo, favorendo un rinnovamento fisico, emotivo, cognitivo e relazionale.