I meccanismi cerebrali degli horror e 3 consigli di lettura

Scopriamo cosa accade nella nostra mente di fronte a racconti e film horror

I meccanismi cerebrali degli horror e 3 consigli di lettura

Da sempre gli horror suscitano emozioni contrastanti: da un lato grande fascino, dall’altro grande paura e angoscia. E se alcuni evitano volentieri il genere, altri invece lo amano profondamente. Vediamo cosa avviene a livello cerebrale quando leggiamo un racconto o guardiamo un film horror. Infine, tre letture a tema consigliate dalla psicologa.

[Attenzione: nelle recensioni sono presenti alcuni spoiler]

Il mondo si divide in chi non sopporta gli horror e chi ne brama l’adrenalina. Il genere horror è in grado di elicitare risposte cerebrali intense che attivano circuiti neurali coinvolti nell’ansia e nella paura. Ma perché gli horror riescono a spaventarci in questo modo? In fondo, le immagini di un film e le parole di un libro non possono farci del male… La risposta è che di fronte agli horror ci comportiamo come se fossimo noi stessi in pericolo. Scopriamo nel dettaglio quali sono i circuiti neurali coinvolti negli horror e come attivarli, con 3 consigli di lettura sul tema.

I meccanismi neurali dell’horror

È oramai assodato come diverse forme di paura inneschino risposte di “attacco o fuga”. In uno studio del 2020, alcuni ricercatori hanno indagato i meccanismi neurali coinvolti nell’insorgenza di due tipi di risposte:

  • paura sostenuta, corrispondente a una forma di vigilanza prolungata di natura anticipatoria;
  • paura acuta, reazioni “attacco o fuga” intese dagli autori come “saltare per lo spavento (jump-scares)”.

37 soggetti posti all’interno di una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI) presero parte alla visione di due film horror: (Insidious e The Conjuring 2). Fu poi valutato il grado di paura dei partecipanti in accordo alle due forme anticipatoria o acuta.

Dai risultati delle scansioni fMRI emerse che chi sperimentava livelli più alti di paura anticipatoria presentava una maggiore attività nella corteccia sensoriale uditiva e visiva e in una piccola porzione del lobulo parietale, dato che sembrerebbe spiegare il bisogno di prestare attenzione ai segnali imminenti di minaccia nell’ambiente. I soggetti che provavano i cosiddetti jump-scares (le risposte di paura acuta), invece, mostravano una maggiore attività cerebrale nelle regioni coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, nella valutazione delle minacce e nel processo decisionale, attività che consentiva una risposta più rapida.

In questa prima analisi il 72 per cento delle persone concordava sul fatto che gli horror di natura psicologica e/o basati su eventi reali fossero, in assoluto, i più spaventosi. Tra gli elementi paurosi, quelli invisibili o impliciti (forze oscure, soprannaturali, sconosciute) sembravano destare una maggiore ansia rispetto a quelli visibili.

Gli autori conclusero che, sebbene paura acuta e sostenuta siano supportate da percorsi neurali distinti, questi sono in un continuo dialogo tra loro durante la visione dei film horror. Pertanto, in situazioni incerte il nostro cervello anticipa le minacce e ci prepara continuamente all’azione. I film, inoltre, sembrano essere mezzi più adatti a sollecitare risposte dal secondo circuito, mentre le risposte caratteristiche del primo circuito possono essere scatenate anche dalla lettura immersiva di un libro. Attraverso la voce narrante dei personaggi, infatti, possiamo immedesimarci in maniera più dettagliata nella vicenda, con una sensazione inquietante di minaccia indefinita che si svela solo gradualmente.

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3 consigli di lettura horror

  1. Un libro che incarna al massimo questo genere di ambiguità, e che rappresenta una vera e propria pietra miliare del genere, è “Il giro di vite”, di Henry James. Una giovane istitutrice viene assunta perché si occupi dell’istruzione di due ragazzini durante il viaggio di lavoro del loro zio/tutore. La giovane rimane favorevolmente impressionata sia dall’affascinante datore di lavoro, giovane e scapolo, sia dalle capacità dei due ragazzi, che sembrano persino troppo amabili per essere veri. Gradualmente, l’inquietudine inizia a salire: la donna infatti sostiene di vedere due persone, un uomo e una donna, che vagano attorno alla casa e che vengono identificati come la defunta governante dei bambini e il suo amante. A quel punto il gioco si fa sottile: la ragazza si convince infatti che i due bambini siano in qualche modo infestati dai defunti, coi quali s’intrattengono in modo perverso. Anche il lettore comincia a domandarsi: ma è proprio vero o è una suggestione della mente della protagonista, per riuscire ad attirare l’attenzione dell’avvenente zio? Quali dolori, quali desideri agitano i fantasmi? Chi è posseduto da chi? Questo libro ha generato varie riletture, da quelle psicoanalitiche a quelle più visionarie, come ad esempio nel film The Others o ‘The Haunting of Bly Manor’. Più moderno, ma giocato su una analoga ambiguità, “Gli amici silenziosi”, di Laura Purcell. Elsie, la protagonista, è incinta  e resta vedova. Nella casa di famiglia del marito, dove si reca con l’idea di poter riposare ed avere il sostegno della sorella di quest’ultimo, trova dei vecchi diari e degli strani quadri di legno. Da quel momento la casa sembra funestata da apparizioni, rumori ed eventi inspiegabili, ma molto è lasciato alla sensibilità del lettore: il fantasma c’era o era nella mente di Elsie?
  2. Un altro libro incentrato su ‘persecutori’ interni è “La Maledizione di Melmoth”, di Sarah Perry. Questo racconto reinterpreta in modo creativo la figura dell’ebreo errante, che qui cambia sesso diventando una delle antiche donne che secondo il vangelo andarono al sepolcro di Gesù Cristo e lo scoprirono vuoto. Melmoth è l’unica a mentire e a sostenere di non aver visto nulla e per questo è condannata a camminare sola e senza sosta per il mondo, fino alla fine dei giorni, senza potersi fermare. La storia inizia a Praga quando Helen, una donna che sembra volersi tenere nascosta da qualche esperienza del passato, incontra l’amico Karel, assai scosso dalla lettura di un vecchio manoscritto che gli è stato affidato. La storia inizia quindi in modo molto classico, ma ben presto imbocca uno sviluppo originale: Melmoth infatti è un mostro che lavora incessantemente sul senso di colpa, da questo nasce e se ne alimenta fino alla morte delle persone che infesta. Effettivamente tutti coloro che Melmoth tormenta hanno eccellenti motivi per sentirsi in colpa, ma il libro mostra in maniera efficace l’aspetto autodistruttivo di questo tipo di pensiero. Agire in modo concreto per il bene e per riparare il male quanto possibile è l’unica cosa che allontana la malvagia Melmoth e le sue tentazioni. Ed è il solo modo in cui il nostro cuore esausto forse potrà trovare riposo, smettendo di vagare senza sosta
  3. Anche l’ultimo libro gioca in modo eccellente sull’aspetto ambiguo del male e si chiama “Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe”, di Grady Hendrix. Nel contesto di un rispettabile quartiere americano, la protagonista, Patricia Campbell, è una casalinga di inizio anni ’90, ha un marito medico poco presente e perennemente a lavoro, due figlie adolescenti e alcune amiche del gruppo di lettura. Tutto sembra scorrere più o meno normalmente fino al giorno in cui un’anziana del vicinato  muore lasciando la casa ad un suo lontano nipote, un uomo avvenente e ambiguo. Da quel momento tutto prende una strana piega. Alcuni bambini del quartiere dove vivono prevalentemente persone di colore, iniziano a deperire e suicidarsi o scomparire e, quando Patricia decide di aiutare la badante della suocera a indagare, le circostanze diventano sempre più inquietanti. Il male sovrannaturale in effetti c’è, ma il vero orrore si annida nella presa di coscienza di Patricia, che si rende rapidamente conto di quanto poco sia cambiato dai tempi in cui i mariti internavano le mogli troppo vivaci, troppo intelligenti o troppo poco accomodanti. E capisce anche che la parola di alcuni (una donna, specie se povera o nera) vale sempre meno di quella di un uomo, anche agli occhi delle persone a cui vogliamo più bene. La vera trappola, che permette la morte seriale di innocenti, è un contesto sociale che cambia solo superficialmente, senza mai trasformarsi davvero. E in questo caso è particolarmente azzeccata l’attenzione su una delle peculiarità meno note dei vampiri: questi non possono entrare se non vengono invitati. E il male è esattamente così, entra dove lo si invita. Sa chi colpire, sa tra chi cercare sponda, sa svanire dopo aver seminato distruzione, alimentato da povertà e diffidenza. L’unico modo per poterlo sconfiggere è, in un finale alla Stephen King, la possibilità di tutti i cosiddetti ‘perdenti’ di allearsi e fidarsi delle proprie risorse.

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