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Mascolinità tossica. Cos’è e come affrontarla?

La mascolinità tossica esaspera gli stereotipi di genere legati al mondo maschile, e risulta pericolosa tanto per l'uomo, portandolo anche alla depressione, quanto per la donna, spesso oggetto di violenza.

Mascolinità tossica. Cos’è e come affrontarla?

La mascolinità tossica, basata sullo stereotipo di genere che vuole l’uomo forte, insensibile, fisicamente forte, può essere la porta attraverso la quale passano atteggiamenti e comportamenti a rischio. Comportamenti che si riscontrano ad esempio nelle relazioni tossiche e segnate dalla violenza psichica e fisica, anche in atteggiamenti misogini e omofobi.

Come può essere definita in modo circostanziato la mascolinità tossica? Quando è stata definita per la prima volta, e quando diventa tossica?

Cos’è la mascolinità tossica?

Si parla di mascolinità tossica quando alcune caratteristiche riconducibili ai ruoli di genere devono essere soddisfatte affinché si sia riconosciuti come veri uomini. Essere un vero uomo significherebbe:

  • non mostrare le proprie emozioni né di essere sensibili
  • non mostrare in alcuna circostanza di avere paura ed essere forte, comunque
  • prendere decisioni in modo risoluto, con una autostima inscalfibile
  • farsi rispettare dalle persone intorno a sé e dalla propria partner.

Un’idea di uomo che esaspera i concetti di virilità e di mascolinità, per come vengono descritti in un’ottica di stereotipi di genere.

Cosa si intende per mascolinità?

La mascolinità è un costrutto sociale e culturale, e può essere definito come la combinazione di attributi, di ruoli e di comportamenti associabili agli uomini.

In termini generici, il concetto di mascolinità è associabile nella cultura occidentale a caratteristiche quali: virilità e forza fisica, indipendenza e capacità di comando, assertività e coraggio.

Per amore di chiarezza va sottolineato come sia tuttora oggetto di studio e di dibattito quanto della mascolinità sia riconducibile a fattori di ordine biologico, di ordine sociale e culturale.

Quando è nato il concetto di mascolinità tossica?

Il termine mascolinità tossica si deve a Shepherd Bliss, psicologo che negli anni ’80 pubblicò un articolo nel Journal of School Psychology coniando il termine e definendolo: “l’insieme dei tratti regressivi, dal punto di vista sociale, usati per favorire il dominio, la svalutazione delle donne, l’omofobia e una violenza priva di ragione”.

In questa definizione di mascolinità tossica, che indica come dovrebbe essere un uomo, rientrano poi i concetti di durezza, ai limiti dell’aggressività, di avversione verso tutto ciò che è concepito come femminile, si pensi al chiedere un aiuto o al mostrare emozione, e di potere, come leva di tipo economico e sociale per ottenere rispetto. Tanto di sé quanto degli altri.

Come capire se è maschilista?

La mascolinità tossica, ma si potrebbe anche dire il machismo, si esprime attraverso una serie di comportamenti che possono determinare conseguenze dannose. Sia per l’uomo che per la donna, come vedremo a breve.

Un individuo maschilista si comporta:

  • senza alcuna connessione emotiva con sé o con la persona che ha di fronte
  • evitando il confronto, che lo metterebbe in discussione, e preferendo esercitare il potere prendendo decisioni anche per la partner
  • con totale incapacità di richiedere aiuto.

Inoltre, il potere che esercita sulla donna viene considerato un diritto, non una libertà che non gli spetterebbe. 

Quali sono le conseguenze della mascolinità tossica?

Le conseguenze di un simile atteggiamento possono comportare un esito negativo per uomini e donne. L’uomo rischia di essere schiacciato dal modello di genere in cui non si riconosce e dal quale fatica a distaccarsi.

Come ripercussione psichica, l’uomo può tendere a chiudersi emotivamente con maggior vigore, e l’incapacità di aiuto può trasformarsi in stati di ansia se non di vera e propria depressione.

Ma è la donna, nella maggior parte delle circostanze, a subire le conseguenze della mascolinità tossica, che è alla base delle relazioni tossiche, e si esprime attraverso episodi di violenza di genere sia psicologica, come testimonia il gaslighting, sia fisica. Tutte circostanze che vedono la donna considerata esclusivamente come oggetto.3

Come intervenire?

Rompere la spirale di violenza risulta difficile e complesso, perché spesso la vittima ha difficoltà nel denunciare la violenza subìta, patisce solitudine e mancanza di supporto. Gli interventi rischiano pertanto di essere tardivi.

Aiuta quindi essere in uno stato di allerta, così da notare ogni comportamento del partner che denoti possesso, mancanza di ascolto, e che risulti essere direttivo, senza alcuna possibilità da parte della donna di poter parlare, dissentire. Tutte forme di possesso che spesso sfociano nel controllo fisico, fino alla violenza esplicita.

Alle prime avvisaglie di comportamento possessivo e controllante sarebbe opportuno rivolgersi al centro antiviolenza più vicino, per comprendere in che modo intervenire, sia dal punto di vista del supporto psicologico, sia dal punto di vista legale, se necessario.