Soffrire è un verbo femminile: introduzione alla lettura

Lo Psicoanalista Angelo D'Onofrio parla del suo ultimo libro sul femminile

Soffrire è un verbo femminile: introduzione alla lettura
Soffrire è un verbo femminile: introduzione alla lettura

L’autore presenta il libro edito da Franco Angeli

Di storie d’amore, anche se l’amore, di cui parlo, non è quello delle favole, dove tutti vivono felici e contenti.

Tutte le storie sono collegate tra loro con fili invisibili, creati dalle assonanze e suggestioni.

È un amore caratterizzato dall’altalena degli stati d’animo, contraddizioni improvvise, anche violente, fra tenerezza e stizza, fra desideri e malinconie. Quindi l’incapacità di una vera relazione, l’implosione degli affetti, l’afasia emozionale, le solitudini.

È una luna di miele che all’improvviso diventa terra straniera. Allora le parole vengono dette più per ferire che per comunicare. Ogni parola diventa un coltello.

Si realizza la situazione sado-masochistica: persecutore-vittima.

Nel testo tutto risuona al femminile, anche se colui che racconta è un uomo.

Provo a prendere per mano il lettore e lo porto all’interno dell’universo femminile.

Le donne sono “scolpite” da un uomo ed io, nell’introduzione mi chiedo quale idea di uomo avrò lasciato in eredità alle mie pazienti.

Domina il lessico femminile, che presenta le sfumature del pensiero delle donne.

Esiste un comune sentire delle donne? O si tratta di un universo variegato?

È possibile riempire la tela di un pensiero femminile di un vocabolario condiviso?

Posso dire che il pensiero femminile è troppo poco ascoltato e talvolta persino sottovalutato.

Sono le donne a promuovere il racconto, a dire le ferite finora taciute, a parlare con coraggio del loro dolore e a mettere in scena la loro fragilità.

C’è chi ha alzato muri attorno ai propri desideri, per evitare ulteriori delusioni.

Chi pensa di esistere per l’altro tende a passare la propria vita negando se stesso: essere ciò che, secondo noi, gli altri ci propongono. Non vivere come vogliono gli altri non è tradirli; non vivere come si vuole è tradire se stessi ed è il tradimento più grande.

Siamo tutti costretti a fare i conti con noi stessi, le nostre paure delle perdite e quel coraggio necessario per rischiare, per affrontare i nostri limiti e provare a superarli.

I maschi, nel libro, sebbene contesi, sembrano figure destinate all’irrilevanza, ma, finché le donne se li contendono, non saranno mai figure irrilevanti.

Le figure maschili sembrano innamorate di donne che lentamente disintegrano: risultano essere come lo scoglio immerso di cattiveria che se ne sta lì, immobile, e aspetta solo l’occasione per spaccare lo scafo.

I maschi risultano egoisti, negligenti, impermeabili ai sentimenti con il corollario immancabile di segreti e bugie.

A parole gli uomini si dichiaravano disposti a trattare le donne alla pari e le donne hanno creduto a queste promesse. È il rigurgito della mala educazione ricevuta in famiglia e stratificata nei secoli.

Oppure c’è l’idea dello scambio di persona: non sei come ti avevo immaginato. Cambiare tutto fuori (negli altri) per non cambiare nulla dentro se stessi.

Se però la ferita è opera dell’altro, quanto c’è anche di nostro nell’emorragia?

Domina l’idea che le bambine siano creature tenere, deboli, inferiori ai Maschi, il cui mondo però è pieno di adulti-bambini, cioè adulti per imitazione. Così la conquista delle donne a volte è animata non dall’amore, ma dalla contabilità: ogni donna allunga la lista delle imprese maschili.

La domanda non è “chi amo veramente?”, ma “chi mi ama veramente? Di chi posso fidarmi?”.

Vivere una relazione è soffrire e godere. Non c’è piacere senza dolore, né dolore senza sofferenza.

La pratica clinica insegna che, laddove è presente un sentimento, prende vita il suo contrario, il risentimento.

In una seduta entriamo dentro una storia, dentro una vita. Io propongo di fare una ricerca sulla crisi, non una soluzione del problema.

Il ritornello di una canzone diceva: se non puoi stare con l’uomo che ami, ama l’uomo col quale stai.

Le donne, di cui scrivo, hanno avuto storie familiari nelle quali il femminile non ha avuto posto: si è spesso trattato di un’identità femminile svalorizzata: madri che non hanno insegnato alle figlie a valorizzarsi come donne e che hanno presentato il mondo femminile come fragile o si sono limitate a parlare della corporeità biologica ed organica, ma è mancata la identificazione che fa sì che anatomia e fisiologia possano diventare persona.

Donne (del libro) inquiete e spente dalla solitudine: inquietudine e solitudine sono prodotti del loro errare e soffrire, cercarsi e sfuggire, ferirsi e curarsi. Stanze chiuse e anime blindate.

 

Angelo D’Onofrio, psicoanalista

 

A questo link è possibile acquistare il libro