Amore e fobia, nella persona che soffre di filofobia, sono due realtà apparentemente inestricabili. L’aver paura di amare può rendere complesso, se non impossibile, lasciarsi andare e perdere il controllo, in modo sano, all’interno del rapporto di coppia.
Il primo passo allora è capire come questa chiusura, che può anche determinare veri e propri sintomi tipici dell’ansia, quali tachicardia e fiato corto, non porta da nessuna parte, e rischia di precludersi una felice vita affettiva. Anche grazie all’aiuto di un terapeuta. Ce ne parla la dottoressa Ilaria Bellavia, psicologa e psicoterapeuta psicodinamica del Santagostino.
Come si definisce la filofobia?
La filofobia si definisce, ad oggi, come l’incapacità per il soggetto di provare sentimenti e stati d’animo inerenti l’amare l’altro da sé. Il termine deriva dal greco filia, che vuole dire amore e fobia, che vuol dire paura.
In sintesi, possiamo dire che questa condizione ha a che fare con la paura di innamorarsi. Può anche riguardare la paura di entrare in una relazione o la paura di non essere in grado di mantenere una relazione affettiva importante. Molte persone, ad esempio, sperimentano talvolta piccole paure di fronte alla possibilità di innamorarsi, con un potenziale partner ad un certo punto della loro vita.
In casi estremi, la filofobia può far sentire le persone isolate, sole, e non amate.
Questa fobia è presente nel DSM?
La filofobia non è una condizione che possiamo rintracciare all’interno del DSM. Un clinico attento e scrupoloso può comunque aiutare la persona ad uscire da questo stato di sofferenza e di immobilità.
Come capire se si soffre di filofobia?
I sintomi più ricorrenti sono diversi per ogni persona. Tuttavia, molte persone con esperienza di filofobia avvertono una mancanza di relazioni affettive intime, si sentono sempre ansiose nelle relazioni e nel coinvolgimento emotivo. In situazioni relazionali si potrebbero verificare:
- battito cardiaco accelerato
- fiato corto
- veri e propri attacchi di panico
- ansia.
Condizioni, queste ultime, che possono includere dolori al petto.
Le persone che hanno casi persistenti o più estremi legati alla filofobia possono avere un aumentato rischio di:
- depressione
- abuso di sostanze
- ideazione suicidaria.
I sintomi della filofobia tendono ad essere automatici, lasciando al malato la sensazione di avere poco o nessun controllo sul modo in cui si sente.
Ciò si traduce spesso nell’uso di comportamenti di evitamento o di sicurezza e nel tentativo di prevenire l’esposizione a quelli che vengono considerati gli eventi scatenanti. Sfortunatamente, i comportamenti di sicurezza tendono a produrre un effetto paradossale e finiscono per rafforzare la fobia e il disagio associato, piuttosto che migliorare le cose.
Da cosa può essere causata la filofobia?
La filofobia può essere il risultato di precedenti esperienze traumatiche che possono essere direttamente o indirettamente collegate all’oggetto o ad una paura situazionale, ma non è sempre così perché le risposte fobiche possono anche essere ereditate come comportamenti appresi dal contesto sociale in cui la persona è cresciuta.
Nel corso del tempo, la filofobia potrebbe essersi normalizzata o accettata come parte della vita di una persona. In tal caso, alcune persone potrebbero per esempio non cercare aiuto per molti anni poiché hanno imparato a conviverci.
In altrettanti casi, tuttavia, la filofobia può peggiorare molto e iniziare a intralciare la vita normale. Ciò è particolarmente vero se i comportamenti di sicurezza e di evitamento sono cresciuti in frequenza e sofisticatezza.
Come si comporta un filofobico?
Il filosofico tende a distorcere la realtà e la inventa in un certo modo sulla base dei propri pensieri. Pensieri che a loro volta sono il risultato delle proprie esperienze passate. E se le esperienze non sono state particolarmente buone, questo trasformerà il presente in una sorta di clone di quel passato, facendolo accadere di nuovo in una forma recidivante.
Il problema non è il presente che stiamo vivendo con un o una partner, ma il futuro che pensiamo di avere se andiamo avanti. In questo senso, la persona che soffre di filofobia pensa troppo, la sua realtà si perde all’interno di una nebbia mentale senza che nulla sia fatto per vivere il rapporto di coppia, per apprezzarlo, studiarlo o goderselo.
Spesso le persone sprecano le loro energie nel pensare eccessivo. È anche vero che, se una persona ha avuto un fallimento in una relazione passata come un divorzio, ciò può essere considerato un fattore scatenante per la filofobia. La filofobia può anche essere il risultato di un’educazione in cui la persona ha vissuto alti e bassi nella relazione con i propri genitori.
Come relazionarsi con un filofobico?
Come psicologa clinica mi sentirei di dire che con un filofobico possa essere necessaria una forma speciale di empatia, ovvero quella psicoanalitica di cui Stefano Bolognini, nel suo testo L’empatia psicoanalitica, pubblicato nel 2002 da Bollati-Boringhieri, parla in modo esteso.
Allo stesso tempo è bene che il filofobico non senta lo psicologo clinico, o qualsiasi altra figura professionale di riferimento troppo invadente, inaffidabile. È bene dire esplicitamente al filofobico che ci siamo per qualsiasi cosa. A quel punto sarà la persona filofobica a richiedere la nostra presenza empatica e supportiva. Non possiamo sostituirci alla persona che soffre di filofobia, ma possiamo funzionare da sé ausiliario per quella persona.
Come afferma il medico e psicanalista Heinz Kohut, il senso del sé è fondamentale in quei pazienti affetti da problematiche narcisistiche, in cui vi sia un profondo difetto a carico dell’empatia.
Come amano gli anaffettivi?
Gli anaffettivi sono il più delle volte alla ricerca di continue conferme rispetto a sé stessi. Sono poco empatici e vivono le relazioni con gli altri come conferma del proprio essere adeguati e capaci.
Allo stesso tempo temono il giudizio altrui a causa di una loro fragilità. Tendono a sottostimarsi e, talvolta, finiscono col mettere in atto degli autosabotaggi in modo da non esporsi troppo sul piano affettivo.
In che modo intervenire con una terapia?
La terapia psicodinamica, ad esempio, lavora su aspetti legati all’ansia, all’aspetto fobico del disturbo, ma anche su aspetti inerenti l’autostima, la capacità di sentire l’altro e di prendere contatto con sé stessi senza paure o condizionamenti.
Importante è che il terapeuta crei una relazione di fiducia, non giudicante all’interno della quale poter lavorare. In modo efficace sul disturbo e sull’equilibrio psicologico della persona.
(16 Dicembre 2022)