Gli errori non rappresentano solo un pericolo ma anche un’opportunità. Per questo non vanno demonizzati, o evitati a tutti i costi, bensì accettati come un ingrediente necessario, e spesso prezioso, di ogni esperienza. Gli errori permettono infatti di sperimentare, di esplorare le varie possibilità, fino a individuare la decisione migliore.
Siamo stati abituati a vederli sottolineati con la matita rossa e accompagnati da un brutto voto. È dai tempi delle prime esperienze scolastiche che siamo propensi a pensare che gli errori siano qualcosa da non fare, da punire o per cui provare vergogna. Così, anche più avanti nella vita, ogni volta che sbagliamo scatta una sensazione di fallimento. Oppure, prima ancora di fare un errore, ci sentiamo paralizzati dalla paura di sbagliare: temiamo non tanto – o non solo – le possibili conseguenze dell’errore, ma soprattutto il giudizio negativo degli altri, la derisione, il disprezzo.
L’errore, certo, può avere conseguenze negative, e qualche volta disastrose. Ma se agire con prudenza è necessario per prevenire i rischi, demonizzare gli errori e lasciare che la paura di sbagliare ci blocchi è un rischio ancora più grande. E non solo perché, come diceva Carl Jung, “Chi evita l’errore elude la vita”. Ma anche perché ci sono situazioni in cui evitare di sbagliare è impossibile: quando ci troviamo ad agire in un contesto di grande incertezza, possiamo fare tutte le valutazioni del mondo ma non arriveremo mai a distinguere chiaramente fra errore e decisione corretta. Per non cadere in questa trappola, è quindi importante cominciare a fare pace con la nostra fallibilità.
Primo passo: siamo fatti per sbagliare
Errare humanum est, dicevano gli Antichi. Sbagliare fa parte della natura umana, siamo esseri fallibili e dobbiamo abituarci a considerare gli errori una parte ineludibile della nostra esperienza di vita. Anzi, il nostro cervello si è evoluto per sbagliare. Una ricerca scientifica, pubblicata sul Journal of Cognitive Neuroscience dimostra che impariamo più dagli errori che dai successi, poiché l’effetto sorpresa provocato dall’errore facilita e rinforza l’apprendimento. Così, quando ci troviamo di fronte a una situazione analoga a una precedente in cui abbiamo sbagliato, dal lobo temporale del cervello parte un allarme: bastano 0,1 secondi per avvertirci che stiamo per sbagliare di nuovo, permettendoci di correggere il tiro. “Sbagliando si impara” non è solo un proverbio: il nostro cervello, da quando siamo venuti al mondo, è strutturato per fare errori e apprendere da essi. Basta vedere come un bambino impara a camminare o ad andare in bicicletta: riesce a trovare il giusto equilibrio solo dopo una serie di cadute e sbandamenti.
Secondo passo: riconoscere gli errori
Per imparare dagli errori è importante anzitutto riconoscerli come tali. Chi non è in grado di vederli o di ammetterli continuerà a ripeterli. Perché talvolta è così difficile riconoscerli? Perché si verifica una dissonanza cognitiva, cioè uno stato di tensione psicologica ed emotiva dovuto al presentarsi di due idee contrastanti fra loro incompatibili. Ammettere un errore entra spesso in dissonanza con la nostra autostima, al punto che ci ritroviamo a giustificarlo o ad attribuirlo a qualcun altro pur di non mettere in discussione le opinioni profonde su noi stessi. Oppure l’errore entra in dissonanza con una nostra convinzione radicata, legata a preconcetti o a esperienze precedenti. A volte, infatti, tendiamo a ripetere un comportamento che una volta si è dimostrato vantaggioso senza renderci conto che le circostanze sono cambiate, e che oggi quello stesso comportamento non è più utile ma anzi è fonte di problemi. Lo psicoanalista austriaco Paul Watzlawick chiamava questi comportamenti ripetuti “tentate soluzioni”: siamo talmente convinti che ciò che facciamo sia giusto, che continuiamo a ripetere lo stesso errore. Se dunque ci accorgiamo che nella nostra vita tendono a ripetersi situazioni che ci provocano sofferenza, prima di accusare gli altri o la sorte proviamo a prendere in considerazione l’idea che l’errore provenga proprio da noi.
Terzo passo: fare errori
Può sembrare paradossale, ma in una situazione complessa non solo è importante accettare e riconoscere i propri errori, ma può essere utile fare qualcosa di più: commetterli deliberatamente. L’errore, infatti, genera diversità e varietà; permette di sperimentare, di esplorare. Come suggeriscono Paul Schoemaker e Robert Gunther, esperti in strategie d’impresa e processi decisionali, introdurre in un sistema complesso errori controllati – facendo cioè attenzione che la portata degli errori non sfugga di mano – permette di esplorare nuove opportunità. La società multinazionale Procter & Gamble ha coniato lo slogan: “fail often, fast and cheap”, cioè “sbaglia spesso, velocemente e con pochi costi”. Un invito a non vedere l’errore come un nemico ma come un compagno di viaggio inevitabile e prezioso. Questo è importante soprattutto quando la nostra esperienza con un problema è scarsa.
Di recente Olivia Remes, giovane ricercatrice all’Università di Cambridge, ha suggerito una strategia di questo tipo per gestire meglio l’ansia che blocca chi si pone standard molto elevati: per superare l’indecisione o il senso di inadeguatezza che impedisce di agire, è utile imporsi di “fare le cose male” (“do it badly”). Cioè mettersi l’anima in pace e accettare il fatto che quando si affronta un compito nuovo gli errori ci saranno per forza, e ci aiuteranno a imparare prima. Lo stesso principio possiamo applicarlo alla nostra vita: per identificare soluzioni sempre più efficaci dobbiamo mettere in conto di sperimentarne altrettante di inefficaci.
Esempi illustri
Gli esempi che dimostrano quanto gli errori siano fonte di crescita e miglioramento sono innumerevoli. La scoperta dell’America è frutto di un errore: Cristoforo Colombo era convinto di arrivare nelle Indie. Leonardo Da Vinci, genio per antonomasia, ha conseguito obiettivi e realizzato capolavori anche se – o meglio: grazie al fatto che – ha collezionato moltissimi errori (le macchine per volare, tutte fallimentari, o la tecnica pittorica utilizzata per l’Ultima Cena, solo per fare un paio di esempi). E si dice che Thomas Edison abbia effettuato migliaia di esperimenti fallimentari prima di inventare la lampadina.
Ma soprattutto, a ben vedere, frutto di una serie infinita di errori siamo anche noi esseri umani: ci siamo infatti evoluti grazie a mutazioni genetiche (cioè a errori nel processo di divisione cellulare) che, grazie alla selezione naturale, sono sopravvissute perché vantaggiose. L’evoluzione stessa, cioè, è basata sugli errori.
Allo stesso modo ciascuno di noi, nella propria esperienza di vita, cresce, si evolve e diventa quello che è attraverso gli errori che fa e ciò che impara da essi.
(24 Ottobre 2017)