Matthieu Ricard, celebre meditatore, è l’uomo più felice del mondo. Ma come si fa a misurare la felicità? E che cosa c’entra con la meditazione? Lo studio di aree del cervello, ormoni e neurotrasmettitori può dirci molto sullo stato mentale di un individuo e sui benefici della meditazione nella ricerca della felicità.
Chi può essere considerato felice? Esiste un modo per misurare la felicità? La risposta, secondo una ricerca di alcuni anni fa condotta dall’Università del Wisconsin, è affermativa per entrambi i quesiti. L’individuo considerato “il più felice del mondo” è il monaco tibetano (in realtà francese di nascita) Matthieu Ricard e l’esperimento a cui è stato sottoposto misura le attività di due aree del cervello: la corteccia prefrontale sinistra e la corteccia pre-frontale destra. Secondo i neuroscienziati che hanno condotto l’indagine, negli individui con maggiore attività della corteccia prefrontale sinistra prevalgono emozioni quali la gioia, l’entusiasmo e la visione positiva degli eventi. Di contro, se è l’attività della pre-frontale destra a essere più pronunciata, l’individuo risulta maggiormente portato a considerare gli eventi della vita in maniera critica, quindi in un’ottica maggiormente depressiva. Matthieu Ricard, poi soprannominato mister Felicità, registrò parametri ben al di sopra della norma nell’attività della parte prefrontale sinistra del cervello. Inoltre, Ricard risultava in grado di inibire alcuni riflessi involontari naturali del corpo, come gli spasmi del volto dopo un forte rumore. Secondo i neuroscienziati questo secondo aspetto è legato all’attività di un’altra zona del cervello, l’amigdala, che svolge un ruolo fondamentale nella percezione e produzione di emozioni negative.
Meditazione e serotonina
La capacità di essere felici e in pace con se stessi, secondo il monaco tibetano, risiede nell’auto-controllo delle proprie emozioni, condizione che si raggiunge solo con la meditazione. Del resto, numerose ricerche dimostrano come la meditazione contribuisca a creare uno stato di felicità agendo su diversi ormoni (cortisolo, adrenalina) e neurotrasmettitori (serotonina, gaba, dopamina). In particolare la serotonina, un neurotrasmettitore presente nel sistema nervoso centrale e nel tratto gastrointestinale, definita proprio “molecola della felicità”, ha un ruolo fondamentale nella regolazione del tono dell’umore, del comportamento emozionale e del sonno. Uno sbilanciamento dei livelli di questa sostanza può contribuire all’insorgenza di un disturbo dell’umore e di altre patologie. Gli studi condotti dall’Università di Montreal dimostrano come una regolare pratica meditativa aumenti il livello di serotonina nel cervello, stimolando la sua naturale produzione.
Sappiamo anche, grazie a una recente ricerca dell’Università di Pisa che i neuroni serotoninergici sono estremamente plastici: riescono cioè a riadattare la loro struttura in base ai livelli di serotonina in circolo nel sistema cerebrale. Gli eventi della nostra vita (fattori ambientali, genetici, malattie, stress, diete, abitudini) possono portare ad uno sbilanciamento dei livelli di questo importante neurotrasmettitore, con conseguente adeguamento dei circuiti neuronali. Essendo tali circuiti neuronali preservati dalla serotonina durante tutto l’arco della vita, ne conviene che un abbassamento del livello di questa molecola genera un impoverimento di tutto il sistema.
La pratica meditativa
Dunque abbiamo da una parte un monaco che parla di autocontrollo come chiave per accedere alla felicità, dall’altra una chimica del cervello che sottolinea come gli eventi della vita (quindi fuori dal nostro controllo) incidano direttamente sulle possibilità di essere felici. Come ne usciamo?
Ci viene in aiuto la pratica di meditazione di consapevolezza (mindfulness) attraverso la sua visione della reale natura della mente. La reale natura della mente è completamente immobile e non entra in relazione con ciò che vi fluisce attraverso: vista, suono, sapore, odore, tatto, pensieri ed emozioni.
Ciò che offusca la chiarezza mentale sono le impressioni sensoriali. La nostra attenzione non è allenata correttamente e ricerca il piacevole, cerca di allontanare lo spiacevole e dunque entra in relazione con le percezioni dei sensi, generando attaccamento per una certa cosa e avversione per un’altra. Da qui, la sofferenza e l’infelicità. Attraverso la mindfulness facciamo un passo indietro, esercitando una discriminazione fra la reale natura della mente e le impressioni sensoriali che vi fluiscono attraverso.
Lo scopo della meditazione non è tanto quello di acquisire un nuovo stato mentale, bensì di perdere stati mentali dolorosi (come rabbia, gelosia, risentimento, brama, dipendenze) che interferiscono enormemente nella nostra ricerca della felicità.
Lo stato mentale è la coloritura con cui vediamo la realtà. In una giornata in cui siamo contrariati vediamo una situazione (o una persona) sotto una luce negativa; in una giornata in cui siamo contenti la vediamo diversamente. Quando questa modalità si perpetua nel tempo, condiziona fortemente la mente e di conseguenza il corpo.
Facciamo un esempio pratico. Tutti noi abbiamo desideri: riconoscere l’oggetto desiderato come attraente e bello significa non negare il desiderio. Ma quando il desiderio diventa un “voglio averlo!”, esso acquisisce il controllo su di noi e ci conduce o all’attaccamento (se possiamo averlo) o alla repressione (se non possiamo averlo).
Possiamo beneficiare di un paesaggio alpino o di una quieta e calda spiaggia, senza necessariamente desiderare di comprare una casa in quel luogo. Godere delle belle sensazioni di un incontro, di un momento, di un bel pensiero senza pensare a un “dopo”, perché questo toglie intensità e presenza al momento.
Tutto questo è possibile soltanto con una mente e un’attenzione allenati da una pratica meditativa radicata e rinnovata nel tempo. Questo è l’autocontrollo di cui Matthieu Ricard parla, ed è una condizione che va esercitata in maniera formale (sedendosi a meditare) e informale (in alcuni momenti della routine quotidiana).
(9 Aprile 2018)