Dai manicomi criminali alle Rems

Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono stati oggi sostituiti da strutture residenziali, le Rems

Dai manicomi criminali alle Rems

Mentre si celebrano i 40 anni della legge Basaglia, vediamo come sta andando una riforma più recente: la legge 81 del 2014, che ha stabilito la chiusura dei “manicomi giudiziari” e la loro sostituzione con strutture residenziali, le Rems.

La legge 81 del 2014 ha stabilito la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (gli Opg, che l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva definito “estremo orrore”): da allora ogni regione deve impegnarsi a prendersi carico dei propri pazienti psichiatrico-forensi. È così è iniziata la corsa alla costruzione delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), con le fisiologiche differenze regionali in termini di tempistiche ed efficienza. Un cambiamento complesso, che ha avuto una lunga incubazione e che comporta ancora molte difficoltà e alcuni rischi.

La legge Basaglia

La riforma che ha portato alla chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari ha un antecedente, ben più noto, studiato ed emulato in vari paesi d’Europa: una rivoluzione culturale quasi più che una semplice riforma. Una sfida che ha reso la psichiatria italiana famosa nel mondo, e che rappresenta la manifestazione migliore dell’avanguardismo culturale di cui ogni tanto il nostro Paese è capace. Una legge che, per l’impeto e la fretta di essere portata a compimento, ha dimenticato di considerare alcune delle conseguenze che la chiusura dei manicomi avrebbe avuto sulla vita dei pazienti e sulla società, ma di cui non può essere messa in discussione l’originalità e la profondità intellettuale che ne ha fondato le premesse. Una legge che, nonostante lui stesso ne abbia preso le distanze in alcuni momenti, ha un nome e un cognome: Franco Basaglia.
La Legge Basaglia, o più propriamente Legge 180, fu approvata in parlamento il 13 maggio 1978, in fretta e in anticipo rispetto alla complessiva legge sanitaria che istituì il Sistema Sanitario Nazionale e che vedrà la luce alla fine dello stesso anno. Dal punto di vista legislativo il passaggio era netto, dall’obiettivo di cura-custodia della legge che risaliva al 1904 alla negazione dell’equivalenza malattia mentale-pericolosità sociale.

Gli Opg? Dimenticati

Al contrario della grande rivoluzione che riguardava i manicomi, l’effetto sugli Ospedali psichiatrici giudiziari fu completamente assente. Essendo strutture controllate dal Ministero di Grazia e Giustizia e non da quello della Sanità come i manicomi civili – e dal momento che la riforma riguardava la sanità, non la giustizia – furono “dimenticati”. Fondamentalmente si è compiuta una scissione che è stata definito un “paradosso italiano”, ovvero una situazione in cui per decenni hanno convissuto uno dei sistemi di assistenza psichiatrica territoriale tra i più radicali e avanzati del panorama internazionale e un sistema psichiatrico-forense di impianto ottocentesco.

Misure di sicurezza e pericolosità sociale

La vetta più alta toccata da Basaglia (convincere il mondo che il matto non è di per sé anche pericoloso), era effettivamente di molto più difficile riuscita nel momento in cui l’oggetto del discorso diventava il “matto criminale”. E infatti la pericolosità sociale è a tutt’oggi il perno intorno a cui ruota la perizia e quindi il destino di un autore di reato riconosciuto infermo/seminfermo di mente. E qui sta il problema: sulla pericolosità sociale sono state spese tante parole, sono sorti dibattiti accesissimi, e diversi autorevoli psichiatri e illustri uomini di legge si sono impegnati per un suo superamento, senza però mai riuscire a proporre un’alternativa soddisfacente.

Riassumendo, sono almeno due gli aspetti criticabili. Innanzitutto il fatto che la valutazione di pericolosità sociale è in larga parte soggettiva e arbitraria (non è possibile produrre dati scientificamente solidi per certificare che un soggetto in futuro commetterà di nuovo reato). L’altro tema è la possibilità che si verifichi quella situazione che nel tempo è stata definita “ergastolo bianco”. Su questo problema hanno posto l’accento tutti quei movimenti che reclamavano a gran voce la chiusura dei manicomi criminali.

Che cosa è cambiato con la legge 81

La legge 81 stabilisce che le misure di sicurezza detentive (comprese le Rems) non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso. Ma di fatto, anche dopo la legge 81, è ancora la pericolosità sociale a determinare il futuro dei pazienti psichiatrico-forensi, che diventano “internati” quando in sede di processo il magistrato decreta che il rischio di recidiva è consistente, che qualsiasi altra misura non è adeguata a far fronte alla pericolosità del soggetto e che quindi si prevede il ricovero in Rems. Se ciò non avviene, e non si attribuisce quindi una misura di sicurezza al reo, la persona intraprende l’iter detentivo normale ed è per questo chiamato “detenuto”, senza togliere il fatto che possa comunque presentare disturbi psichiatrici.

Le Rems

Con l’attuazione della legge – circa tre anni fa – coloro che hanno una misura di sicurezza detentiva devono essere trasferiti nella Rems della Regione di competenza. A regime le Rems saranno 30, per un totale di circa 600 posti disponibili, e si tratta in tutti i casi di strutture residenziali socio-sanitarie di piccole dimensioni (l’intenzione è stata quella di curare e non di recludere o punire). Il direttore è un medico psichiatra e l’equipe di lavoro è composta da personale sanitario e anche la costruzione e gestione delle strutture è in mano al Sistema Sanitario Nazionale. Per ogni paziente internato è definito, entro 45 giorni dal suo ingresso, un Progetto Terapeutico-Riabilitativo Personalizzato (Ptri) che deve essere controllato e aggiornato periodicamente.

I rischi

Le intenzioni sono ottime (la legge prevede di definire tempi certi e impegni precisi per la dimissione di tutte le persone internate per le quali l’autorità giudiziaria escluda la sussistenza della pericolosità sociale). Il problema è che la normativa non ha individuato specifiche risorse per il potenziamento dei Dipartimenti di Salute mentale, sui quali ricade la maggior parte dell’onere di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Inoltre un nuovo decreto legge stabilisce che nelle Rems andranno anche coloro per i quali l’infermità sia sopraggiunta in carcere e quelli in osservazione. In altre parole, il rischio è che le Rems diventino rapidamente sovraffollate e ingestibili.
Un altro, non certo irrilevante, problema è che di nuovo, a quarant’anni dall’esperienza della legge Basaglia, si è commesso lo stesso errore, ovvero fare una legge e una riforma che migliora la vita di molti ma ne dimentica altri. Per coloro i quali la riforma è prevista, per chi quindi andrà nelle Rems, è innegabile che un passo avanti sia stato compiuto; ma non sono tutti, e le carceri rimangono piene di persone con disagi psichici anche piuttosto marcati; e oltre a essere evidente che non è il carcere il luogo adatto a guarire da tali disagi, si aggiungono difficoltà a un sistema, quello penitenziario, che non si può certo definire in ottima forma.