IT, il romanzo più famoso di Stephen King, racconta di un gruppo di bambini alle prese con un mostro dalle fattezze di un clown. Si tratta di un vero capolavoro di psicologia infantile: il mostro IT è il “terrore senza nome” di cui tanti bambini fanno esperienza, soprattutto in un contesto familiare traumatico o trascurante.
Stephen King pubblicò il romanzo “IT” nel 1986, unendo elementi fortemente horror ad altri di formazione. Da subito il libro ebbe grande successo, tanto che negli anni successivi ne sono stati tratti una miniserie televisiva, diretta da Tommy Lee Wallace (1990), e più di recente due trasposizioni cinematografiche, entrambe dirette da Andy Muschietti: IT (2017) e IT – Capitolo due (2019). Tra i temi trattati, le conseguenze profonde dei traumi infantili.
La storia
Il romanzo è la storia di sette amici provenienti dalla fittizia città di Derry, nel Maine, ed è raccontata alternando due diversi periodi temporali.
Nel primo, ambientato nel 1957, la cittadina è funestata dalla scomparsa di alcuni bambini, i cui cadaveri vengono a volte ritrovati mutilati. Bill, insieme a un gruppo di amici accomunati dall’essere considerati strani o ‘perdenti’ (che è il nome che i ragazzi sceglieranno per il loro gruppo, losers), comincia a investigare. Tutti i bambini fanno esperienza di visioni o incontri disturbanti: è il mostro IT, che legge nelle loro menti e assume le forme per loro più spaventose.
Ventisette anni dopo, una nuova serie di misteriosi omicidi terrorizza Derry: i sette amici del Club si ritrovano per tentare di eliminare IT per sempre.
Una lettura psicologica
Volendo tentare una lettura psicologica di IT, alcuni aspetti interessanti potrebbero essere:
- IT è in grado di sintonizzarsi in modo veloce e perfetto con i bisogni del bambino che irretisce: riesce a muovere i bambini al suo volere agganciandoli per via psicologica (per esempio, Bill, da adulto nel capitolo 2, viene mosso a IT dal senso di colpa causato dal non essere stato presente al momento dell’uccisione del fratello Georgie).
- La forza di IT, sta nello stato di isolamento delle vittime: viene invece sconfitto dalla “rete” creata dal gruppo (il gruppo dei “perdenti”); la forza del gruppo è chiara in tutto il film, sia verso IT, che verso altri gruppi rivali (tutti i membri del gruppo dei losers sono vittime di bullismo).
- I bambini vittime di IT sono figli di genitori assorti da preoccupazione, o attivamente assenti; tutte le vittime del pagliaccio cercano invano le attenzioni di un genitore distratto; un tratto che accomuna le vittime del mostro è un generale senso di assenza genitoriale.
- IT è alimentato dalla fantasia e dal potere che gli si attribuisce (più lo si pensa grande, o lo si teme tale), più diventa grande; nelle fasi finali del film, sarà il coraggio manifestato dai “perdenti” a ucciderlo, progressivamente rimpicciolito dalla rinnovata condizione di “empowerment” raggiunta dalle sue ex-vittime.
- Convincersi o rendersi conto del fatto che IT sia solo un parto della propria mente, renderà il mostro innocuo, ma NON SEMPRE. Non è sufficiente cioè immaginare IT come un proprio delirio per renderlo nullo: come dire, il “mostro” può essere generato dalla mente, ma ha effetti concreti, reali, sul corpo (e le persone ne muoiono).
- Scappando da Derry (il luogo dell’infanzia), tutto ciò che in essa accadde verrà dimenticato, rimosso dalla coscienza; tornando a Derry, occorrerà riacquistare familiarità con il luogo e ri-ricordare, riprendendo il possesso delle esperienze traumatiche lì vissute; solo così potrà compiersi il rituale di “uccisione del mostro”. Sconfitto il mostro, si potrà “ricominciare” a ricordare, e i pezzi della propria vita si uniranno in un canovaccio coerente in senso narrativo.
- Scappare da Derry fu, al tempo, salvifico. Mike, l’unico dei perdenti rimasto a Derry, diverrà lo “sciamano” del gruppo, colui cioè che condurrà gli altri alla comprensione del modo con cui IT potrà venire ucciso; il lavoro di ricerca e osservazione da lui svolto, andrà al servizio degli altri; svolto il suo lavoro di guaritore/sciamano, potrà lasciare Derry, liberato.
- Dopo la latenza di 27 anni fuori Derry da parte dei “perdenti”, il presentarsi alla coscienza del ricordo di IT sarà in grado di procurare forti recrudescenze post-traumatiche ai diversi membri (Stanley si suiciderà, Eddie si schianterà in auto in preda a un episodio di detachment dissociativo, gli altri avranno reazioni eccessive, “autonomiche”, corporee).
- La memoria di IT non si risolve né scompare: viene relegata in un angolo della mente, come rimossa o dissociata dalla coscienza.
IT viene visto solo dai bambini: gli adulti ne sono immuni. In un certo senso, il pagliaccio rappresenta la realtà esterna perturbante quando vengano a mancare figure di supporto che sappiano proteggere o almeno “spiegare” la realtà. I “perdenti” in questo senso sono vittime esemplificative delle due tipologie di trauma: alcuni di essi sono vittime di trauma “attivo” (come Beverly, molestata dal padre); altri sono vittime di incuria/neglect, per lo più ignorati dai genitori.
Il trauma e la sua risoluzione
Volendo tentare una lettura in chiave psicotraumatologica di IT, vi si ritrova tutto, dalle diverse tipologie di trauma, alla questione “espositiva” (occorrerà attraversare il trauma, non ignorarlo), alla potenza terapeutica della narrazione, alla forza della rete, all’importanza, durante l’infanzia, delle figure genitoriali.
Impressionante la resa delle risposte “autonomiche” con cui si ripresenta il trauma alla soglia della coscienza (forti risposte corporee, vomito, detachment, sincope, suicidio per troppo terrore). Chiarissimo l’accento posto sulla rappresentazione stessa del trauma, in grado di rendere più o meno tollerabile il trauma stesso: IT (se lo si legge come il/un trauma, ovvero un oggetto in primo luogo interno, psicologico) è ri-dimensionabile a seconda di quanto potere gli si attribuisca: ma per far sì che il suo potere diminuisca, occorrerà affrontarlo. Il romanzo e il film, ci indicano dunque una via, che è il fronteggiamento, l’elaborazione attiva del trauma.
Sempre tentando una lettura psicotraumatologica del romanzo di Stephen King, osserviamo come, passati i 27 anni, il ritorno di IT saprà riportare i membri del gruppo dei perdenti a modalità comportamentali rimaste, fino a quel momento, “latenti” o “silenti”. Bill tornerà a balbettare, Eddie tornerà asmatico. Perché? Se prendiamo come griglia teorica esplicativa la Teoria della Dissociazione Strutturale della Personalità (spiegata qui) di Onno Van Der Hart, osserviamo come – in ognuno dei perdenti a eccezione di Mike – storicamente, a seguito del primo incontro con IT, si produsse una frattura verticale della personalità: la parte “emotiva” rimase congelata al “tempo del trauma”, quella “apparentemente normale” consentì a ognuno di loro di continuare con una vita, appunto, regolare. La spaccatura verticale tra le due modalità viene resa evidente al momento del ritorno di IT, anni dopo.
Ma che cosa è IT?
Cosa vuole dirci Stephen King con questo lavoro? Come prima cosa, va riconosciuto che il romanzo rappresenta un capolavoro di psicologia infantile, un viaggio nelle turbe dell’infanzia, un’esplorazione di tematiche che la maggior parte delle persone, crescendo, dimentica o mette da parte. IT, in questo senso, è la paura del buio, è il terrore senza nome verso ciò che non si conosce, ma è anche la paura del bambino non protetto o traumatizzato da chi dovrebbe accudirlo, è lo spavento del non prevedibile, lo sconcerto del bambino solo nell’osservare le reazioni spropositate di un genitore squilibrato. IT, in qualche modo, è un simbolo (indicativo che venga indicato dallo stesso King come “it”, “esso”).
Chiunque abbia sofferto durante l’infanzia, o possieda reminiscenze di terrori infantili, ne verrà toccato e perturbato.
(31 Ottobre 2019)