Psicologia digitale: il report Santagostino dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP)

Ricercatrici e ricercatori psicologi del Santagostino hanno analizzato i dati della psicoterapia durante la pandemia.

Per specialisti
Psicologia digitale: il report Santagostino dall’European Conference on Digital Psychology (ECDP)

Dopo un anno di pandemia, cosa rimane della vecchia psicoterapia, e quanto emerge dai colloqui fatti a distanza?

In concomitanza con l’esplosione della pandemia di CoViD-19, il Santagostino ha dovuto puntare fortemente sulla psicoterapia online, introducendo nel lavoro quotidiano nuove soluzioni, con un forte ripensamento della prassi clinica.

Anche se il nostro centro medico offriva da tempo la possibilità di svolgere una psicoterapia online, infatti, nel 2020 il numero di sedute svolte da remoto ha registrato picchi mai visti.

Abbiamo cercato di sfruttare questa rivoluzione per raccogliere dati utili e capire dove sta andando la pratica clinica psicoterapeutica. Questo approfondimento riassume e racconta i dati presentati dai clinici del Santagostino all’European Digital Conference on Psychology.

In generale, è stato riscontrato un calo delle visite settimanali del 17,4 per cento durante il primo periodo di lockdown (marzo-maggio 2020). Tuttavia, nel complesso è stato possibile mantenere fino al 90 per cento delle visite totali, grazie a un sistema di videoterapia che era già implementato e utilizzato dai nostri psicologi.

Soprattutto per quanto riguarda la psicoterapia, i pazienti hanno dimostrato un rapido adattamento alla videoterapia, favorito dalla paura del contagio e dalla scelta del centro di limitare il più possibile l’attività clinica in presenza per tutelare i dipendenti.

I vissuti dei terapeuti

Attraverso l’utilizzo di questionari self-report è stato rilevato che l’esperienza del terapeuta correla positivamente con la possibilità dei pazienti di accedere alla videoterapia e di trarne giovamento. Al contrario, bassa esperienza del terapeuta, scetticismo o difficoltà di accesso ai device possono rappresentare fattori critici. 

I dati confermano una buona accettazione della videoterapia (VT) da parte dei pazienti, in modo coerente con quanto riportato in letteratura (Carpenter, Pincus et al., 2018).

I dati sono anche in linea con quelli di (Perrin et al. 2020), che descrivono una simile transizione alla VT durante la pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti, al Dipartimento di Psicologia della Virginia Commonwealth University.

Il “ritorno al futuro” della pratica clinica

A causa – o forse grazie alla – pandemia, abbiamo assistito a un’accelerazione notevole nel percorso di integrazione tra reale e virtuale, forse di dieci o venti anni.  

Come psicoterapeuti ci siamo trovati a dover ridiscutere il “setting clinico” costruendo nel frattempo nuove modalità di lavoro, più snelle anche se forse meno ricche sul piano umano. 

Ogni settimana abbiamo fatto colloqui con persone chiuse in piccole stanze, o in appartamenti in cui la privacy era molto scarsa. Alcuni si collegavano dal bagno, o dall’automobile, o ancora, da uffici svuotati del personale.

In altre circostanze le persone trovavano isole di privacy durante passeggiate nel circondario, connettendosi in movimento.

A distanza di un anno, le prassi di lavoro inerenti la psicoterapia a distanza sembrano consolidate e la “macchina” organizzativa funzionale e ben rodata.

Può essere utile a chi si trova a lavorare in circostanze simili dare un’occhiata ad alcuni grafici che raccontano l’andamento delle psicoterapie al Santagostino negli ultimi due anni. 

Qui sotto abbiamo riassunto i dati più significativi.

Fig. 1 Le visite psicologiche al Santagostino nel periodo gennaio 2019 – gennaio 2021

Nel grafico in figura 1 è possibile notare un andamento crescente delle richieste di psicoterapia al Santagostino, in progressione costante a partire da gennaio 2019. 

Marzo 2020 corrisponde a un’impennata delle richieste, che fino a quel momento invece erano cresciute con andamento più regolare.

Fig. 2 Le visite psicologiche riferite alla sola videoterapia al Santagostino nel periodo gennaio 2019 – gennaio 2021

Nell’immagine in figura 2 si osserva una crescita esponenziale delle richieste di videoterapia. Questo dato è contestuale alle restrizioni sanitarie imposte a marzo 2020, che ha comportato una rapida e obbligatoria conversione del lavoro psicoterapico: le terapie in presenza sono state sospese e tramutate – quando possibile – in psicoterapie online.

Scorporando le due tipologie di psicoterapia (dal vivo e online), osserviamo che le psicoterapie online mensili sono passate da meno di 700 a quasi 18000 in soli due mesi (da febbraio ad aprile 2020).

Salute mentale: da tabù ad argomento centrale di discussione

Al di là degli aspetti numerici, abbiamo negli scorsi 12 mesi rilevato la tendenza a un maggior accesso ai servizi di psicologia.

Anche se in modo a volte confuso e incongruo, molte istituzioni hanno messo l’accento sulla necessità di prendersi cura della propria salute mentale.

Nel complesso, abbiamo assistito a uno sdoganamento significativo dell’idea di ricorrere a uno psicologo, facilitata e soprattutto legittimata dal vivere tutti le grandi difficoltà connesse alla pandemia Covid19. 

Insieme a questi aspetti, il proliferare di servizi gratuiti e l’apparente semplificazione dell’accesso alle psicoterapie, sembrano aver facilitato l’arrivo di persone con domande di cura poco strutturate. A volte l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad aspettative “magiche”. Internet ha sostituito totalmente gli spazi aggregativi dedicati all’intrattenimento, alla socialità, al lavoro, e noi crediamo che questo abbia favorito fantasie di una terapia “senza sforzo”.

Ci sembra necessario dunque fare un resoconto per punti di ciò che per noi ha significato cambiare in modo così radicale le prassi di lavoro, e ragionare sulle nuove forme (in termini di setting) che abbiamo dovuto adottare nel corso del primo anno di pandemia.

I maggiori cambiamenti nel lavoro clinico

I cambiamenti più significativi che abbiamo osservato nel lavoro clinico riguardano le motivazioni sottostanti la richiesta di accesso. Andiamo per gradi.

Il setting 

Se prima della pandemia il setting clinico era la stanza d’analisi o di psicoterapia – con le sue poltroncine e/o la scrivania – al suo posto esistono ora schermi e smartphone, auricolari, cuffie bluetooth, IPhone messi in verticale su tavoli di cucina, tra laptop e bottiglie d’acqua. 

Se tuttavia i colloqui possono essere svolti, e rappresentare allo stesso modo uno strumento di aiuto psicologico, è forse da ripensare l’ortodossia del setting in sé.

Non parliamo più di uno spazio fisico, ma di un assetto relazionale. 

Il setting è prima di tutto una posizione relazionale adottata tra paziente e terapeuta, un modo di ascoltare, costruito dal focalizzare l’attenzione sul paziente in quell’ora di colloquio. 

La distruzione dello “spazio differenziato” imposto dalla permanenza forzata in casa – luogo ibrido, sede di tutte le attività del soggetto -, ha imposto un differente criterio di organizzazione delle attività quotidiane, legata alla divisione del tempo in slot.

Se l’organizzazione spaziale non è possibile, allora è il tempo a essere reso “spazio”, per mezzo di un artificio cognitivo funzionale ma compensatorio, che permetta una maggiore organizzazione del pensiero.

Decompressione impossibile

Il problema di trovare luoghi di decompressione è diventato primario per diverse persone.

In spazi stretti, vissuti in coppia o in famiglia, sono venuti a mancare luoghi di decompressione e apertura.
Luoghi pubblici che prima rivestivano questa funzione (bar, palestra, circoli ricreativi) sono divenuti inaccessibili. Il risultato sembra essere una generalizzata difficoltà a trovare spazi in cui scaricare lo stress e allontanarsi dai problemi.

Invasività e confini

Connesso al punto precedente, la questione dei confini. Confini violati in senso prima di tutto spaziale/ambientale, poi in senso psicologico. Ma anche confini violati in termini di poca differenziazione tra tempo libero e tempo dedicato al lavoro, con un senso di reperibilità continua. Violazioni di confine psichico producono senso di disgregazione, disfacimento identitario, confusione tra i propri pensieri e quelli dell’”altro”, difficoltà a perseguire i propri obiettivi, dispersione di energia.

Difficoltà di regolazione somatica

Con particolare riferimento al sonno, problema dilagante. La pandemia ha alzato il senso di allerta, producendo senso di poca prevedibilità e paura del futuro. Dormire di un sonno peggiore, più frammentato, è stata la naturale conseguenza su scala nazionale. Il Santagostino ha, a proposito di questo, attivato un servizio di presa in carico specifico.

Reperibilità continua

Come prima accennato, la questione della reperibilità continua ha reso più labili i confini tra vita privata e lavorativa. Molte persone ad esempio nei colloqui clinici hanno riportato con regolarità la percezione di sentire invaso il proprio tempo libero, a causa di mail, messaggi, richieste fuori orario, con una vita privata continuamente “bucata” da questioni professionali ansiogene, anche qui con una dispersione enorme di energia e quote di stress elevate.

Non sembra esserci più riparo dalla reperibilità continua, non pagata e frustrante. Questi aspetti sono ben argomentati nel libro Lavorare (da casa) stanca di Nicola Zamperini, curatore dell’interessante blog “Disobbedienze”, così come in “Cronofagia” di Davide Mazzocchi.

Enclothed cognition.

Il concetto di enclothed cognition (letteralmente “cognizione indossata”, a indicare l’impatto del vestiario sulla cognizione) è emerso ragionando sulla necessità di strutturare nuove prassi di lavoro da remoto. Enclothed cognition significa che a volte “è l’abito a fare il monaco”: indossare abiti da lavoro aiuta cioè ad assumere un differente assetto mentale, gestendo meglio l’energia da dedicare al lavoro. Il problema anche qui è formale: avendo il lockdown ridotto il ricorso ad artifici ambientali volti a rendere più produttivi e attivi, serviva (serve, servirà) un espediente mentale per aumentare l’efficienza. Il “come vestirsi” stando in casa per lavorare è uno dei problemi dei liberi professionisti che già prima lavoravano da casa (grafici, architetti, scrittori). Ne parla bene ad esempio Haruki Murakami nel suo Il mestiere dello scrittore. Sulla enclothed cognition si veda questo video. Per approfondire.

I problemi psicologici più legati alla pandemia

Lo “stop” pandemico forzato ha avuto ricadute profonde su tutta una serie di pensieri che prima tendevamo a evitare. Di fatto, ci ha obbligati tutti a contattare contenuti mentali scomodi, luttuosi, depressivi. Problemi mai veramente affrontati, conflitti interni mai risolti. La stasi obbligata ha creato un contenitore di pensiero che sembra in un certo senso aver distorto il senso del tempo, con la sensazione di un “limbo”, di un interregno, di una realtà sospesa, con però un aumentato senso di consapevolezza su ciò che prima eravamo.

Quali sono i temi che abbiamo osservato lavorando con persone arrivate al Santagostino in questo primo anno di pandemia Covid? Ecco alcuni spunti.

Ansia sociale

Le persone che prima della pandemia soffrivano di problematiche sociali (fobie sociali e scolastiche per esempio, problemi di ritiro sociale come gli Hikikomori), hanno trovato nella nuova normalità ritirata, una legittimazione e insieme un riconoscimento delle proprie difficoltà psichiche, migliorando vistosamente in termini psicopatologici. Questi individui hanno vissuto le chiusure progressive con senso di controllo e con una relativa serenità: gli “altri” avrebbero finalmente capito come si sta in casa, cosa vuol dire sentire l’isolamento, come si impara a bastare a se stessi.

Regressione

L’intervento del Governo a regolamentare le chiusure e le regole sociali, è stato in grado di promuovere movimenti di regressione psichica. Auto-indursi dei limiti tramite pratiche di rinuncia o auto-disciplina, presuppone una scelta ragionata da parte dell’individuo e la libertà di poter sgarrare alle stesse regole a cui ci si assoggetta. Qui invece parliamo di un limite posto da qualcosa di esterno, come un intervento “genitoriale” radicale eseguito su un bambino impotente.
É un limite in grado di produrre regressione a stati mentali infantili, il più verosimile degli “interventi paterni”. La regressione può produrre senso di castrazione e soffocamento, ma in questo caso sentire la presenza di un limite reale (come il coprifuoco serale) ha avuto un effetto ansiolitico nei soggetti che sembravano in difficoltà nell’amministrare la propria libertà. In più, il fatto che ci sia un elemento esterno e potente come lo Stato (percepito come notoriamente assente, soprattutto in Italia) è de-responsabilizzante e, appunto, in grado di promuovere movimenti psichici regressivi.

Difficoltà nel creare nuove relazioni

Un elemento da non sottovalutare è la problematicità insita nel conoscere persone nuove/intrecciare relazioni di coppia in questo frangente storico. Sono venuti meno i luoghi di normale messa in scena dell’avvio di un rapporto di coppia. Inoltre permane una diffidenza verso gli altri, ereditata nei primi mesi di pandemia. Sarà interessante vedere l’evoluzione e l’esito di questi atteggiamenti quando la pandemia, gradualmente, si concluderà (il distanziamento sociale stesso, la differente prossemica, gesti divenuti automatici come sollevare la mascherina all’incrociare un altro individuo in una strada vuota, gli automatismi legati all’igiene delle mani).

Il tema della buona comunicazione

In ultimo, ma non per importanza, il problema della comunicazione

Il 2020 ha evidenziato un problema di comunicazione inefficiente, i cui effetti sulla salute mentale dei cittadini sono difficilmente dimostrabili, ma sicuri. 

In questi ultimi mesi, la contraddittorietà delle informazioni riguardanti il Covid, i titoli clickbait, informazioni pompate in modo sensazionalistico dalle più autorevoli testate italiane e sottoposte alla nostra attenzione centinaia di volte al giorno, hanno avuto un impatto negativo costante.

Il problema della comunicazione di qualità è sempre più attuale.

In questo scenario fosco si elevano poche eccezioni (Il Post) insieme alla categoria dei divulgatori come Roberta Villa, Enrico Bucci, Burioni, Entropy for Life, Biologi per la scienza, in grado di veicolare informazioni chiare e coerenti. Veri fari nella notte in questi ultimi mesi.