L’identità di genere si configura come una delle dimensioni che compongono l’identita? personale. La varianza di genere invece riguarda le specifiche declinazioni dell’identita? di genere.
Per affacciarsi al concetto tanto complesso quanto instabile di identità di genere possiamo partire dalla domanda: chi sono io? Ebbene, le risposte sono le più varie e abbracciano più dimensioni connesse tra loro, in una complessità non riducibile.
Da un punto di vista psicologico, l’identità è un insieme di elementi collegati, sempre fluttuante tra stati diversi e sempre in trasformazione. Allo stesso tempo, essa mantiene una sua continuità nella memoria e nella percezione di ognuno. Le persone infatti sperimentano un senso di sé e del proprio posto nel mondo relativamente stabile, nonostante i continui cambiamenti che la vita comporta.
L’identità di genere
Come altri aspetti dell’identità, lo sviluppo dell’identità di genere per ognuno di noi è regolato da variabili biologiche, psicologiche e socioculturali. Queste si riferiscono al sentimento che la persona ha rispetto al proprio genere, ovvero all’essere maschio, femmina, o una qualsiasi combinazione di queste due possibilità.
Possiamo immaginare l’identità di genere come un continuum, ai cui estremi ci sono il maschile e il femminile e tra questi poli una molteplicità di forme che possiamo definire varianza di genere. Per varianza di genere si intende, quindi, la non conformita? rispetto alle norme culturali che impongono una certa espressione, un certo ruolo e/o una certa identita? di genere al maschio e alla femmina. Un grande contenitore in cui sono presenti molte classificazioni diverse.
Proviamo a orientarci…
Esistono due modalità per pensare all’identità di genere: una binaria e una non binaria.
Nell’ottica binaria le persone tendono ad identificarsi come:
- Cisgender (concordanza tra l’identità di genere del singolo e il ruolo considerato appropriato al sesso con il quale è nato);
- Transgender (persone che non sentono di rientrare nei modelli socioculturali rigidamente imposti di mascolinita? e femminilita?).
Il termine Transgender in ottica binaria oggi viene anche utilizzato per riferirsi a tutte quelle condizioni di non-congruenza tra il genere e il sesso (transessuali, cross-dresser o drag-queen, drag-king, ecc.)
In ottica non binaria (non binary) le persone transgender possono, invece, riconoscersi in altri punti di un ideale continuum. Per alcune persone l’identità di genere può essere vissuta come fluida, in evoluzione, muovendosi tra i generi, oppure consolidarsi in categorie più stabili nel tempo quali:
- nessun genere (gender queer posizione anche politica);
- entrambi i generi;
- altro genere (demigender, demigirl, demiboy, identità di genere non binarie che riflettono una parziale connessione a un altro genere).
Una realtà complessa
La semplificazione precedente non tiene conto comunque della estrema variabilità umana. Uscire dal pensiero dicotomico aiuta a comprendere come il solo dato biologico (nascere maschio o femmina) e gli stereotipi sociali appresi (ciò che si aspetta facciano maschi e femmine), da soli non siano sufficienti per spiegare l’identità di genere.
La consapevolezza di appartenere a una categoria di genere è più come un processo. Ad esempio, anche se in alcuni studi è emerso che all’eta? di 3 anni la maggior parte dei bambini sa definirsi “maschietto” o “femminuccia”, le persone che si collocano in una delle categorie della varianza di genere potrebbero non averne consapevolezza fin da subito. Questa consapevolezza infatti può manifestarsi anche molto più tardi nel tempo. Ciò avviene perché i modelli sociali in cui identificarsi non sono sempre accessibili, oppure sono molto problematici, e l’identità, per strutturarsi, ha bisogno del confronto continuo con gli altri.
Cosa intendiamo con disforia di genere?
Nel grande insieme della varianza di genere può accadere che la persona viva un’incongruenza tra il genere assegnato alla nascita a partire dai genitali e quello in cui invece si identifica. In altre parole, la persona sviluppa la consapevolezza che il proprio genere non corrisponde (non a pieno almeno) al genere che gli è stato attribuito.
Quando tale incongruenza è vissuta con un disagio significativo, allora si parla di disforia di genere.
La disforia di genere è un disturbo mentale?
Quella di disforia di genere è una categoria diagnostica entrata in vigore dal 2013 con la pubblicazione del DSM 5 ovvero la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, uno dei sistemi nosografici piu? utilizzato al mondo.
Il termine indica il disagio e la sofferenza causati dalla discrepanza tra l’identita? di genere percepita e il genere assegnato alla nascita. Il disagio sperimentato può anche riguardare il ruolo di genere associato e/o le caratteristiche sessuali primarie e secondarie.
Criteri diagnostici comuni e principali sono la presenza di una marcata incongruenza tra genere esperito ed espresso e il sesso assegnato alla nascita, che genera sofferenza clinicamente significativa e tale condizione si deve presentare per almeno sei mesi, compromettendo il funzionamento della persona.
Con il termine “disforia” si pone particolare attenzione alla sofferenza conseguente alla incongruenza di genere.
Leggi anche: Disforia di genere, passi avanti nei manuali diagnostici
Il disagio nella disforia di genere
Lo stress individuale in chi sperimenta disforia di genere, molto spesso è la conseguenza di disapprovazione sociale e stigma. La disforia può essere associata, per esempio, a una “transfobia interiorizzata”. Con questo termine si definisce il profondo disagio derivante dall’aver interiorizzato norme sociali riguardanti il genere, che porta gli individui a nascondere i propri vissuti e la propria identita? o addirittura a conformarsi al binarismo di genere per evitare di essere discriminati.
Il termine disforia di genere ha sostituito la vecchia dizione di Disturbo dell’identita? di genere, in uso nella quarta edizione revisionata del DSM. In questa versione si assumeva che il disagio risiedesse nell’identità. Il DSM 5 fa un grande passo avanti, e non considera più il genere come una condizione binaria (maschio o femmina) bensì un genere alternativo rispetto a quello assegnato, che contempla diverse varianti lungo un continuum. Ciò chiarisce che il disagio non è in nessun modo associato all’identità ma solo ed unicamente alla disforia, qualora presente.
In conclusione, solo alcune persone transgender esperiscono una disforia di genere. In assenza di altri elementi che facciano supporre che ci sia un disagio, tutte le variabili identitarie possono essere vissute come totalmente funzionali e accettabili dalla persona.
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(4 Marzo 2020)