La “sublimazione” è il processo attraverso cui un artista trasforma i propri tormenti e conflitti interiori in opere d’arte. Ripercorriamo la storia, le crisi personali e le svolte esistenziali di Sandro Botticelli, pittore rinascimentale vissuto alla corte dei Medici, che in tutte le fasi della sua vita artistica – comprese quelle più sottovalutate – ha “sublimato” il dolore, le delusioni, le frustrazioni, i traumi.
“Vultus… qui sermo quidam tacitus mentis est”, scriveva Cicerone, ovvero “il volto è il linguaggio muto dell’anima”. Sia gli artisti che gli psicologi sanno che il volto rispecchia il mondo interiore e le emozioni più profonde, fino alle passioni più travolgenti e complesse dell’anima umana: il desiderio, l’amore, l’odio, l’invidia ma anche il dolore, il lutto e la perdita.
L’artista è in grado di trasformare questi turbamenti (spesso fantasie inappagate e inconfessabili) in opere artistiche, riesce cioè a “sublimarli” attraverso l’espressione della bellezza. È proprio quello che ha fatto un grande pittore del Rinascimento,
Sandro Botticelli, che ha esplorato a fondo il meccanismo della sublimazione, in particolare concentrandosi sulla resa estetica del volto, fino a farvi trasparire la leggerezza dell’anima e quindi l’immortalità, conferendole un totale valore assoluto.
Ancora oggi, non c’è cultura o popolo che, nel volto immortale di Simonetta, non abbia creato dogmi e incarnato canoni estetici.
Sandro e Simonetta
L’ascesa pittorica di Alessandro Mariano de Filipepi, detto il Botticelli, è legata alla famiglia de’ Medici ed è intrecciata profondamente alla sua musa, Simonetta Vespucci, amante di Giuliano de’ Medici, morta giovanissima di tisi nel 1476, eppure ossessivamente protagonista di numerosi ritratti dell’artista successivi alla propria morte, tra cui Pallade e il centauro (1483), la Nascita di Venere (1482-85), la Primavera (1478-82) e la Calunnia (1494). Proprio lungo il corso di queste opere, il volto di Simonetta diventa immortale ed emblema idealizzato e sublimato della bellezza e della verità.
Idealizzazione e sublimazione
La sublimazione e l’idealizzazione sono descritti dalla psicoanalisi come meccanismi attraverso cui il nostro intelletto elabora creativamente immagini, pensieri o desideri che riteniamo inaccettabili alla nostra coscienza e molto spesso non conformi alla morale sociale, portando luce nelle tenebre profonde della nostra psiche. Grazie a questi processi riusciamo non solo ad amare e a perdonare, ma anche a rielaborare e superare grandi delusioni e dispiaceri come perdite e separazioni, lutti e traumi.
Idealizzazione e sublimazione non sono solo meccanismi di difesa con cui ci proteggiamo da ciò che non riusciamo emozionalmente a controllare, ma sono veri e propri processi creativi di cui tutti siamo dotati per riequilibrare e curare la nostra psiche.
Secondo Freud, l’idealizzazione è un processo psichico in cui la persona tende ad attribuire qualità elevate e caratteristiche supreme alla persona amata o anche riferirle a se stessa (creandosi un Sé onnipotente). Si distingue dal processo di sublimazione perché può comportare un impoverimento dell’Io a favore del nuovo investimento, ed è un processo che può avere conseguenze nefaste, spesso distruttive e depressive. Come scrive Umberto Galimberti nel libro Le cose dell’amore, “Agli innamorati che idealizzano la persona amata, la psicoanalisi ricorda che l’idealizzazione è una regressione dove tutto ciò che ha valore è collocato sull’altro con tutte quelle qualità che lo rendono unico, speciale e straordinario. Se quanto abbiamo trasferito non ritorna, allora siamo capaci di rompere l’incantesimo e precipitare svuotati nel rifiuto di noi stessi» (Le cose dell’amore, Galimberti).
Al contrario, nella sublimazione la spinta è incanalata verso attività espressive di carattere conoscitivo e artistico che non riguardano necessariamente il possesso della persona amata né l’autodistruzione. Secondo lo psicoanalista austriaco Ernst Kris la sublimazione è un processo più raffinato e terapeutico, ed è a sua volta composto da altri due processi psichici (“spostamento” e “neutralizzazione”) che aiutano l’artista (e non solo) a difendersi dalla propria fragilità emotiva, disattivando la carica emotiva nociva delle proprie sensazioni e spingendo il processo creativo verso l’opera d’arte, o la poesia, o tutte quelle attività intellettuali che si caratterizzano per ingegno e fantasia.
Significati simbolici
Le opere di Botticelli sono un esempio di sublimazione: l’artista, dipingendo il volto della persona amata, gestisce la propria sofferenza e arriva a conoscere e contemplare verità universali. I suoi dipinti non si prestano soltanto a essere ammirati ma racchiudono in se stessi livelli differenti di interpretazione. In particolare, richiamano criteri simbolici e narrativi tipici della filosofia neoplatonica e dell’umanesimo di Poliziano, che pongono l’uomo e il proprio rapporto con il divino al centro dell’universo. Per molti studiosi, infatti, la Venere che nasce dalle acque non rappresenta soltanto la dea della bellezza e dell’amore, ma il concetto neoplatonico della rinascita dell’umanità riemersa dall’età medioevale. Questa lettura critica dei valori rinascimentali ci aiuta anche a capire come lo studio dell’arte e delle attività intellettuali può esserci di aiuto per riemergere dalle nostre crisi interiori e dai momento esistenziali più difficili
Il crollo dell’universo creativo dell’artista
Botticelli, in seguito alla morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492, diventò fervente sostenitore del monaco Savonarola, fino a spingersi a bruciare le proprie opere nei “roghi delle vanità”, organizzati dallo stesso monaco nelle piazze di Firenze. Questa conversione religiosa si trasformò in una vera e propria crisi interiore e poi depressiva, a seguito della condanna al rogo per eresia di Savonarola nel 1498.
In seguito a questo evento, Botticelli a poco a poco rinunciò alla pittura e cominciò un triste declino di solitudine, povertà e miseria, che non venne riconosciuto nemmeno dagli artisti suoi contemporanei. Dal 1505 non si hanno più sue notizie, sappiamo solo l’anno della sua morte, il 1510, in cui venne sepolto nella Chiesa di Ognissanti a Firenze, la stessa chiesa di Simonetta.
Ma che cosa era accaduto di così stravolgente al pittore, nel breve corso di questi dieci anni, per cambiare drasticamente la propria tecnica espressiva e isolarsi nella depressione?
La Calunnia: la morte di ogni speranza
Tra le opere dell’ultima fase la più nota è la Calunnia, in cui ritroviamo il volto di Simonetta ma questa volta in disparte e offuscato dallo sfondo, a sinistra del dipinto, con lo sguardo rivolto al cielo, teso a indicare che la vera giustizia non può esistere sulla terra.
Questa opera per alcuni autori testimonia l’inizio del fallimento della produzione creativa dell’autore. Hanna Segel, psicoanalista e figlia di un critico d’arte, mette al centro delle proprie ricerche sulla psicoanalisi dell’arte il tema della risposta estetica degli artisti alle vicende del lutto e della perdita delle persone amate. L’opera d’arte, sostiene la studiosa, scaturisce dalla lotta interiore tra le spinte vitali e quelle distruttive. Secondo questa lettura, la Calunnia, rappresenta la vittoria delle spinte distruttive verso tutti gli ideali umanitari dell’artista e la caduta delle illusioni che caratterizzavano la sua visione dell’amore e della bellezza. Al centro del quadro, Calunnia, vestita d’azzurro, trascina l’innocente calunniato per mano di Livore (astio e rancore velenoso), mentre due fanciulle, Frode e Insidia, le cingono la chioma di trecce. Altre due donne, Ignoranza e Sospetto, sussurrano maldicenze alle grosse orecchie d’asino di Re Mida, giudice e inquisitore.
Hanna Segel descrive, in generale, l’arte come la ri-creazione di un oggetto un tempo amato, come forse è stata Simonetta per Botticelli e insieme la speranza di una rinascita dell’umanità dal punto di vista religioso. Un oggetto ormai perso e rovinato per sempre, così come si sono devastati il mondo interno e la propria immagine di sé. Secondo Segel, se l’artista non riesce a rielaborare questa posizione depressiva si manifesta una sorta di inibizione artistica che porta al fallimento della produzione creativa.
La crisi della bellezza e la nascita della coscienza
Non accade però a Botticelli, che ancora una volta riesce a sublimare la propria depressione superando la crisi interiore che lo aveva devastato, fino a elaborare uno stile completamente nuovo e “moderno” (vicino alle opere di Guttuso come Fuga in Egitto), sempre raffinato e sensibile ma austero, cromaticamente drammatico e altamente mistico.
Questa svolta nella ricerca dell’artista è sempre stata poco considerata dai suoi contemporanei dei circoli artistici ma ha in sé un valore fondamentale perché segna l’emergere di una consapevolezza nuova che ha superato il travaglio interiore, senza nascondere la sofferenza e il dolore attraverso cui è passato.
Come spesso accade, il tempo ha reso giustizia all’arte di Botticelli, oggi considerato uno degli interpreti più sensibili e non a caso “sublimi” della stagione del Rinascimento fiorentino.