Quanto durerà la terapia? Sarò in grado di capire quando è il momento di chiudere? Riuscirò a stare bene anche dopo? Domande simili possono scoraggiare in anticipo la persona che valuta di rivolgersi a uno psicoterapeuta. Cerchiamo di capire quando e perché una terapia si conclude, e che cosa succede dopo.
La fine della terapia è un momento carico di significato, e ha un forte valore simbolico. In effetti, il legame esclusivo tra terapeuta e paziente si conclude, ponendo entrambi di fronte a questioni complesse, come la separazione e la perdita, ma anche l’autonomia e il distacco. Il paziente, per esempio, può trovarsi di fronte a una situazione di incertezza (posso farcela da solo?) e sentirsi di nuovo vulnerabile. A volte, inoltre, la terapia può arrivare a una conclusione più brusca, per diversi motivi, come cause di forza maggiore (per esempio trasferimenti), errori del terapeuta o resistenze del paziente a cambiare.
Quando, perché e come si conclude una terapia?
La psicoanalista Judy Kantrowitz, nel suo libro Myths of Termination: What patients can teach psychoanalysts about endings, ha svolto colloqui sistematici con 82 ex pazienti e ha scoperto che l’analisi si conclude in molti modi diversi. L’idea di un “approccio standard” alla conclusione della terapia, quindi, sarebbe fuorviante, perché ogni conclusione è una storia a sé, che mette in gioco variabili uniche della coppia paziente–terapeuta. Può essere il paziente a proporre al terapeuta, anche in modo indiretto, di interrompere gli incontri, perché sente di aver ottenuto abbastanza dal percorso terapeutico o perché le esigenze di vita si sono modificate. A sua volta il terapeuta può concordare con la proposta del paziente o può proporre una rilettura di questo desiderio, per esempio sottolineando come negli incontri più recenti si siano trattati temi più dolorosi o si siano verificate incomprensioni significative: in questi casi, il desiderio di chiudere può rappresentare un desiderio di evitare conflitti. Oppure, può essere il terapeuta a sentire che il percorso si avvia a una conclusione naturale e proporre riflessioni su quali bisogni o temi guidino la terapia nel presente.
Vale la pena sottolineare come anche lo stesso Freud vedeva la conclusione della psicoterapia come “una faccenda che riguarda la prassi”, sottolineando che nel corso del trattamento possono presentarsi sviluppi imprevedibili, per esempio difficoltà finanziarie o un trasferimento, che influiscono in modo determinante sul modo in cui si conclude l’analisi. L’aspetto pratico viene quindi sottolineato da Freud in quanto contrapposto all’ideale.
Come capire se una terapia ha funzionato
Al termine di una terapia che ha funzionato, le angosce o i conflitti che prima la mente affrontava o esprimeva solo attraverso il sintomo, ora possono essere gestiti e tollerati attraverso strategie emotive apprese nella relazione terapeutica. In un buon percorso di terapia, però, di solito non ci si prefigge soltanto una riduzione dei sintomi. Un altro aspetto importante, in effetti, è che il paziente abbia interiorizzato la funzione curativa del terapeuta. Ciò significa che se la terapia ha funzionato, il paziente dovrebbe essere in grado di affrontare le sfide della propria esistenza con una maggiore autonomia, poiché è in grado di recuperare dentro di sé le risorse necessarie, costruite in precedenza nel percorso di terapia. Se tutto è andato bene, succede che terapeuta e paziente si ritengono soddisfatti del lavoro svolto, constatando che le aree di libertà si sono ampliate, l’equilibrio personale è migliorato e si aprono prospettive nuove in cui il paziente sente di potersi sperimentare. I sintomi, insomma, non sono più un ostacolo alla crescita.
Aspetti pratici della conclusione della terapia
La fine della terapia prevede, di solito, un momento concordato insieme, in cui si valutano il lavoro svolto e il grado di soddisfazione reciproca. Al momento della conclusione, poi, si fa un bilancio di cosa ha funzionato e degli obiettivi raggiunti. Accanto all’accresciuta consapevolezza, alla sensazione di conoscersi meglio, al senso di autoefficacia percepito in modo più costante, la conclusione è comunque un momento di separazione. È normale sperimentare una certa tristezza per la fine di un lavoro che può essere molto intenso. Tanto più il paziente ha un’idea del lavoro svolto come valido e importante, tanto più la separazione può attivare stati transitori di ansia e riacutizzazione dei vecchi sintomi. È un momento delicato, in cui è importante non farsi vincere dal bisogno di essere rassicurati: il lieve senso di vuoto e smarrimento sono una fase fondamentale per mobilitare fino in fondo le risorse costruite nella psicoterapia e consolidarle riconoscendole come sempre più proprie. È importante che i terapeuti condividano con i pazienti la possibilità di sperimentare questi stati e che li rassicurino sia sulla possibilità di fronteggiarli in autonomia sia sulla possibilità di essere ricontattati in caso si presenti una reale necessità di ridiscutere una ripresa del lavoro.
Risultati importanti di una psicoterapia spesso avvengono dopo la conclusione: il processo di crescita continua sempre, anche dopo la fine, semplicemente ora il paziente ha mezzi più efficaci per continuare il lavoro da solo e per affrontare meglio le difficoltà che la vita gli metterà davanti.
(22 Marzo 2019)