In questo articolo la dottoressa Rossella Bencivenga, psicoterapeuta dell’area adolescenti di Santagostino Psiche, ci parla della storia di Andrea Spezzacatena dal punto di vista di una specialista che lavora con i ragazzi di quell’età e con le loro famiglie.
Di cosa parlano gli adolescenti in terapia?
Ogni giorno nelle stanze di psicoterapia dell’èquipe adolescenti di Santagostino Psiche si narrano e si aiutano a ri-narrare le storie dei nostri pazienti (dai 13 ai 18 anni) e tutte le storie hanno la “voce”, seppur meno intonata, di Andrea Spezzacatena.
Hanno pantaloni colorati, unghie smaltate e felpe ingoffate ma tutti indistintamente, sin dal primo incontro, esplicitano la necessità di parlare della morte, del pensiero del suicidio e di quanto e come esso sia fisiologicamente o patologicamente “presente” nel loro presente. Indagare l’ideazione suicidaria, valutarne la concretezza nella sua progettazione e nella pervasività del pensiero e delle azioni quotidiane degli adolescenti è fondamento operativo della fase di consultazione del nostro servizio specialistico e permette di “svelare” un dialogo interiore troppo spesso taciuto, nascosto e negato al e dal mondo adulto, che necessita invece di essere compreso e ridefinito in uno spazio sicuro e protetto ma soprattutto professionalmente competente.
Chi è il ragazzo dai pantaloni rosa?
Il ragazzo dai pantaloni rosa è Andrea Spezzacatena. É attraverso le pagine del suo diario che ascoltiamo il dialogo interiore del protagonista: un adolescente che sembra giungere a questa fase con pochi strumenti emotivi e relazionali per affrontare le sfide evolutive che lo attendono. Andrea è fragile e “senza pelle”, dotato di grandi risorse cognitive ed emotive che hanno “funzionato” sino al momento del salto evolutivo, ma che improvvisamente risultano inadeguate, insufficienti e incapaci di orientarlo nel decodificare il nuovo mondo. Le sue parole lo definiscono come immaturo, impreparato e al contempo “adultizzato”: intrappolato tra l’essere un bambino da cui si deve necessariamente separare e un ragazzo competente, capace, forte e vincente per far fronte alle istanze di una famiglia in crisi e alle incoerenti richieste del mondo dei pari. In bilico tra “un ragazzino felice o solo un ragazzino che vuole fare felici gli altri”.
Cosa succede al ragazzo dai pantaloni rosa?
La sua attrazione verso il più “figo” della scuola, il suo bisogno di essere “visto” da un gruppo dei pari potente e virile, il tentativo di esplorare la sua nuova identità, la complessità della sua relazione con la sua unica amica
Sara, sembrano espressione della vitale necessità di “essere” qualcos’altro da ciò che egli è sempre stato, di ri-conoscersi in una relazione “altra” da quella con le figure parentali, ma non sembra aver alcun modello nè
“allenamento” al saper porre limite e confine, al saper esprimere “condizioni” neanche quella della sua sopravvivenza.
I nostri adolescenti sentono, come Andrea, la necessità di elaborare il lutto di una separazione da quel “bambino felice”. Dalle parole e dagli occhi dei genitori, dalle immagini di quel video d’infanzia che scorre lento nella trama della narrazione cinematografica, dall’immagine di sé che lo descrive solo nei suoi successi scolastici, nel suo canto angelico, nella sua posizione di fratello maggiore accudente e rassicurante per incontrare una nuova identità: inedita, contraddittoria e incoerente in cui l’altro è talvolta specchio, talvolta oggetto del desiderio, talvolta vuoto e spesso carnefice.
Chi è colpevole nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”?
Il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” pone lo spettatore in una dimensione ambivalente rispetto al giudizio: alla spasmodica ricerca del colpevole, del capro espiatorio che paradossalmente è invece lo stigma che vuole esorcizzare. Ma per “gli addetti ai lavori” della psicoterapia dell’adolescenza e della famiglia non è possibile intercettare solo il pregnante tema del bullismo e dal cyberbullismo, della necessità di una nuova educazione all’affettività e non è concessa la naturale attrazione all’identificazione con la vittima e alla condanna del carnefice. É doveroso ampliare lo sguardo alla complessità di una narrazione più violenta, che attiene al sistema di appartenenza, ad un modello adulto fragile, assente e troppo spesso distratto da sè stesso, che diviene negante, paralizzante e talvolta mortifero.
Quali sono stati i fattori di rischio e protettivi?
Nella storia di Andrea Spezzacatena si ravvisano certamente fattori protettivi individuali e familiari, ma anche molteplici fattori di rischio e soprattutto segnali di allarme chiari e definiti, che se pur certamente dovuti ad un’inevitabile necessità di sintesi narrativa, sembrano offrire degli spunti di riflessione sui quali è importante porre attenzione. Nessuno di essi può rappresentare purtroppo un’equazione lineare per prevedere l’epilogo anticonservativo di un adolescente, ma sono certamente una bussola per orientarci in un modo così complesso.
Cosa poteva fare la psicoterapia per il ragazzo dai pantaloni rosa?
Mi sarebbe piaciuto incontrare Andrea Spezzacatena, come incontro ogni giorno i nostri adolescenti, farlo accomodare sulle poltrone-dondolo nelle nostre stanze di psicoterapia. Avrei voluto“ascoltarlo” senza la presunzione salvifica e onnipotente di poterlo sottrarre al suo suicidio, ma con la curiosità clinica che guida il nostro desiderio di “stare” con loro nel presente, nella fatica della fragilità e nell’impossibilità di fallire, nel suo sentirsi “sfigato”, “sottone” e “socialmente già morto sino all’esserlo davvero”.
Vedendo scorrere le immagini del film l’ho immaginato in una relazione terapeutica senza il pregiudizio di chi era da bambino e senza l’aspettativa di chi sarebbe potuto essere nel suo futuro, perché nel mondo adolescente
non esiste il futuro, tutto è qui ed ora, totalizzante e per citare Andrea “Che età di me***! .
Ti convinci che “quello che sei oggi sarai per sempre” ed è lì che l’adulto significativo deve incontrarlo.
Cosa fa l’equipe genitori e famiglie di Santagostino Psiche?
L’equipe Genitori e Famiglie di Santagostino Psiche avrebbe accolto i genitori di Andrea, come tutti i nostri genitori, offrendo sostegno in un percorso genitoriale e familiare, supportandoli nel riconoscere i fattori di
rischio psicologico di un adolescente nella “doppia separazione” (separazione familiare mentre si affronta lo svincolo evolutivo dalla famiglia d’origine), rimodulando la loro competenza e la loro “presenza”con un figlio
adolescente, guidandoli nel faticoso ri-conoscimento del loro modello e de loro ruolo come adulti significativi, ridefinendo con loro la possibilità di poter fallire con la consapevolezza che è parte del processo così come per i nostri adolescenti.
Sarebbe però stato fondamentale, per il nostro lavoro, anche il raccordo interdisciplinare con la scuola, con i docenti, con gli psicologi scolastici, con i dirigenti, con coloro che hanno intercettato o avrebbero dovuto intercettare i segnali di allarme di un ragazzo che: gradualmente ha disinvestito nello studio, si è invischiato in una rissa e in comportamenti che mai l’avevano contraddistinto, si è isolato e manifestava segni di stress durante le attività extracurriculari e che durante un ballo scolastico è stato brutalizzato. La loro voce, del tutto assente nel film, è invece conditio sine qua non del lavoro clinico con gli adolescenti, per co-costruire progetti di prevenzione e cura efficaci e un modello di cultura in cui la parola non deve solo essere “educata” e “responsabile”, ma non può essere taciuta.