Il ruolo centrale dell’èquipe nella cura del disagio psicologico in adolescenza

Quando un adolescente mostra un disagio emotivo e psicologico, la cura e l’intervento terapeutico e di supporto sono un aiuto essenziale. Questi interventi vanno però pensati non solo come interventi psicoterapeutici sul singolo, ma come soprattutto come interventi "di rete", sull'adolescente e sul contesto

Il ruolo centrale dell’èquipe nella cura del disagio psicologico in adolescenza

È attraverso questo intervento di rete che possiamo consentire al giovane di effettuare il salto rispetto a dove è rimasto bloccato. Vediamo in questo articolo, scritto dalle 4 coordinatrici dell’équipe adolescenti di Santagostino Psiche, come funziona il nostro modello e cosa si intende per intervento di rete.

La specificità dell’intervento terapeutico in adolescenza

L’adolescenza è la via per la costruzione della propria identità: è una via turbolenta, sconnessa, con tanti intoppi, possibilità di cadere e di rialzarsi. 

Metaforicamente è su questa via che ognuno di noi sperimenta quei cambiamenti fisiologici, cerebrali, sessuali, relazionali, psicologici che rendono ognuno quello che diventerà nella propria età adulta. 

L’adolescente si trova con l’accesso alla pubertà e i cambiamenti ormonali ad essa sottesi a dover effettuare ‘il lutto del corpo infantile e dell’onnipotenza e la dipendenza che hanno caratterizzato le relazioni del mondo infantile’. Si passa dal corpo infantile, i cui bisogni e necessità passano spesso da un pensiero del genitore, a un ‘corpo pubere’ che porta a prendere contatto con pulsioni, in primis quelle sessuali, con emozioni e un’immagine che segna il limite e la separazione dalle figure di riferimento. La definizione di chi si è e la costruzione della consapevolezza del proprio corpo è mediata dal confronto con il gruppo dei pari, dei social e del mondo di internet, che per i nativi digitali funziona come un vero e proprio Altro con cui relazionarsi. 

Cambia il funzionamento cerebrale con spinte impulsive e una selezione dei percorsi neuronali che favoriscono l’iniziare a porre delle basi neurologiche di scelte identitarie: ‘ si perde qualcosa per rafforzare altre parti di Sè.’

E poi c’è il contesto familiare che cambia con il ragazzo e deve ripensare e destrutturare un modello di coppia di genitori, magari alle volte idealizzati e ingessati nella dimensione infantile del genitore ‘grande e intoccabile’ a genitori di adolescenti, che non sanno e devono fare dell’incertezza una buona ‘compagna di strada’. 

In tutto questo la realtà cambia con il giovane che si trova a fare scelte che iniziano a definire il proprio percorso di vita: quale scuola superiore sceglierò? e quanto questa scuola mi deve piacere? e più avanti lavoro o Università? un percorso di studi che realizzi le aspettative dei miei genitori o le mie?

Questo sono solo alcune delle domande che l’équipe del Percorso Adolescenti di Santagostino Psiche raccoglie ogni giorno: ben rappresentano la complessità e il bisogno di tenere insieme diverse facce dell’adolescenza, diverse voci, diversi bisogni ed esigenze.

Lavorare a livello terapeutico con gli adolescenti richiede dunque un contenitore, rappresentato da un gruppo di professionisti (l’èquipe) che lavorano e pensano insieme e coordinano i diversi tipi di interventi di cui può necessitare  un* adolescente con un disagio psicologico. L’intervento su di sé, come spazio di pensiero e lavoro sulla propria identità; l’intervento di supporto con i genitori, che si trovano bloccati in una fase di cambiamento che rifiutano, negano o che li porta a frammentarsi; l’intervento in scuole, ospedali o servizi territoriali che possono avere in carico il minori per alcuni specifici aspetti.

Questo lavoro corale consente di creare uno spazio mentale e relazionale abbastanza sicuro, che metta al centro i bisogni e i desideri del giovane, consentendo dunque una ripresa evolutiva laddove si è bloccata o mostra delle fatiche emotive. Fare squadra con i professionisti consente di creare quella rete di supporto che consente il salto evolutivo.

Èquipe e cervello in adolescenza

Usiamo l’esempio dei cambiamenti cerebrali che avvengono durante la fase evolutiva adolescenziale per esemplificare il bisogno di avere un contenitore in grado di osservare i molteplici cambiamenti attivi nei giovani e poter sostenere con tempismo la risposta ai loro bisogni.

Nel periodo adolescenziale il cervello attraversa una serie di cambiamenti, assumendo nel corso del tempo la struttura di quello che sarà la struttura da adulto.

Il cervello di un adolescente si sta perfezionando e i meccanismi decisionali e di autocontrollo talvolta non funzionano così bene perché la corteccia cerebrale che ne rappresenta la sede è in fase di maturazione.

Negli anni dell’adolescenza la sostanza bianca mostra un incremento volumetrico, che rispecchia il fenomeno della mielinizzazione che porta con sé connessioni più rapide e maggiori potenzialità cerebrali. È come se l’adolescenza amplificasse la possibilità e la velocità della circolazione di informazioni nel cervello. Tale fenomeno si associa viceversa a un assottigliamento della sostanza grigia, che è la sede in cui vengono integrati gli impulsi: cambia la densità della sostanza grigia, in quanto aumenta la densità dei corpi neuronali legati al fenomeno dello sfoltimento sinaptico.

Tali cambiamenti cerebrali sono dunque sia regressivi che progressivi: aumenta la velocità di connessione ma contemporaneamente vengono perse le sinapsi meno utilizzate (fenomeno dell’ ‘use it or lose it’). 

Vi è un timing non omogeneo nello sviluppo delle aree cerebrali in adolescenza: maturano prima il livello limbico-subcorticale legato all’espressione e modulazione degli impulsi e dell’aggressività e le aree corticali delle funzioni sensoriali e motorie, più tardivo (intorno ai 24-25 anni) è lo sviluppo delle aree frontali legato al poter autocontrollarsi.

Come si può dunque comprendere, le spinte a cui il cervello dell’adolescente è sottoposto sono importanti, veloci, spesso contraddittorie e complesse nel loro avvenire in un periodo di tempo ristretto. 

Il cervello di un adolescente di fatto è come se chiedesse una sorta di sostegno, limitato, flessibile e non sostitutivo, delle capacità che si stanno creando e maturando e di altre che si costruiranno in un futuro prossimo (tipo l’autoregolazione). Sostegno che cercano negli adulti di riferimento, negli altri con cui si interfacciano, ma ancora di più nell’équipe curante come mente pensante.

Èquipe e bisogni terapeutici

Lavorare con un* adolescente con un disagio emotivo e psicologico vuole dire integrare diversi bisogni:

  • il bisogno soggettivo e personale del giovane;
  • il bisogno di supporto ai genitori e alla famiglia;
  • il supporto del giovane nel contesto scolastico integrato con il percorso di cura psicoterapica;
  • il lavoro di rete con i servizi territoriali ospedalieri e sociali.

Tali bisogni, se non accolti in modo complesso e integrato in un luogo e in un tempo in cui sono armonizzati, potrebbero divenire spinte disgregative e/o competitive: deterrenti all’autentica cura dell’adolescente. 

L’avvio del processo consultivo a partire dalla domanda dell’adolescente rappresenta quindi una spinta evolutiva per generare uno spazio isomorfico in cui il bisogno soggettivo e personale del giovane si ridefinisce in nuove narrazioni attraverso il pensiero e la voce dei diversi professionisti tenendo insieme l’apertura alla comprensione dei bisogni dei genitori. L’accesso a un percorso di consultazione consente al giovane di aprire su bisogni e emozioni, nascosti dietro il sintomo, che gli consentono di accedere a uno spazio personale in cui definirsi, scoprirsi in una modalità non chiusa ai genitori, ma in comunicazione con i genitori.

La storia familiare, la trasmissione transgenerazionale di modelli, miti e valori è luogo di aspettative, paure e desideri, istanze che collegano il passato ed il presente, la cui lettura è indispensabile per comprendere l’adolescente e porre le basi per il suo futuro. 

Integrare il supporto individuale al giovane al contesto genitoriale, in setting familiari, gruppali o differenziati allo spazio terapeutico del giovane, diviene poi  “compito di sviluppo” per la rete di cura, essenziale per ridefinire la sofferenza psichica come parte di un tutto in cui il sintomo è spesso espressione di un disagio che comprende l’intero sistema familiare.

L’alleanza terapeutica con i genitori e la famiglia dell’adolescente è nel modello di intervento di Santagostino Psiche uno strumento di cura che definisce esplicitamente ruoli, confini e responsabilità donando un nuovo “modello di apprendimento” per il ciclo di vita di tutta la famiglia. 

Integrare la valutazione del supporto al contesto scolastico significa farsi carico del valore dello spazio emotivo, cognitivo e relazionale che la scuola ha nella vita dei ragazzi e delle ragazze definendolo un laboratorio sociale in cui apprendono competenze sui diversi livelli, mettono alla prova le loro capacità ed  elaborano feedback positivi e fallimenti.

È spesso proprio in questo contesto infatti che emergono difficoltà comportamentali, relazionali e di performance e si esplicitano i primi sintomi come: eccessiva irritabilità o completa chiusura, comportamenti indisciplinati, disinteresse nei confronti della scuola,  assenze scolastiche ed ancora disturbi legati all’apprendimento, difficoltà che si manifestano attraverso la discontinuità nello studio e blocco emotivo nelle verifiche e interrogazioni. 

Il persistere di queste difficoltà potrebbe portare il genitore, l’insegnante o l’adolescente stesso a richiedere una consultazione psicologica con l’intento di capire cosa sta accadendo e come può far fronte a tali difficoltà. 

È importante effettuare una corretta valutazione del significato dei disagi scolastici partendo dal considerare il problema scolastico come un segnale d’allarme, una richiesta di aiuto da parte del giovane talvolta non verbalizzata con le parole.

La fatica espressa potrebbe infatti rimandare a problematiche connesse ai cambiamenti di questo periodo di sviluppo, situazioni conflittuali che esprimono conflitti intrapsichici o condizioni più complesse sino ad una disorganizzazione della personalità che origina nelle fasi più precoci di vita.

La consultazione psicologica che si avvia per una problematica scolastica, rappresenta quindi il primo passo per comprendere meglio quanto sta accadendo e aiutare il giovane, la famiglia e il contesto scolastico a rileggere la domanda d’aiuto. 

Parte fondamentale per progettare l’intervento e l’azione supportiva e terapeutica diviene quindi integrare gli attori del  campo scolastico, attraverso colloqui con gli insegnanti, la valutazione di strumenti dispensativi e compensativi e l’analisi delle risorse e dei limiti del contesto al fine di ridurre la tensione percepita e individuare stimoli che amplificano il vissuto di disagio, esclusione e disinvestimento che in alcuni casi possono degenerare in assenteismo o dispersione scolastica. 

Il processo consultivo incede nella raccolta di osservazioni, informazioni, ipotesi con l’obiettivo di costruire un progetto di cura ‘su misura’, individualizzato e sartoriale che considera anche bisogni transitori o stabili che un giovane minore può esprimere a seconda del proprio contesto familiare e di vita. 

A tale scopo il modello di intervento dell’equipe adolescenti si integra in modo flessibile e dinamico  con la rete dei servizi ospedalieri e territoriali, realizzando prese in carico complesse e modulate sulla necessità di interventi ad hoc sul paziente ed il contesto familiare. Numerosi sono i casi in cui la valutazione dei livelli di gravità della sofferenza psichica del giovane può richiedere per esempio interventi di day hospital o ricovero emergenziale e/o osservativo e in altri casi ci possono essere condizioni di trascuratezza o abbandono da parte delle figure familiari, che portano a dover pensare interventi di affido o di supporto capillare  e quotidiano alla famiglia. In questi casi l’èquipe adolescenti di Santagostino si integra e collabora con Servizi esterni come quelli Ospedalieri o i Servizi sociali al fine di creare un pensiero che tenga conto del migliore progetto di cura possibile,  rendendosi al contempo disponibile ad accompagnare con maggiore definizione le motivazioni ad un aggancio territoriale e sostenendo l’avvio della presa in carico. 

La costruzione di un’alleanza con attori così significativi per l’adolescente e per il sistema familiare così come l’orientamento e l’accompagnamento alla realizzazione di un progetto di cura integrato e complesso, sin dalla fase consultiva, rappresenta spesso un’azione non solo preventiva ma già in sé terapeutica per la definizione ed il contenimento della sofferenza e del disagio psichico.

Èquipe e co-costruzione del percorso di cura

Il percorso di cura viene dunque co-costruito sulla base degli elementi e osservazioni raccolti dal professionista durante una prima fase di consultazione e valutazione e dei pensieri dell’équipe curante.

Il percorso di cura è una sorta di patto o piano che consente:

  • condivisione con i genitori e il ragazzo/a degli interventi ritenuti necessari, degli obiettivi e dei tempi degli interventi;
  • assunzione di responsabilità rispetto agli interventi proposti e al necessario coinvolgimento attivo necessario nella psicoterapia e in altri interventi attivi di supporto;
  • trasparenza nel modo di operare con il minore e nella progettualità.

Il percorso di cura viene poi coordinato all’interno dell’équipe tenendo conto dell’evoluzione del ragazzo in termini di bisogni e difficoltà espresse.

Rischi legati all’assenza dell’équipe multidisciplinare

La presa in carico nell’equipe multidisciplinare è un percorso che implica un lavoro congiunto tra professionisti di approccio e formazione differente e presenta pertanto una struttura che richiede un’esperienza pregressa, attitudine, competenza e abilità individuali.

In questo tipo di lavoro ruotano tre ambiti complementari: la conoscenza acquisita grazie alla formazione professionale, la diffusione e la messa in pratica della stessa e infine la competenza intesa come inclinazione ad una certa attività, alimentata dall’aggiornamento continuo e dal lavoro esperienziale sul campo. 

Oltre a ciò, resta fondamentale anche un’ottimale capacità di lavorare in équipe che, oltre a richiedere un’attitudine al problem solving, richiede anche un’attenta programmazione progettata in team che permetta di pianificare i carichi di lavoro, le esigenze di formazione e di aggiornamento, i controlli e soprattutto che dia uno spazio a frequenti e possibili confronti fra colleghi sui casi clinici e momenti di supervisione degli stessi.

Ci sono casi talvolta seguiti da più professionisti: è importante che questi possano interagire e integrare le varie parti che i pazienti e le famiglie portano nei loro spazi di cura e fungere da contenitore talvolta di istanze contrapposte. E’ fondamentale che si mantenga un dialogo aperto tra professionisti in modo da non colludere con le proiezioni dei pazienti identificandoci completamente con loro, senza tener conto di tutti gli aspetti emotivi più complessi che possono ruotare intorno ad un sistema familiare disfunzionale.

L’équipe nel suo lavoro di gestione delle fragilità segue quello che viene definito un approccio relazionale, un rapporto tra psicoterapeuta e adolescente che tenga conto della relazione non solo con il minore ma anche con la sua famiglia e che abbia uno sguardo aperto verso la persona come essere umano capace di resilienza e in grado di affrontare situazioni anche complesse.

L’approccio relazionale indica che nel ritrovarsi a gestire le difficoltà degli adolescenti, gli operatori devono partire dal presupposto che le complicazioni sono una conseguenza del loro essere fragili, della capacità di non contro-agire, della percezione puramente soggettiva di ogni persona coinvolta, e pertanto non è fattibile ipotizzare una risposta unitaria e preconfezionata che non tenga conto delle variabili del caso. Ci sono casi complessi che talvolta incontrano pareri discordanti all’interno del lavoro d’equipe a seconda di come ci si sintonizza, con quali parti, è fondamentale che tutti questi vissuti possano integrarsi e tutte queste parti possano essere accolte, viste e comprese.

Se nella cura della salute mentale in adolescenza non si contempla la possibilità di lavorare e pensare in rete, possono subentrare dei rischi di sottovalutazione delle situazioni o rischi di agiti e identificazioni collusive con alcune parti dell’adolescenza.

Durante l’adolescenza, la percezione della possibilità di una reale minaccia viene minimizzata e dilatata nel tempo. L’adolescenza è un momento di profonde trasformazioni e i giovani possono trovarsi a sperimentare momenti di inadeguatezza e di scarsa fiducia in sé.

Queste tensioni sono talvolta percepite come insuperabili per il timore di non essere all’altezza delle situazioni o di non essere considerati dagli altri in maniera adeguata. In questa fase della vita si intensifica un maggiore bisogno di ampliare i confini e la curiosità di sperimentare nuovi stili di comportamento, anche ricercando esperienze avventurose ma anche rischiose. L’uso di alcolici e sostanze psicoattive o la ricerca di andare contro le regole costituiscono per alcuni adolescenti una risposta a tali bisogni. Il mancato rispetto delle regole, il portarsi ai limiti risulta inoltre essere causato dall’onnipotenza tipica dell’adolescenza che illude i ragazzi di essere invincibili.

I rischi di supporto psicologico senza rete si manifestano proprio a contatto con queste situazioni, nel non vedere dei pericoli laddove altre parti del sistema potrebbero percepirlo, come se ci fosse un’area cieca, imperscrutabile.

La presa in carico dell’équipe multidisciplinare rappresenta dunque una risorsa che mette insieme le attitudini e le specificità di più operatori che, a seconda della differente prospettiva professionale, interviene intersecando i bisogni con azioni molteplici anche su queste aree talvolta inaccessibili.

Queste azioni si basano su un sistema che le mette in comunicazione e ne consente l’efficacia e la misurabilità: il metodo della valutazione partecipativa e trasformativa.

Èquipe come luogo di supervisione e formazione

L’equipe è fondamentale come luogo di scambio e supporto fra i colleghi. In questo senso la supervisione – intervisione rappresenta un momento importante in cui è possibile parlare dei casi che si seguono e ricevere dai colleghi dell’equipe o dal supervisore punti di vista differenti che permettono di approfondire le dinamiche che si instaurano fra paziente e terapeuta. 

Se questo aspetto è importante anche con i pazienti adulti, è con l’adolescente che diventa fondamentale: proprio il lavoro con loro spesso produce nel terapeuta sensazioni forti (solitudine, rabbia, tristezza, assenza di pensiero) e riuscire ad analizzare queste emozioni nel gruppo di supervisione permette non solo di comprendere meglio il funzionamento psichico del paziente ma anche di sentirsi meno soli nel proprio ruolo terapeutico.

L’adolescente in genere si affida con facilità al terapeuta perché sente la necessità di essere visto e compreso da un adulto non giudicante,  ma alla stesso tempo è più incline a mettere in atto comportamenti che definiamo “agiti” che spesso sono inaspettati anche per il terapeuta e quando ciò accade ci si può sentire sopraffatti o bloccati nel percorso di terapia. Un buon gruppo di lavoro in questi casi fa la differenza e consente di regolare vicinanza e distanza sia dall’adolescente che con i genitori. Spesso lavorare con setting paralleli (un professionista che segue il paziente adolescente e un professionista che segue i genitori con un lavoro di supporto alla genitorialità) comporta un confronto, per coordinare i due lavori e poter supportare e affiancare il cambiamento dell’adolescente nel percorso personale.

Un esempio può essere quello del ragazzo “che si chiude in camera” e che fa fatica a comunicare con i genitori.
Spesso arrivano da noi genitori che si lamentano e che non comprendono la necessità che l* figli* ha di porre quel limite per trovare se stesso e la propria identità, per dare senso a quello che prova o semplicemente trovare un proprio pensiero su quello che sta provando. Non è un lavoro semplice, né breve e spesso ha bisogno di
silenzio per essere fatto.

Lavorare in equipe consente dunque quel confronto tra professionisti per poter mettere insieme i pezzetti del puzzle evitando di entrare in una dimensione di confusione e incomprensione, che blocca lo sviluppo terapeutico dell’adolescente.

Lavorare in équipe è dunque garanzia di qualità clinica, di formazione e supporto reciproco, in una fase in cui è facile rimanere alla porta senza dare senso.

È fare qualcosa di diverso rispetto a quanto si prova nella quotidianità dell’adolescente: ovvero dare senso, pensare insieme e costruire un nuovo modo di comunicare e dialogare, prima interno all’équipe e poi interiorizzato nei ragazzi.