I libri di testo di psicologia non fanno distinzioni di genere. Ma psiche maschile e femminile funzionano davvero allo stesso modo? Abbiamo intervistato Stefano Gastaldi, vicepresidente del Minotauro di Milano, che ha approfondito il tema dell’identità maschile.
La psiche maschile è diversa da quella femminile? Anche se gli specialisti tendono a non fare distinzioni di genere, secondo recenti studi sembra che uomini e donne abbiano diverse aspettative da una psicoterapia: i primi cercano più spesso una soluzione rapida ai loro problemi, le seconde tendono a preferire percorsi più lunghi e sono più propense a parlare di sé e dei propri sentimenti. Inoltre la terapia della parola è sempre stato uno strumento preferito dalle donne, anche se le richieste di una psicoterapia avanzate dagli uomini sono in costante aumento.
Per indagare le caratteristiche della psiche maschile, anche in rapporto ai cambiamenti sociali degli ultimi decenni, abbiamo intervistato Stefano Gastaldi, già vicepresidente della cooperativa Minotauro di Milano, autore di Uomini: se li conosci puoi amarli (Mondadori) e protagonista del convegno-dibattito sui “Nuovi maschi” al festival della Mente di Sarzana dello scorso anno (che si può ascoltare nella sezione video del festival della Mente).
Sul piano psicologico, uomini e donne sono diversi?
“Rispetto agli uomini, le donne hanno sempre avuto più facilità a parlare di sé e a esplorare il proprio mondo interno. Ma è soprattutto negli ultimi decenni, dal femminismo in poi, che si sono abituate a dare voce ai propri vissuti, alla propria sofferenza e alle proprie frustrazioni, e a combattere insieme per essere valorizzate in una società che fino a ieri le emarginava. Tutto questo ha reso le donne più consapevoli, tanto che tutto l’attuale bagaglio di conoscenza sul mondo degli affetti, delle emozioni, dei sentimenti e delle relazioni – cioè, in una parola, la psicologia – risente soprattutto di una sensibilità femminile. Questo porta molte donne a ritenere che ciò che funziona per loro funzioni anche per gli uomini. Ma non è detto che sia così.”
Come è invece?
“Senza entrare nel merito di vere o presunte differenze a livello di corteccia cerebrale, ci sono differenze anatomiche e ormonali che influenzano la psiche maschile e femminile, e questo perché i segnali del corpo interagiscono costantemente con i segnali della mente. Una delle questioni fondamentali, che spesso sfugge alle donne, è che l’uomo, per stare bene e sentirsi vitale, deve “funzionare” a livello sessuale. Ecco perché l‘impotenza ha gravi ripercussioni psicologiche, inducendo un vissuto di fragilità e debolezza, ed ecco perché perdite di potere simbolico – per esempio la perdita del lavoro – riducono il vigore sessuale: la sfera corporea e la sfera affettiva si contaminano tra loro. Alcune forme di depressione e di ritiro sociale che colpiscono soprattutto gli uomini, anche molto giovani (si pensi al recente fenomeno degli hikikomori), sono caratterizzate proprio da questo senso di impotenza, che per i maschi è una sorta di peste nera.”
Quali sono le conseguenze di queste differenze?
“Le difficoltà emergono soprattutto nei rapporti di coppia. Le donne amano approfondire i problemi, sviscerarli in tutti i loro aspetti. Non temono di venire a contatto con la propria fragilità e spesso ne provano sollievo: piangere è quasi sempre liberatorio per le donne. Per la maggior parte degli uomini, invece, sentirsi deboli è doloroso, perché amplifica il senso di impotenza. In altre parole, di fronte a situazioni in cui non è facile trovare una soluzione, la psiche maschile è più esposta alla sofferenza e alla depressione rispetto a quella femminile.”
Quali sono gli antidoti per affrontare queste difficoltà?
“In molte culture esistono rituali specifici di transizione dall’infanzia all’età adulta che espongono metaforicamente alla castrazione – per esempio il rito della circoncisione – abituando i maschi ad avvicinarsi al dolore e al senso di inadeguatezza. Sono pratiche che aiutano i ragazzi a passare dalla virilità infantile, di tipo onnipotente, a una virilità più matura, in grado di fare i conti con le normali frustrazioni della vita. Cioè a diventare “uomini veri”. Nel mondo di oggi questi “rituali di passaggio” non esistono, non ci sono cioè momenti specifici, ritualizzati, in cui i ragazzi imparano a fare i conti con i loro limiti, e oltre a questo gli uomini si trovano a fronteggiare frustrazioni maggiori che in passato.”
Che cosa è cambiato?
“Negli ultimi decenni le donne hanno conquistato più potere e indipendenza. Quando vigeva la cultura patriarcale, gli uomini si percepivano potenti perché incarnavano l’autorità e provvedevano economicamente alla famiglia. Oggi agli uomini viene chiesto di rinunciare al loro ruolo tradizionale, e contemporaneamente di essere fedeli e presenti nella vita familiare, il che comporta un’ulteriore rinuncia di potenza. Il che va bene, intendiamoci: a beneficiare di una coppia stabile e di una presenza maggiore del padre nella crescita ed educazione dei figli è anche e soprattutto la prole. Il problema è che gli aspetti biologici sono sempre gli stessi di un tempo: per stare bene gli uomini devono sentirsi potenti.”
Come se la cavano, allora, di fronte a un mondo femminile che tende a ridimensionarli?
“Il problema è che tra gli uomini manca una “consapevolezza di genere”, quindi le reazioni sono spesso eccessive in un senso o nell’altro. Alcuni uomini hanno cercato di adattarsi, mossi dal senso di colpa: ritengono cioè che le donne siano state ingiustamente sottomesse per secoli e vogliono prendere le distanze da chi li ha preceduti. Ma talvolta scambiano per aggressivi e potenzialmente maschilisti anche gli aspetti “sani” della virilità. E li inibiscono, venendo così percepiti dalle donne come deboli, “senza attributi”. Il sentimento di colpa ha cioè investito anche i maschi non prevaricatori.
Altri uomini, invece, non riescono a confrontarsi con donne autonome e indipendenti. Se accettano di dipendere psicologicamente da una donna, pretendono in cambio la sicurezza della relazione: se questo “patto originario” non viene rispettato – per esempio a causa di un tradimento di lei – gli uomini si sentono esposti nella loro fragilità, uccisi in un certo senso, e una delle possibili reazioni è proiettare il desiderio di morte sulla partner. Diventano così aggressivi e violenti.”
Perché per gli uomini è così difficile confrontarsi tra loro, sviluppare un’autoconsapevolezza come hanno fatto le donne?
“Perché hanno un sistema diverso – e altrettanto rispettabile – di gestire i problemi, basato sulla solidarietà e sul “distrarsi”, sul “fare altro”. Non c’è spazio per la riflessione, per il confronto, per il “pathos”. Il senso di questa modalità sfugge a molte donne: la scambiano per superficialità o per vigliaccheria. Faticano a comprendere che per l’uomo venire a contatto con la propria debolezza provoca una sensazione vicina all’angoscia, e questo – come abbiamo visto – per ragioni biologiche.”
Sembra di dover ribaltare il luogo comune: non è l’universo femminile a essere sconosciuto e misterioso, bensì quello maschile.
“Dell’universo maschile si tende ad avere una visione grottesca: gli uomini sono tutti uguali, semplici e prevedibili, in contrapposizione alle donne che sono imprevedibili e complesse. In realtà finora è mancato un vero confronto tra i generi, tanto che spesso uomini e donne si vivono come nemici gli uni delle altre. I due sessi dovrebbero invece cominciare a dialogare davvero e nel rispetto reciproco. Le donne non dovrebbero banalizzare il mondo maschile, come spesso tendono a fare, ma piuttosto accompagnare i loro compagni, amici e figli nel gestire le frustrazioni della loro virilità. E gli uomini dovrebbero cominciare a confrontarsi tra loro per venire a patti con i loro punti deboli: capire cioè che toccare con mano le proprie fragilità è un passaggio obbligato verso la virilità vera. La prevenzione del femminicidio passa anche da questo: da un confronto aperto e rispettoso tra i due sessi e da una maggiore autoconsapevolezza maschile.”
Il fatto che sempre più uomini ricorrano alla psicoterapia è un buon segno?
“Secondo me sì: indica che sempre più spesso gli uomini si interrogano su di sé, si mettono in gioco, accedono allo strumento della relazione psicoterapeutica perché ne riconoscono il valore più che in passato. E probabilmente può essere loro utile confrontarsi con una psicoterapeuta donna, che permetta loro di identificarsi in un funzionamento diverso, di comprendere le diversità dentro i conflitti. La terapia può aiutarli a capire che il mondo femminile non è loro ostile, e che può anzi mostrare loro come tollerare l’incertezza e le difficoltà senza sentirsi disarmati o impotenti.”
(19 Giugno 2017)