Diario del terapeuta

“Il paziente è in linea, lo accetti?”. Riflessioni sulle psicoterapie a distanza

Un approfondimento sulla tecnica della psicoterapia online, seguita da un’intervista doppia agli autori.

“Buongiorno Elena, da dove si è collegata oggi?” 

“Dott.ssa, mi trovo nella cabina armadio; devo parlare a bassa voce altrimenti sveglio mia figlia”.

“Mi scusi Dott.ssa, oggi sono agitato, andiamo in cucina così bevo un bicchiere d’acqua” – nel frattempo attraverso con lui un corridoio con un’inquadratura degna dei registi di “The Blair Witch Project” e arrivo sul tavolo, finalmente ferma, a guardare il soffitto in attesa di poter rientrare in “contatto” con il mio paziente ansioso.

Queste ed altre situazioni, da marzo 2020, hanno costellato il nostro lavoro di psicoterapeuti.

Con l’avvento della pandemia e le conseguenti restrizioni nazionali, infatti, le attività online hanno subìto un processo di accelerazione forzata, imponendosi in ogni settore professionale e personale. 

Le restrizioni, le costrizioni, i nuovi decreti hanno così segnato l’inizio di una nuova epoca; un cambiamento importante per chi, come noi psicoterapeuti, lavora non solo con la comunicazione verbale, ma contestualizza l’intervento in una relazione, che a sua volta si colloca in un setting, ovvero una dimensione in cui spazio, tempo e ruoli sono definiti e strutturati in modo più o meno rigido.

Dal 2020 in poi ci siamo trovati in un contesto totalmente nuovo, in cui le conoscenze teoriche e le pratiche metodologiche andavano ripensate e ri-narrate.

In questo approfondimento vorremmo offrire alcuni spunti di riflessione sulla psicoterapia online, in base agli insight derivati dalla nostra pratica clinica in questo ultimo anno. L’ambito è vasto, quindi non abbiamo nessuna pretesa di offrire risposte definitive.

Si tratta più di un’occasione di pensare insieme.

Di seguito descriveremo alcuni costrutti che stanno alla base della psicoterapia e che sono trasversali a ogni approccio terapeutico, declinandoli secondo la nostra esperienza con la videoterapia.

Primo colloquio, analisi della domanda, motivazione

Primo colloquio

Il link è stato inviato, sono nella camera virtuale, nella mia stanza di psicoterapia sto aspettando che qualcuno bussi alla mia porta. 

Alcune piattaforme mi danno la sensazione che sia come quando suonano al campanello dello studio ed io apro la porta. 

“La persona X chiede di entrare in connessione con te. Accetti?”. Sì, lo accetto.

Inizia la seduta.

Quando si apre il collegamento, soprattutto in un primo colloquio, ci è capitato spesso di vedere visi tesi e un po’ imbarazzati.

Chi incomincia a parlare?

In genere sono io che inizio, mi presento, accolgo come se fossi nel mio studio. Benvenuti nello spazio virtuale di Psicoterapia. Loro sorridono, sono al sicuro, forse di più, si comincia. 

Albori di una relazione d’aiuto a distanza, nella quale i confini valicano lo spazio e il tempo.

La psicoterapia online rende il servizio più accessibile. Con il servizio da remoto è possibile raggiungere alcune fasce della popolazione che difficilmente riuscirebbero ad accedere a servizi psicoterapici. Pensiamo, ad esempio, alla popolazione di italiani all’estero, che magari hanno faticato a trovare nel luogo di residenza un terapeuta che parli la loro lingua, o semplicemente hanno deciso di rivolgersi al proprio paese di origine perché i costi del servizio sono più bassi.

Analisi della domanda e motivazione

Riteniamo sia importante ed essenziale, nel primo colloquio, conoscere la motivazione e i bisogni che spingono il paziente a chiedere una prestazione online e valutare se questa motivazione sia congrua con il servizio proposto.

Durante l’analisi della domanda ci chiediamo se quel paziente, con quella specifica domanda, sia un paziente eleggibile per un trattamento online. È nostra opinione che non tutti i pazienti possano giovare della modalità da remoto e che, pertanto, sia utile ed etico effettuare un’attenta valutazione prima della presa in carico. Alcuni casi presentano complessità difficili da gestire a distanza; altri necessitano di un lavoro congiunto con i servizi territoriali, e diventa difficile lavorare a distanza. Si tratta di pazienti che portano bisogni complessi, dove si è a contatto con condotte di autolesionismo – mostrate su schermo – o con ideazioni suicidarie. C’è un pericolo (a volte più concreto, a volte meno) e c’è una lontananza fisica che aumenta la sensazione di impotenza

Il virtuale può colludere con la patologia portata dal paziente e spesso si diventa parte di un mondo interno fragile. Sono situazioni in cui si avverte il bisogno di un ancoraggio nel mondo reale. C’è bisogno di concretezza. 

Il setting

“Gentile Dottore, le scrivo per informarla che oggi sarò in ritardo al nostro appuntamento. Sto rientrando da lavoro e c’è traffico. Se chiudo il video, possiamo svolgere la seduta mentre guido?”

Pazienti sul balcone di casa. Pazienti che passeggiano al parco o tra i boschi. Pazienti in auto. La psicoterapia esce dalla stanza e si immerge nel mondo.

Il setting può essere definito come un’area spazio-temporale, vincolata da regole che stabiliscono ruoli e funzioni, in cui poter analizzare il significato affettivo dei vissuti del paziente.

Spazio, Tempo e Relazione sono le coordinate all’interno delle quali si muove anche la psicoterapia online.

Nel passaggio alla modalità da remoto, parafrasando le parole del Dott. Lingiardi, non si tratta più di rappresentarsi “due persone in una stanza” ma “due persone in due stanze differenti”.

E a volte, non si tratta più nemmeno di stanze, ma di spazi aperti.

Il setting, nella psicoterapia online, non è più pensato e gestito solo dal professionista, ma viene co-costruito con il paziente, che sceglie il luogo dal quale connettersi per partecipare alla sua sessione di psicoterapia. Lo “spazio” è il tablet, il telefono, il PC. Lo schermo a volte si muove, a volte è limpido e, a volte, “si scarica”. Allo psicoterapeuta, nella maggioranza dei casi, viene aperta la porta di casa ed egli viene invitato dal paziente a entrare nel suo mondo, che non è solo quello interno ma è anche quello fisico. Lo spazio protegge. È la cucina, la camera da letto disordinata, un ufficio vuoto, lo studio, un albergo. È uno spazio interrotto da suoni, da rumori, da voci. È permeabile.

Questo nuovo spazio forse è più rassicurante, entra nella seduta e diventa parte integrante del lavoro terapeutico.

Il setting online fornisce informazioni sin dalla prima inquadratura e, a volte, ancora prima dell’accensione della videocamera, quando il paziente riporta difficoltà a trovare un ambiente adeguato, nel quale si senta sufficientemente protetto e che garantisca la sua riservatezza.

La porta della stanza che viene continuamente aperta durante l’ora di terapia diventa oggetto del processo terapeutico. Il bisogno di mettere confini si trasforma in un oggetto fisico: la porta sempre violata. 

E quando lo spazio cambia? Quando non c’è costanza, quando le variabili che trasformano quello spazio fisico in spazio mentale, vengono messe di continuo in discussione? 

“Mi scusi oggi sono in ufficio”; “Mi scusi, oggi sono in camera di mia figlia”; “Mi scusi…”.

Che succede? Sembra quasi che non ci sia un luogo sicuro. Si comincia la seduta: On.

Glen Gabbard, nel libro “Violazione del setting” (2017), paragona il Setting a un ring, descrivendolo come uno spazio fisico delimitato, ma dai confini semirigidi. 

Ma quando il confine è una connessione e i pollici di uno schermo la cornice, quale contenimento è possibile?

Crediamo sia di fondamentale importanza interrogarsi sul luogo che il paziente sceglie di mostrarci e sul significato che esso assume all’interno del processo terapeutico.

Il paziente riesce a ritagliarsi uno spazio e un tempo per sé, privo di distrazioni e incursioni degli altri? Il paziente si sente sufficientemente sicuro e protetto nel suo ambiente?

Tempo

Uno degli elementi del setting che ci ha più incuriosito nella psicoterapia online è quello della gestione del tempo. Il tempo ci fa da contenitore più rigido, scorre troppo veloce oppure non scorre. In ogni caso lo viviamo in modo diverso da quanto accade dal vivo. Ci si connette in ritardo, o si “bussa” troppo in anticipo. Quando si entra nel vivo della relazione il tempo scorre e sembra cancellare anche lo spazio. Il tempo è scandito dall’intensità della relazione, o forse è meglio dire della connessione quella emotiva.

Nei nostri studi, dove conduciamo i colloqui in presenza, l’orologio è posto alle spalle del paziente e la gestione del tempo è demandata al professionista, mentre il paziente sembra immergersi in una “sospensione temporale”.

Nella modalità da remoto, invece, sia il paziente sia il terapeuta hanno l’orario visibile sul monitor, e quindi osservano e co-gestiscono lo scorrere del tempo. La modalità online, quindi, introduce un elemento di novità all’interno del processo.

In che modo questo aspetto influisce sulla terapia? Ancora un punto sul quale riflettere.

Dopo qualche mese di sedute online, mi è capitato di vedere un paziente in presenza. In quell’occasione, mi sono accorto di come l’eloquio del paziente, di solito molto accelerato e con difficoltà nell’alternanza dei turni di parola, fosse invece più lento e rispettoso dei turni.

Confrontando il paziente su questi aspetti, mi ha riferito che nella video terapia, avendo l’orario sotto i suoi occhi, sente una spinta a sbrigarsi, a dire di più e più in fretta perché il tempo scorre.

Connessioni emotive

La connessione tra noi e il paziente, i silenzi, i pianti, la rabbia, scandiscono il tempo della seduta. La connessione emotiva rompe le distanze e blinda quel momento, davanti a uno schermo che non scherma, ma mostra, con una vicinanza maggiore di quanto possa essere nel reale. Il volto del paziente è in primo piano, senza filtri, mentre in studio lo vedremmo a due metri di distanza, coperto dalla mascherina.

Nella nostra esperienza, non è raro che nel mezzo di una seduta, il paziente esordisca con “Aspetta un attimo, ti faccio vedere!”. Ed è cosi che ci porta “a spasso” per casa o per il luogo in cui si trova, mostrandoci il suo animale domestico, la sua postazione studio o qualsiasi altra cosa che sia inerente a quanto ci stiamo raccontando.

Siamo grati, ma cosa ci sta comunicando? La maggior parte delle volte, sarà possibile percepire da parte del paziente un desiderio di intimità e di vicinanza che aggira la separatezza del video e trova nuove vie creative per soddisfarlo. Altre volte, invece, potrebbe rivelarsi potenzialmente manipolatorio o difensivo. Non esiste una regola fissa, se non quella di interrogarsi su ciò che il paziente ci sta implicitamente dicendo. Rimandare al paziente queste domande, dare nuovi significati a quei comportamenti.

Immagine di sé

Le piattaforme più utilizzate per le video-conversazioni (es. Skype, Google Meet, ecc.) danno la possibilità all’utente di scegliere la modalità di visione preferita. È possibile quindi visualizzare sul proprio schermo solo la propria immagine riflessa, solo l’immagine dell’interlocutore o entrambi. In tutte le soluzioni, però, ci sarà sempre un piccolo riquadro di controllo in cui è presente la propria immagine. Questa caratteristica, apparentemente di poco conto, introduce un elemento del tutto nuovo nella comunicazione umana, ovvero la possibilità di vedere se stessi e il proprio linguaggio non verbale nel momento in cui si sta interagendo, aspetto che prima dell’avvento di internet era prerogativa esclusiva dell’altro.

In che modo questo influirà nella modulazione di sé, dei propri gesti e comportamenti? 

Che significato può acquisire e che impatto avrà per quelle persone che non vivono il proprio corpo e la propria immagine con serenità?

 

Come stai? Intervista doppia ai terapeuti Antonino Cascione e Marzia Cosentino

L’esperienza della psicoterapia online ha introdotto novità e richieste di nuovi adattamenti anche al terapeuta.

Ma noi curanti, come stiamo?

«A volte sentiamo la difficoltà di gestire la distanza fisica, a volte sentiamo la forza dirompente della rabbia che rompe lo schermo. Sentiamo uno spazio, un muro dietro di noi, sempre lo stesso, e la dimensione dello schermo. Si stabiliscono nuove modalità comunicative che aumentano ed espandono il concetto di relazione e di connessione. 

È proprio la relazione il vero contenimento di questo spazio virtuale che supera le distanze fisiche e riesce a incontrarsi in uno spazio psichico. Proviamo la stessa “emozione” di un primo colloquio, di un primo incontro, con un pizzico di imbarazzo in più e l’assoluta e dichiarata incapacità di risolvere problemi tecnici e di connessione».

Marzia, ma quindi va sempre bene?

«No, non sempre va bene. Come terapeuta di coppia trovo grandi difficoltà nell’obbligare due persone con alta conflittualità all’interno di uno schermo. Nella mia stanza “reale” lo spazio è parte integrante della terapia. Lo spazio diventa teatro e le sedie aumentano o diminuiscono. I miei pazienti utilizzano lo spazio, utilizzano le distanze e si confrontano con nuove vicinanze. Quando la conflittualità è alta chiedo alla coppia se preferiscono collegarsi allo stesso link con due strumenti diversi. Decideranno loro se mantenere questa distanza o sperimentarne una diversa, con il tempo. A livello tecnico diventa difficile ad esempio costruire un genogramma e lavorare sulla spazialità grafica delle relazioni. Diventa difficile il movimento, che può trasformarsi solo in movimento psichico. Per noi terapeuti sistemici è importante anche quello in stanza».

Per te, Antonino, va sempre bene?

«Due sono i punti sui quali mi sono maggiormente interrogato: la mia frustrazione nel non potere intervenire in modo attivo e l’utilizzo di tecniche più espressive o corporee.

Per fare un esempio, rispetto al primo punto, in quei momenti di contatto, nei quali il paziente sta affrontando nodi dolorosi e manifesta la sua emozione piangendo, mi capita di sperimentare frustrazione per non poter compiere il semplice gesto di passare un fazzoletto; gesto semplice ma che veicola il messaggio “Sono qui con te, non sei da solo”. Ho, quindi, imparato a modulare maggiormente la voce, parlando lentamente e con un tono più basso e a esplicitare ciò che in sede sarebbe rimasto (forse) implicito.

Rispetto all’utilizzo di tecniche espressive e corporee, mi sembra che le variabili siano due: l’alleanza raggiunta con il paziente e il luogo dal quale si collega.

Nella mia esperienza, ho notato che le tecniche di rilassamento (es. training autogeno, fantasie guidate, ecc.) vengono ben accolte dai pazienti anche in modalità online; è importante però che il paziente possa trovarsi un luogo silenzioso e in una posizione comoda.

L’introduzione di tecniche ad alta intensità emotiva, come per esempio la sedia vuota, mi appare invece come più delicata e riesco a proporla solo quando sono certo che si sia consolidata l’alleanza terapeutica e il paziente mostra fiducia nei miei confronti».