L’esperimento di una scuola berlinese e i recenti risultati scientifici di alcune delle migliori università del mondo ci spingono a rivedere il metodo scolastico tradizionale. Contro voti e lezioni frontali vincono la motivazione e lo spirito d’iniziativa.
“Paul è un ragazzo molto timido, ma è anche appassionato di scacchi ed è bravo in questo gioco. In una classe di bambini della vecchia scuola di Paul, il corso di scacchi non si tiene più perché l’insegnante si è trasferito. E così Paul si propone come nuovo insegnante di scacchi: potrà provare a vincere la propria paura di parlare in pubblico insegnando questo gioco ad un gruppo di bambini più piccoli di lui.
Anton, 14 anni, invece è un tipo che non si tira indietro di fronte a nulla: grazie al suo spirito d’iniziativa e a una bella faccia tosta è riuscito a girare la Cornovaglia in lungo e in largo con un gruppo di amici, spendendo solo 150 euro. E così viene invitato a parlare di motivazione a 200 dipendenti delle Ferrovie Tedesche (che aveva interpellato e convinto, appunto, a regalargli dei biglietti gratuiti per viaggiare all’estero).”
Insegnare agli altri ciò che sappiamo fare e coltivare lo spirito d’iniziativa. Sono alcune delle “materie” di una scuola di Berlino, la Evangelische Schule Berlin Zentrum, che ha fatto di questo stile educativo il proprio tratto distintivo. Il tutto senza voti fino ai 15 anni, senza orari rigidi, senza lezioni frontali, con ampia possibilità da parte dello studente di scegliere le materie da studiare. Solo alcune materie vengono considerate fondamentali e sono quindi obbligatorie: la matematica, il tedesco, l’inglese e le scienze sociali. Non molto distante da una scuola Montessoriana o Steinerina (e che ricorda anche l’esperienza della scuola di Don Milani), ma con un sistema di regole molto rigoroso: se disturbi in classe vieni a scuola anche il sabato.
Possibile? Certo, e non solo: funziona, tanto che l’esperimento sta riscuotendo l’interesse dei principali media internazionali, come il Guardian. I risultati sono che i ragazzi vanno a scuola più volentieri, hanno desiderio di imparare dai più grandi e di insegnare ai più piccoli, applicano sul campo le loro nuove conoscenze e, ultimo ma non meno importante, hanno risultati molto buoni nei test di fine percorso scolastico.
Che cosa rende questo tipo di didattica vantaggiosa rispetto a quella tradizionale? La risposta arriva da una nuova branca di studio interdisciplinare che viene chiamata Educational Neuroscience e che fa dialogare tra loro pedagogia, psicologia e neuroscienze. Una nuova frontiera della ricerca applicata, che sta suscitando ampio interesse e su cui stanno investendo alcune tra le migliori università del mondo come l’americana Stanford e le inglesi University College of London e Cambridge.
La motivazione aiuta la memoria
La maggior parte di questi gruppi di ricerca si sta concentrando sullo studio dell’interconnessione tra i circuiti cerebrali che sono alla base di funzioni come attenzione e memoria di lavoro (funzioni esecutive) e le aree cerebrali che regolano gli aspetti emotivi e quelli motivazionali. In particolare, al centro di queste indagini ci sono le connessioni tra le aree prefrontali, il corpo striato, l’amigdala e l’ ippocampo: queste sono le componenti del cervello su cui si basa il successo di questo tipo di organizzazione scolastica.
È infatti esperienza comune che quando svolgiamo attività di nostro interesse la nostra attenzione è maggiore rispetto a quando ci dedichiamo ad attività che non ci piacciono. Questo perché quando siamo motivati, le aree prefrontali si attivano di più e in maniera più mirata e più efficiente. Questo ci permette di focalizzare di più l’attenzione e, soprattutto, di mantenerla nel tempo. L’amigdala poi, deputata al riconoscimento e alla modulazione degli aspetti emotivi, invia continuamente dei feedback ai centri del nostro cervello più specializzati nella memoria a lungo termine (in particolare l’ippocampo). Quindi, quanto più un’attività ci coinvolge emotivamente, tanto maggiore sarà la nostra attenzione e la nostra capacità di memorizzarla.
Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo
Tutti noi abbiamo provato quanto sono vere queste parole quando abbiamo imparato a guidare. Se qualcuno ci spiega solo verbalmente come si guida (bisogna premere la frizione, inserire la marcia, ecc..) dopo 10 minuti abbiamo già dimenticato tutto. Se invece vediamo come si fa allora qualcosa ci rimane in memoria. Ma solo guidando si impara a guidare. Lo stesso vale anche per la scuola: per imparare le scienze devo avere la possibilità di sperimentare, per imparare una lingua straniera devo parlarla con qualcuno madrelingua, per imparare ad arrangiarmi devo pianificare e vivere un’avventura.
Chiedere a un alunno più grande di insegnare a un bambino più piccolo come si fa a trovare l’area del trapezio aiuterà a farlo sentire utile, a ripassare l’area del trapezio e, se non la ricorda bene, sarà la volta buona che la impara veramente.
I voti scolastici sono superati?
Infine, due parole sui voti, l’autostima e il meccanismo della ricompensa. Non è il voto in sé il problema. Il problema vero è che il voto sta rappresentando il principale parametro di riferimento del meccanismo della ricompensa a scuola. Volendo semplificare molto, ci sono due tipi di ricompensa: quella endogena (che viene da dentro) e quella esogena (che viene da fuori). Per esempio, un ricercatore scopre una nuova molecola efficace per la cura di una malattia: la prima ricom*pensa, quella endogena, è la soddisfazione di aver scoperto qualcosa di nuovo, di aver verificato la bontà di una propria idea; la seconda ricompensa, quella esogena, sta nel pubblicare i risultati in una rivista di rilievo e nel plauso della comunità scientifica (oltre ai benefici di un eventuale brevetto).
Scuole come l’Evangelische Schule Berlin Zentrum puntano molto sul meccanismo endogeno, cioè sul piacere di studiare come mezzo per capire e per provare soddisfazione nella scoperta di orizzonti nuovi. Dal punto di vista delle neuroscienze, a farla da padroni sono i circuiti di dopamina e la ragione cerebrale del nucleo accumbens. I bravi insegnanti, alimentando l’autostima e la fiducia nel sapersela cavare in imprese “fuori dai banchi” e sostenendo la gioia nell’imparare e lo spirito di cooperazione, permettono di rinforzare i meccanismi cerebrali che hanno permesso all’uomo di sopravvivere nel corso dell’evoluzione.
La nuova sfida della didattica sta quindi nell’applicare i dati che le neuroscienze sfornano quotidianamente in nuove proposte di insegnamento, in nuove organizzazioni degli spazi e dei tempi scolastici. E il primo passo è far comunicare tra loro insegnanti, psicologi, pedagogisti, neuroscienziati, creando gruppi di lavoro ad hoc.
(5 Maggio 2017)