Quando si vuole intraprendere una psicoterapia, scegliere a chi affidarsi è il passo più difficile. Per aiutare chi soffre di un disagio psicologico a scegliere il percorso e il professionista più adatto, conoscere la sua storia e le sue caratteristiche personali è fondamentale. In alcune realtà, come il Centro Medico Santagostino, stanno nascendo modelli di presa in carico personalizzati, possibili grazie alla diversificazione dei servizi, al lavoro d’équipe e alla presenza di professionisti con formazione e caratteristiche personali diverse.
La psicoterapia, ovvero una terapia utile a favorire un cambiamento nella vita emotiva di una persona, è un evento unico, esattamente come lo è ogni relazione tra due persone. E come ogni rapporto interpersonale, non è un evento statico, ma un processo dinamico, in continuo movimento, che si costruisce e si fa insieme.
Ma se si parla di terapia psicologica, il rapporto che si sviluppa non è del tutto spontaneo, o meglio lo è solo in parte. Esiste una cornice di regole e accordi, abitualmente chiamata “setting”, all’interno della quale si agisce di comune accordo guidati da uno scopo, in genere definito in modo esplicito all’inizio (anche se può modificarsi nel corso della terapia). Ed esistono fasi attraverso cui ogni percorso terapeutico si articola.
La scelta del terapeuta
La psicoterapia è dunque una relazione unica e irripetibile come ogni relazione umana, ma anche una relazione professionale che si pone obiettivi complessi e ambiziosi, che possono richiedere anche molto tempo. Essendo una relazione così importante e delicata, è quindi fondamentale scegliere “il terapeuta giusto”. Ma come? Ognuno segue il suo modo, assecondando le proprie preferenze, inclinazioni, immagini interne: ci sarà chi cerca su internet, chi chiede consigli a conoscenti o medici, chi vuole il professore universitario, chi lo psichiatra e chi lo psicologo, chi un giovane e chi un anziano, chi un uomo e chi una donna, chi punta al miglior prezzo, al miglior curriculum, o al curriculum che gli sembra più adatto al suo caso, o a chi ha lo studio con la posizione più comoda o centrale, il volto che gli ispira maggior fiducia… e si potrebbe andare avanti. In un modo o nell’altro, quindi, e non sempre in prima battuta, si giunge alla scelta di un professionista con la “psi”.
La scelta è spesso fortunata, e in ogni caso molti studi scientifici hanno dimostrato che iniziare una psicoterapia è sempre meglio che non fare nulla per il proprio problema. Ma accade anche che la scelta si riveli deludente, facendo sentire scoraggiati e abbattuti, inducendo magari a rinunciare a una terapia di cui si aveva un gran bisogno. Il punto è che i professionisti non sono tutti uguali: ciascuno ha una propria formazione (solo in Italia ci sono centinaia di scuole di psicoterapia diverse), il suo bagaglio di esperienze, il suo modo di entrare in relazione, la sua idea di terapia. Individuare lo specialista più adatto al proprio caso è un’impresa davvero difficile, che non è alla portata di nessuno.
La terapia personalizzata
Con l’aumentare delle conoscenze nel campo, oggi abbiamo a disposizione criteri più affidabili per conoscere quale tipo di terapia sia più adatta per una determinata persona. Per questo al Centro Medico Santagostino – in cui lavorano oltre 100 specialisti, psichiatri e psicologi, di formazione diversa e in costante interazione tra loro – è stato messo a punto un modello di personalizzazione della terapia che evita al paziente l’impresa “impossibile” di individuare da solo la strada giusta per sé.
A differenza di ciò che avviene normalmente, infatti, al Santagostino non è il paziente a scegliere il proprio terapeuta, ma esiste una figura specifica e appositamente formata – il “terapeuta della prima visita” – che sulla base della propria esperienza clinica, della letteratura scientifica, del confronto con l’équipe multidisciplinare, è in grado di impostare un ragionamento diagnostico e un’ipotesi di cura.
Ogni professionista, infatti, ha nel proprio repertorio una cassetta degli attrezzi da cui attingere. Conoscere questo magazzino di strumenti è il presupposto necessario al fine di individuare, insieme alla persona che inizia il suo percorso di terapia, quali attrezzi possono funzionare al meglio per affrontare il problema che porta a raggiungere gli obiettivi desiderati. Anche in questo caso, il terapeuta non dovrebbe limitarsi a suggerire una strada possibile, ma condividere con la persona che gli chiede aiuto alcune ipotesi, e costruendo poi insieme la scelta della strada più appropriata.
La prima visita
Prima di iniziare, il terapeuta della prima visita può controllare lo storico delle visite mediche che il paziente ha già sostenuto presso il centro, per accertare eventuali aspetti medici di rilievo da approfondire in seduta. Quindi raccoglie la storia del paziente, approfondendone molti dettagli (in particolare quelli che permettono di inquadrare il problema e il “funzionamento” della persona secondo il sistema OPD), spesso con l’aiuto di un tirocinante che mette per iscritto gli elementi essenziali.
La storia raccontata dalla persona assume una nuova importanza, in quanto viene “narrata”, diventa una sorta di romanzo: i professionisti leggono insieme questo racconto, ne discutono e cercano l’idea migliore per continuare la trama. Ragionano cioè sul collega che secondo loro può intervenire con maggiore efficacia, in relazione alla problematica riportata dalla persona. Paziente e terapeuta si consultano su questa scelta: uomo o donna? Meglio più esperto o più giovane? Quando vuole cominciare? Quale sede è più comoda? Per quali orari? Per quanto tempo?
Seguiranno due colloqui di approfondimento con il professionista che è stato individuato per iniziare questo percorso, ma il terapeuta del primo colloquio rimane sempre a disposizione. La scelta, infatti, è revocabile: se ci si trova male se ne può parlare, per provare a capire che cosa può essere andato storto e come poter fare una scelta migliore.
La scelta dello psicoterapeuta
La psicoterapia è una terapia basata sulla parola e sull’esperienza interpersonale. Nella sua accezione più generale ha lo scopo di favorire l’accesso consapevole a processi automatici, impliciti, disfunzionali e di renderli progressivamente più padroneggiabili e regolabili attraverso una loro modifica o sostituzione. La scelta di uno specifico orientamento teorico per la terapia può dipendere da diversi fattori. In primo luogo, il modo in cui le diverse psicoterapie costruiscono un’idea del funzionamento dell’individuo può rivelarsi più utile con certe categorie di problemi psicologici. Altri elementi importanti in questa scelta sono, poi, le spiegazioni che la persona si dà del proprio problema, ovvero le sue “teorie personali”, e le peculiarità che caratterizzano la sua storia di vita.
Scegliere l’approccio terapeutico più appropriato per una data situazione implica considerare tante variabili. Le ricerche dei più eminenti studiosi in questo campo mostrano che nessuna terapia è in assoluto migliore di altre per trattare un certo tipo di disagio psichico.
Per esempio, per il disturbo borderline di personalità, le differenze nell’efficacia dei diversi trattamenti manualizzati sembra essere minima. In altri casi alcune tecniche specifiche risultano più indicate di altre in seguito alla valutazione di diverse componenti, come:
– il problema riportato dalla persona (tipologia e gravità);
– il contesto e la fase del ciclo di vita di un individuo (adolescenza, età adulta, terza età);
– la fase del percorso psicoterapeutico (inizio, fase centrale, conclusione).
Un esempio per chiarire
Diverse persone lamentano problematiche ansiose, spesso accompagnate da “attacchi di panico”. Durante il primo colloquio, la scelta di tecniche e il progetto del trattamento che il terapeuta propone dipenderanno anche da elementi non necessariamente implicati nel tipo di sintomo, ma che hanno a che fare con il tipo di persona che sta chiedendo aiuto.
Per una persona che dopo alcuni attacchi di panico inizia a sviluppare ansia anticipatoria, attuare evitamenti di situazioni temute e rimanere incastrata in circoli viziosi in cui pensieri catastrofici amplificano le sensazioni fisiche e la paura, e che cerca un intervento mirato a gestire i sintomi e le loro conseguenze nel qui ed ora, senza volerne comprendere necessariamente i motivi e le concause, il primo approccio può essere un percorso di tipo cognitivo comportamentale in senso stretto.
Persone che vivono l’esperienza dell’ansia acuta come segnale emotivo in connessione con fattori di tipo affettivo, che magari sono più propense all’introspezione, curiose dei motivi dei propri sintomi e desiderose di un approccio di lavoro che consenta loro un’esplorazione a tutto tondo del loro funzionamento mentale, possono servirsi con più giovamento di strumenti di lavoro tipici degli approcci psicodinamici/relazionali.
In altri casi ancora, la richiesta iniziale di un percorso di terapia finalizzato alla sola gestione del sintomo diventa, dopo i primi colloqui di costruzione delle ipotesi di cura, una domanda a cui la risposta più appropriata è in realtà del secondo tipo, o viceversa.
Esistono poi casi intermedi, persone per cui è indicata una terapia farmacologica, o una tecnica specifica (come l’emdr) o una terapia espressiva (come l’arteterapia). Il terapeuta che gestisce le prime visite guida e favorisce questo processo decisionale costruendo le risposte insieme al paziente. Obiettivo finale è selezionare gli strumenti di cui quel tipo di persona può servirsi nel miglior modo possibile.
(7 Febbraio 2018)