Gli studi sull’efficacia della psicoterapia mostrano sempre più come sia utile utilizzare strumenti diagnostici vicini all’esperienza concreta del paziente e del clinico, che consentano l’utilizzo di un linguaggio comune e condiviso dai vari indirizzi. L’OPD-2 va proprio in questa direzione, e per questo è stato scelto dal Centro Medico Santagostino come cornice di riferimento per i primi colloqui clinici.
È cosa nota, in psicoterapia, che un buon inquadramento del caso clinico costituisce uno degli elementi di maggiore aiuto per pianificare il trattamento. Per questo motivo esistono numerosi sistemi di classificazione dei disturbi psichici, suddivisibili in due macro-categorie: i sistemi di tipo “categoriale” e quelli di tipo “dimensionale”.
La classificazione categoriale
I sistemi per decenni più famosi e ancora oggi utilizzati, come il DSM e l’ICD, sono di tipo categoriale, ossia basati sul concetto di “presenza o assenza” dei sintomi caratteristici dei vari disturbi. Questi sistemi hanno avuto e hanno tuttora il merito di favorire il clinico nell’orientarsi con facilità nell’universo dei disturbi mentali, oltre ad aver permesso a milioni di persone di dare un nome al proprio disagio e avere accesso a cure e assistenza, ma portano con sé alcuni innegabili limiti. Uno tra tutti quello di fregiarsi del principio di ateoreticità, ossia l’assenza di una teoria di riferimento, che renderebbe i sistemi di classificazione per categorie “neutrali” e accessibili a tutti: questa scelta di fatto va in contrasto con quanto dimostrato da moltissimi studiosi (di stampo costruttivista, ma non solo), che sostengono oggi come sia impossibile osservare o raccogliere dati senza avvalersi di un paradigma o di un programma di ricerca condiviso.
La classificazione dimensionale
Per questo motivo negli ultimi decenni si è assistito allo sviluppo e alla crescita di sistemi di classificazione di tipo dimensionale, ossia basati su una valutazione delle variazioni quantitative (cioè dell’intensità dei sintomi) su diverse dimensioni – per esempio la cognizione, la percezione o la personalità – lungo un continuum da normalità a patologia (come già accade per i Disturbi dello spettro autistico nel DSM 5, l’ultima versione di un sistema storicamente categoriale). I sistemi dimensionali, per la maggior parte caratterizzati da una cornice di riferimento psicodinamica, hanno il vantaggio di distinguere i livelli di gravità di una psicopatologia, ma hanno a volte lo svantaggio di risultare di difficile comprensione, rendendo ostico il dialogo tra clinici e la comparazione tra disturbi.
La diagnosi operazionalizzata
Il sistema OPD (Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata), sviluppato da un gruppo di psichiatri e psicoterapeuti tedeschi negli anni novanta e attualmente alla sua seconda edizione, è stato sviluppato in Italia dal Gruppo Zoe di Milano e nasce dalla volontà di superare tutti i limiti sopracitati, unendo i punti di forza delle due tipologie di sistemi diagnostici. Esso infatti si pone l’obiettivo di ampliare le classificazioni puramente descrittive dei disturbi psichici, integrandole con alcune dimensioni psicodinamiche fondamentali per la descrizione degli individui, ponendo tuttavia attenzione a far dialogare tra loro le diverse correnti teoriche e tenendo in grande considerazione il contributo di discipline quali la psicoterapia cognitiva e le neuroscienze. Fondamentale, inoltre, risulta il concetto di operazionalizzazione dei costrutti, ossia la loro descrizione attraverso “punti di ancoraggio” (anchor points) che permettano di assegnare al paziente un punteggio su ciascuna dimensione basato su descrizioni fenomeniche, vicine cioè al piano dell’osservazione clinica.
Diagnosi e piano di trattamento
Nel passaggio dalla prima alla seconda versione, il sistema OPD si è trasformato da manuale diagnostico a manuale diagnostico e per la pianificazione del trattamento, volto quindi a valutare anche il processo e il cambiamento in psicoterapia. OPD-2 osserva infatti alcune aree specifiche di funzionamento mentale, e in esso i problemi individuati diventano i foci dell’intervento: la diagnosi si pone quindi al servizio della clinica, come in una sorta di acceleratore che costringe il clinico a soffermarsi su aspetti che emergerebbero in una fase successiva della terapia, focalizzandosi invece su di essi fin da subito. Ciò rende possibile formulare, oltre che una diagnosi, una prima ipotesi valida di piano terapeutico, basandosi tuttavia sull’idea di un monitoraggio continuo dell’andamento del percorso, con anche una possibile riformulazione delle ipotesi diagnostiche. In virtù di queste caratteristiche, il sistema risulta particolarmente vantaggioso all’interno di una struttura come il Centro Medico Santagostino, dove si svolgono una media di 70 primi colloqui a settimana e l’uniformità di trattamento e inquadramento, basata su costrutti validati e trasversali, è fondamentale. Il “metodo Santagostino” prevede inoltre che il clinico che svolge il primo colloquio crei un “set” di informazioni poi usate da un altro collega (colui che condurrà la terapia): per questo la condivisione e la comunicabilità di quanto osservato sono così importanti.
I quattro assi
Il sistema si compone di quattro assi così intitolati:
- Esperienza di malattia e presupposti per il trattamento
- Relazioni interpersonali
- Conflitti
- Struttura
seguiti da un quinto asse, Disturbi mentali e psicosomatici, relativo alla formulazione di una diagnosi nosografico-descrittiva secondo DSM-5 o ICD-10, per rendere più chiare e comunicabili le descrizioni di ciascun paziente.
I primi quattro assi, formulati ciascuno da un gruppo di lavoro indipendente e caratterizzati da una parte teorica e da numerosi esempi clinici, sono così riassumibili:
- il primo, Esperienza di malattia e presupposti per il trattamento, parte da un modulo generale riguardante le teorie del paziente sulle cause della sua patologia e sul trattamento per essa più adeguato, nonché le strategie di coping (ossia le modalità di adattamento a una situazione stressante) da lui utilizzate per farvi fronte. Oltre a questo modulo, la cui compilazione è obbligatoria, ne sono presenti altri tre, facoltativi e utilizzabili a seconda della situazione e delle specifiche esigenze: il modulo psicoterapia (che distingue tra i pazienti che desiderano e risultano indicati per un trattamento psicoterapico e quelli che si oppongono o in questo momento non ne trarrebbero vantaggio), quello forense e quello sulle dipendenze. Il sistema è aperto e in continua evoluzione: un gruppo di ricercatori cileni, per esempio, sta sviluppando un modulo dell’asse I relativo alla violenza domestica. L’asse I è particolarmente rilevante per la formulazione di un percorso terapeutico individualizzato e condiviso con il paziente, nell’ottica di una sempre maggior personalizzazione dei trattamenti.
- il secondo asse, Relazioni interpersonali, valuta le diverse modalità relazionali disfunzionali del paziente, utilizzando quattro vertici osservativo-esperienziali:
– come il paziente percepisce ripetutamente gli altri nei suoi confronti;
– come il paziente percepisce ripetutamente se stesso;
– come gli altri percepiscono ripetutamente il paziente nei loro confronti;
– come gli altri percepiscono se stessi nei confronti del paziente.
Tali vertici contribuiscono alla definizione della “Formulazione dinamica relazionale”, ossia del pattern relazionale ripetitivo disfunzionale del paziente, il cui contenuto prende spunto dal modello di Lorna Benjamin, con due assi ortogonali che rappresentano le dimensioni dell’affiliazione (amore-odio) e dell’interdipendenza (dipendenza-indipendenza). - il terzo asse, Conflitti intrapsichici, permette di valutare i differenti conflitti osservabili nel paziente. Questo è probabilmente l’ambito in cui è più visibile quanto la “manovra di operazionalizzazione” dei costrutti renda concetti di derivazione tipicamente psicodinamica e complessi – quali i conflitti – vicini all’esperienza concreta di clinico e paziente e per questo più comprensibili, oltre che attendibili e riproducibili. Tra i conflitti individuati dal sistema troviamo per esempio il conflitto di autostima, il conflitto di colpa e quello di identità. Per ciascuno viene valutata la presenza e il grado di significatività che esso assume nel paziente, attraverso una scala dimensionale con punteggi da 0 (Assente) a 3 (Presente e molto significativo). È possibile assegnare un punteggio di 9 se la dimensione non risulta valutabile per lo specifico paziente.
- il quarto asse, Struttura, permette di formulare un’ipotesi sul grado di integrazione della struttura di personalità del paziente, considerata idealmente lungo un continuum che va dal versante nevrotico a quello psicotico. Tale valutazione è resa possibile dall’osservazione di quattro differenti dimensioni, ciascuna declinata in una componente riferita verso il sé e in una verso gli altri (l’”oggetto”). Le quattro dimensioni sono:
– Capacità cognitive (percezione del sé e dell’oggetto)
– Regolazione della relazione (autoregolazione e regolazione della relazione con l’oggetto)
– Comunicazione (interna e con il mondo esterno)
– Attaccamento (agli oggetti interni e a quelli esterni).
Il colloquio OPD
Il colloquio OPD prevede alcuni “must have”, ai quali i clinici del Santagostino che svolgono le prime visite prestano particolare attenzione. Nella prima fase del colloquio si lascia spazio al paziente affinché si senta libero di esporre il suo problema nel modo per lui migliore, successivamente si indagano gli elementi necessari per indagare le varie aree, infine si ragiona sulla diagnosi psichiatrica. Particolare importanza viene data al racconto del paziente relativo a tre elementi: gli episodi relazionali, la descrizione di sé, la descrizione dell’oggetto (ossia dei suoi interlocutori significativi).
Oltre a fornire delle linee guida diagnostico-cliniche puntuali e approfondite e a offrire indicazioni circa la pianificazione e il monitoraggio del trattamento, il sistema OPD-2 è un utile strumento di ricerca e viene utilizzato in diversi ambiti del lavoro clinico, per esempio quello peritale.
Al Santagostino, i clinici che svolgono i primi colloqui seguono un corso dedicato ai principi teorici e alle applicazioni pratiche del sistema OPD-2 e vengono costantemente supervisionati dai professionisti del gruppo Zoe, ossia da coloro che in Italia hanno maggiormente approfondito lo studio e la ricerca su tale sistema.
OPD-2 costituisce un’ottima guida, favorendo i terapeuti nella scelta di quali aspetti dell’esperienza, del comportamento e del funzionamento psicologico del paziente osservare. Un terreno sempre più uniforme di confronto e condivisione, malgrado la vastità dell’équipe e la presenza di orientamenti teorici diversi, nell’ottica di una pianificazione del trattamento il più possibile attenta e scientificamente orientata e di una sempre maggior attenzione ai bisogni del singolo individuo.
(6 Febbraio 2018)