Secondo uno studio irlandese, più di un papà su dieci vive in modo traumatico la nascita del figlio. Con gravi ripercussioni anche sulla salute mentale del bambino e della compagna.
Quando pensiamo alla depressione post partum, la prima figura che ci viene in mente è quella di chi il parto l’ha vissuto in prima persona: la mamma. Anche per i papà, però, la nascita di un figlio rappresenta un momento di svolta che può, in certe situazioni, avere effetti traumatici.
In psicologia è chiamata “depressione postnatale paterna” (o Ppnd, paternal postnatal depression), e secondo un recente studio della University College Cork in Irlanda, colpisce più di un papà su dieci .
Allo studio hanno partecipato 100 uomini i cui figli non avevano ancora compiuto un anno di età. Il 12 per cento di loro ha presentato sintomi di disagio mentale a seguito della nascita del figlio.
Si tratta di una patologia diversa dalla vera e propria depressione post partum femminile: una combinazione di varie forme di disagio causate da molteplici fattori, come la privazione del sonno, la sensazione di sentirsi esclusi dalla partner, la percezione di perdita di ruolo con l’arrivo del bimbo, la riduzione della frequenza e della qualità dei rapporti sessuali, la sensazione di impreparazione e inadeguatezza.
Anche i sintomi sono diversi: mentre nella mamma la depressione si manifesta soprattutto come tristezza, apatia, ansia e abbassamento dell’autostima, nel papà emerge attraverso rabbia, ostilità e tendenza al conflitto. Inoltre gli uomini tendono maggiormente a trovare “vie di fuga” nel lavoro, nello sport, nei rapporti sessuali, nel gioco d’azzardo o nell’abuso di sostanze.
Ma i primi segnali compaiono già prima del parto, nel periodo della gravidanza. I più importanti sono il senso di incompetenza come padre (“sarò all’altezza?”), l’insoddisfazione nella relazione con la compagna in attesa e la gestione di eventuali suoi sintomi depressivi.
Per questo è importante che il papà preservi la propria salute mentale con alcuni accorgimenti già durante i nove mesi di gestazione della mamma:
- sviluppare un attaccamento al feto e realizzare che è qualcosa di separato dalla mamma: sentirlo muoversi nella pancia ed entrarci in relazione come individuo. I dati dicono che il 20 per cento dei futuri papà non lo fa né prima, né nei momenti immediatamente successivi alla nascita;
- entrare in confidenza con il fatto che la famiglia si sta allargando e, se è il primo figlio, che la coppia diventerà una triade: prepararsi a gestire e smorzare sentimenti di competizione con il nuovo nato per le attenzioni della compagna;
- non far convergere nel figlio in arrivo aspettative di gratificazione del proprio ruolo o della propria autorevolezza.
La Ppnd non è un rischio solo per il papà. Come succede anche per la depressione della mamma, infatti, questa condizione può avere gravi conseguenze sul neonato, rendendolo più fragile e meno “resiliente” (la resilienza è la capacità di far fronte alle difficoltà). I dati suggeriscono infatti che la sofferenza del papà può aumentare lo stress familiare, impedire lo sviluppo di un legame affettivo col neonato, favorire le violenze fisiche e predisporre il bambino a psicopatologie legate alla sfera emotiva, disturbi della condotta e iperattività. L’eventuale abuso di sostanze può avere altre conseguenze negative: indurre cioè il padre a comportamenti di evitamento e rifiuto che spesso portano anche a sminuire la compagna e a lungo andare possono diventare causa di separazione.
Altro scenario ancora è quello in cui sia la mamma che il papà vivano come una crisi il periodo successivo alla nascita del figlio. In caso di depressione post partum della mamma, infatti, il papà è un importante elemento “tampone” che permette di salvaguardare il benessere del bambino, ma quando anche questa figura è in difficoltà la salute del bambino viene compromessa con gravi conseguenze per il suo sviluppo psicofisico.
(14 Marzo 2017)