L’ansia è una risposta naturale del corpo allo stress, caratterizzata da sentimenti di preoccupazione, tensione e paura. Quando si cronicizza interferisce con la vita quotidiana, ma esistono percorsi di psicoterapia che possono aiutare a gestirla e ridurla efficacemente, migliorando la qualità della vita di chi ne soffre.
Il dottor Andrea De Poli De Luigi, psicologo e psicoterapeuta di Santagostino Psiche, spiega i sintomi dell’ansia, le cause e le possibili terapie.
Cos’è l’ansia e come si distingue da normale stress o preoccupazione?
Chiariamoci: parlare di ansia vuol dire parlare di fisiologia ovvero dell’ insieme di reazioni attese – spesso auspicabili – che possiamo avere di fronte a un ambiente complesso. Parliamo di un ambiente difficilmente prevedibile e occasionalmente pericoloso, nel quale ci assumiamo la responsabilità di fare scelte e progetti.
L’ansia è dunque parte di un sistema di anticipazione dei pericoli e ha una funzione adattiva quando ci dota delle risorse necessarie per gestire la situazione.
In molti casi purtroppo l’ansia diventa invece un ostacolo pesante ed è possibile che assuma le seguenti conformazioni.
- Fobie specifiche (es. animali, sangue o determinati contesti quali spazi chiusi, mezzi di trasporto) esagerate rispetto al pericolo oggettivo e che, ad un osservatore, appaiono irragionevoli e inappropriate.
- Attacchi di panico, cioè episodi di paura o di disagio intenso caratterizzati dall’insorgenza rapida e simultanea di diversi sintomi caratteristici (palpitazioni o aumento della frequenza cardiaca, sudorazione, tremore, respiro corto e sensazione di fame d’aria – dispnea -, dolore toracico, vertigini o sensazione di testa leggera, brividi, vampate di calore, formicolii, paura di morte imminente o di impazzire).
- Disturbo di ansia generalizzata, in cui si cronicizza un vissuto di allerta e di costante anticipazione negativa di ciò che può accadere.
Elementi in comune sono:
- un’anticipazione ansiosa di una determinata situazione temuta;
- l’impossibilità percepita di gestire la propria reazione ansiosa nel momento in cui cresce l’arousal, cioè l’insieme di sensazioni fisiologiche legate all’ansia;
- un pattern di un progressivo sempre maggiore evitamento di contesti che possono mettere in contatto con ciò che si teme e una preoccupazione persistente legata al rischio di sviluppare nuovi episodi di ansia/panico;
- la perdita della libertà di scelta e l’impossibilità di bloccare il ciclo ansioso.
Quali sono le tecniche di gestione dell’ansia più efficaci?
L’ansia è un’emozione umana, spesso adattiva. Tutti ci confrontiamo con vissuti di ansia. Alcune volte decidiamo di ascoltare l’ansia, evitando alcune situazioni. Altre volte decidiamo, com’è giusto che sia, di andare oltre e di non farci condizionare.
Siamo consapevoli che alcune attività sfidanti possono implicare dei vissuti di ansia e che, a volte, viviamo una determinata esperienza con un carico eccessivo di ansia. Dunque cosa possiamo fare?
Da una parte, per gestire l’ansia può essere utile ridurre lo stress psicofisico globale tramite:
- un’attività fisica regolare;
- l’allenamento e la pratica di tecniche di rilassamento, respirazione lenta o di meditazione;
- un sonno e di un’alimentazione di qualità;
- relazioni sociali in cui poter trovare condivisione, punti di vista, supporto, comunicando in modo efficace le proprie esigenze e i propri limiti;
- degli hobby e delle attività gratificanti o divertenti, capaci di trasmetterci qualcosa;
- evitando comportamenti dannosi capaci di indurre uno stress psicofisico (es. abuso di sostanze).
È poi importante lavorare sul proprio approccio alla specifica situazione, e per farlo possiamo attuare dei comportamenti positivi, come quelli che seguono.
- Provare ad avere una mappa più chiara della situazione che dobbiamo vivere, confrontandoci con persone esperte.
- Affrontare la situazione temuta senza alimentare dei meccanismi disfunzionali di evitamento.
- Fissare degli obiettivi raggiungibili, suddividendo il compito in una serie di piccoli passi.
- Ordinare i piccoli passi in funzione di un criterio chiaro a seconda delle circostanze (andando dal semplice al difficile o scegliendo come procedere tramite la matrice di Eisenhower che aiuta a ordinare le attività in base ai criteri di urgenza e di necessità).
- Gestire efficacemente il proprio tempo nel corso dell’attività includendo delle pause (conosci la tecnica del pomodoro?).
Come si può lavorare sull’ansia in un percorso di psicoterapia?
In generale, possiamo identificare tre filoni principali.
- Approccio comportamentale: in questo approccio la spinta al cambiamento si focalizza su alcuni comportamenti specifici che vogliono essere modificati.
- Tecniche cognitivo-comportamentali: che propongono al paziente un accompagnamento nell’affrontare le situazioni temute. L’idea è che il problema non si leghi solo alla situazione temuta ma si leghi ai pensieri che facciamo affrontando quella situazione e all’ansia che essi generano. In questo senso, al fine di gestire meglio le emozioni connesse alla situazione, l’intervento propone una ristrutturazione cognitiva, ovvero la possibilità di esplorare e modificare i pensieri che facciamo.
- Tecniche psicodinamiche: dove l’idea è di comprendere quali siano i blocchi che ci impediscono di vivere e di esprimerci liberamente in una determinata situazione o in determinato contesto. Comprendere la natura di questi blocchi ci porta a comprendere e gestire meglio quello che essi nascondono, ad esempio delle paure che abbiamo maturato o la presenza di bisogni contrastanti.
Come può aiutare una psicoterapia comportamentale?
Una psicoterapia comportamentale ha l’obiettivo di favorire la presenza di alcuni comportamenti funzionali e di estinguere dei comportamenti non funzionali lavorando sulle proprie risposte emozionali.
Tramite la desensibilizzazione sistematica si espone la persona a degli stimoli ansiogeni in modo controllato, associando a questi una risposta di rilassamento. Attraverso ripetute esposizioni, l’associazione tra lo stimolo ansiogeno e la risposta di ansia si indebolisce.
Le persone vengono gradualmente esposte a questi stimoli, partendo dai meno ansiogeni e salendo gradualmente, il che aiuta a ridurre l’ansia attraverso l’abituazione. A questa tecnica di condizionamento classico si possono aggiungere:
- un lavoro teso a creare dei rinforzi positivi a comportamenti desiderati aumentando la possibilità che questi si ripetano;
- l’uso di role playing, in cui allenarsi a vivere determinate situazioni che attivano ansia.
Come può aiutare una psicoterapia cognitivo-comportamentale?
Target del lavoro sono due tipi di pensieri:
- i pensieri automatici che ci fluiscono in testa (es. questo errore è una catastrofe, sono stato stupido, ho distrutto tutto);
- le credenze di base, ovvero degli schemi cognitivi maturati nella nostra crescita che condizionano l’approccio alle situazioni (es. il mondo è pericoloso e io sono vulnerabile).
Facciamo l’esempio del disturbo da attacchi di panico.
L’aver vissuto un attacco di panico attiva una serie di meccanismi di preoccupazione e di evitamento che rischiano di estendersi sempre di più, minando la possibilità di vivere serenamente i contesti lavorativi e sociali.
Nel disturbo di panico il sistema responsabile della lettura della nostra percezione corporea perde la capacità di dare il giusto significato ai diversi stimoli interni, attribuendo un valore di pericolo a determinati stimoli fisiologici come – per esempio – il battito cardiaco.
Si crea quindi un cortocircuito in cui l’attivazione di uno schema di pericolo attiva una reazione fisiologica che viene poi vissuta dalla persona come conferma della presenza di un pericolo reale.
Una psicoterapia cognitivo-comportamentale favorisce l’esposizione, ovvero l’eliminazione dei meccanismi di evitamento, e aiuta a regolare meglio le nostre emozioni gestendo il legame fra situazioni, sensazioni, pensieri ed emozioni, lavorando sia sui pensieri automatici che sulle credenze di base.
Come può aiutare una psicoterapia psicodinamica?
Ci sono molte condizioni possibili. Due possibili esempi pratici possono essere:
- Un comportamento finalizzato a gestire qualcosa che ci fa paura, disfunzionale nel momento in cui non ci sono degli elementi di pericolo nella situazione che stiamo vivendo;
- un comportamento che serve per gratificare dei bisogni di cui non siamo consapevoli e che si pone in contrasto con una maggiore gratificazione effettiva.
Un esempio della prima situazione può essere la difficoltà ad accettare dei limiti e le ricadute che questo può avere, come una preoccupazione e un controllo eccessivi che ci portano a maturare forte ansia di situazioni in cui possiamo commettere un errore o essere giudicati.
Un esempio della seconda situazione può essere la necessità, non consapevole, di mantenere un costante stato di ammirazione da parte delle altre persone. Di conseguenza, lo sviluppo di un’intensa ansia per tutti i momenti in cui l’interazione con gli altri può essere più ampia di un contatto fugace.
La terapia psicodinamica individua e genera attenzione nei confronti di questi comportamenti.
Qual è il ruolo della consapevolezza e come può essere praticata quotidianamente?
Rimanere in contatto con le proprie emozioni è generalmente riconosciuto come un elemento di buon funzionamento psicologico e, a lungo termine, come fonte di benessere. Considerando le emozioni con una tonalità affettiva negativa, diventa importante quindi chiederci cosa significhi rimanere in contatto con noi stessi e con le nostre emozioni.
Possiamo pensare all’ansia come parte del nostro sistema di orientamento nel mondo.
L’obiettivo è rimanere in contatto con significativi livelli di ansia senza chiudersi all’esperienza o senza adottare degli atteggiamenti eccessivamente difensivi. In questo caso saremo capaci di orientarci verso obiettivi personali di valore, senza essere condizionati dalla necessità di fare delle scelte legate a un mero criterio di evitamento dello stress, facendo quindi delle scelte consapevoli e più efficaci.
É molto importante mantenere un dialogo, dentro noi stessi, senza trattarci come non vorremmo essere trattati da altre persone. Proviamo a riflettere sul modo in cui ci rivolgiamo a noi stessi: come reagiremmo se fosse un’altra persona a dirci quelle cose? Come ci farebbe stare?
(24 Giugno 2024)