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L’inserimento al nido: strategie psicologiche

L'inserimento al nido segna un primo e un dopo nel percorso di crescita del bambino, nonché la prima esperienza di separazione dai genitori. Come gestirlo?

L’inserimento al nido: strategie psicologiche

L’inserimento al nido è uno dei primi cambiamenti importanti, un momento di crisi evolutiva nella vita dei bambini e delle loro famiglie.

Si tratta infatti, generalmente, della prima esperienza di separazione tra genitori e bimbo. Come tale, suscita sempre molte domande nei genitori, desiderosi di ricevere consigli sul modo migliore per gestire questo importante e delicato passaggio.

Sciogliamo allora i dubbi più frequenti sull’argomento con l’aiuto della dott.ssa Martina La Greca, psicologa e psicoterapeuta del Santagostino.

Inserimento al nido: la prima esperienza di separazione

Oggi le famiglie hanno bisogno di supporto nella gestione dei figli quando questi hanno pochi mesi di vita per poter conciliare anche le concomitanti esigenze lavorative e familiari. Ciò comporta spesso l’inserimento al nido anche quando i bambini sono molto piccoli.

Nei primi mesi di vita il bambino vive in quello che Winnicot definisce “ambiente-madre”: un ambiente che lo contiene, interagisce con lui, lo manipola, fornisce rispecchiamento, amore, presenta gli oggetti ed il mondo. 

Mamma e bambino vivono un legame stretto, intenso, di accudimento e cura. Il papà si inserisce come terzo in questa diade, favorendo l’apertura verso l’esterno e la separazione. I tempi di questo processo sono individuali ed ogni relazione ha caratteristiche peculiari.

Le prime separazioni sono delicate perché modificano gli equilibri relazionali. L’inserimento al nido è dunque un passaggio da curare con una certa attenzione.

Come funziona l’inserimento al nido?

L’inserimento al nido prevede di norma un periodo intermedio di ambientamento che permette al piccolo e ai suoi genitori di conoscere l’ambiente nido e gradualmente familiarizzare con esso. Il bambino sperimenterà un po’ alla volta il nuovo ambiente e l’esperienza di separazione dai suoi genitori che, a loro volta, avranno a che fare con qualcosa di sconosciuto e con vissuti variegati legati alla separazione.

Inizialmente, è bene che il genitore resti presente al nido insieme al figlio, in modo da poter essere base sicura per il bambino, fino a diventare presente ma “in seconda fila”. Assumerà quindi, in un certo senso, il ruolo di osservatore, per poi arrivare a graduali distacchi e permettere al piccolo la permanenza al nido per poche ore giornaliere, che saranno via via incrementate nel corso dei giorni.

Le modalità di inserimento dovranno essere tarate in base all’età dei bambini e alle loro esigenze specifiche. Gli educatori e le educatrici del nido sono fondamentali per questi passaggi: diventano un punto di riferimento per i bambini e per i genitori, sono una figura costante e significativa per i piccoli, mediano la separazione all’ingresso e aiutano il ricongiungimento all’uscita dal nido.

Attualmente i diversi asili nido utilizzano principalmente due metodologie per l’inserimento dei bambini:

  • metodo tradizionale: più diffuso, prevede una frequenza giornaliera di poche ore da parte del bambino, prima in compresenza con i genitori e poi da solo, con un progressivo aumento delle ore giornaliere nel corso delle due settimane di inserimento
  • metodo svedese, secondo il quale il genitore e bambino trascorrono insieme il primo giorno di nido; il secondo giorno uno degli educatori affianca genitore e bambino; il terzo giorno l’educatore interagisce maggiormente con il bambino in presenza del genitore; il quarto giorno il bambino viene portato al nido, salutato e lasciato lì da solo

Quando è consigliato? Chi deve fare l’inserimento al nido?

Non è possibile indicare un momento consigliato per l’inserimento al nido poiché “il momento giusto” dipende dalle esigenze familiari e soprattutto dalle specificità individuali dei bambini.

L’inserimento dovrebbe coinvolgere i genitori del bambino (sia la madre che il padre, se presenti) o le figure di riferimento principali. Come accennato, risultano protagonisti e giocano un ruolo fondamentale anche gli educatori del nido.

Come capire se un bimbo è pronto per il nido?

Non è possibile assicurare che un bambino sia pronto a tutti gli effetti per l’inserimento al nido, ma ci sono alcuni indicatori utili per valutare il livello di sviluppo e il raggiungimento di alcune tappe evolutive che potrebbero facilitare questo passaggio, tra cui:

  • lo svezzamento in caso di allattamento al seno
  • l’interesse verso il gioco e la socializzazione con i pari e gli adulti
  • lo sviluppo del linguaggio
  • la tolleranza alla separazione
  • lo stile di attaccamento: la presenza di un attaccamento di tipo sicuro suggerisce la possibilità di distaccarsi dal genitore (seppur con una reazione di pianto) e di potersi affidare all’educatore quale altro adulto di riferimento; il ricongiungimento potrà essere vissuto con protesta ma il bambino si farà consolare dal genitore.

Come abituare il bimbo al nido?

L’inserimento al nido modifica le abituali routine familiari e del bimbo. Sarebbe quindi opportuno cercare di mantenere per quanto possibile un equilibrio nelle routine quotidiane o introdurre gradualmente i cambiamenti.

In base all’età del bambino, è utile coinvolgerlo nei preparativi e verbalizzare le attività e le possibili emozioni connesse a queste esperienze. Ciò è utile anche al genitore stesso, che può così soffermarsi sui propri vissuti a volte poco considerati e che hanno un impatto sull’inserimento, il saluto e il ricongiungimento.

L’ambientamento e l’inserimento graduale, con la compresenza del genitore al nido, sono fondamentali per aiutare il bambino ad abituarsi al nuovo ambiente e al contatto con gli educatori.

Quando i bambini sono molto piccoli, potrebbe essere d’aiuto riferirsi ad un unico educatore significativo, con il quale il bambino possa avere un rapporto uno a uno. Sono di supporto anche i cosiddetti oggetti transizionali (giochini, copertine, sciarpe, pupazzetti, oggetti morbidi o da manipolare…), soprattutto per i bambini più piccoli. I bambini più grandi sono solitamente invitati a lasciare questo genere di oggetti nel loro armadietto/box.

Cosa fare se il bambino piange al nido?

Parola d’ordine: non spaventarsi. La reazione di pianto alla separazione è del tutto normale ma potrebbe risultare di difficile gestione per i genitori, a loro volta attivati e preoccupati all’idea di separarsi dal proprio bambino.

Se il bimbo dovesse piangere, il genitore può contenere il pianto con un abbraccio e delle parole rassicuranti, garantendo che si rivedranno all’uscita dal nido. Mamme e papà possono inoltre affidarsi alla mediazione degli educatori.

Devono essere attentamente curati il saluto e il ricongiungimento:

  • il momento della separazione deve sempre prevedere il saluto tra genitori e bambino: il genitore non deve sparire nel nulla. Anche se per mamme e papà potrà essere difficile, è bene non tornare indietro dopo il saluto
  • al ricongiungimento i genitori dovrebbero accogliere il bambino con gioia, abbracci, coccole, verbalizzare le emozioni e mostrare interesse per la giornata e le attività svolte al nido

L’inserimento al nido: un momento difficile per i genitori

La domanda che spesso sorge non è solo come abituare il bimbo al distacco, ma anche come abituare i genitori al distacco. La separazione per l’inserimento al nido genera infatti un grande impatto emotivo anche per i genitori.

Spesso possono sentirsi in colpa, inadeguati perché non si prendono cura a sufficienza del proprio bambino, poco presenti, vivere la separazione come un abbandono, entrare in competizione con gli educatori: tutti questi vissuti sono comuni e comprensibili.

Il mestiere del genitore è tra i più difficili e si concilia anche con gli altri ruoli che i genitori in quanto persone, mogli, mariti, compagni, figli, lavoratori, ecc. ricoprono nel corso della giornata. Non c’è niente di sbagliato ad affidarsi ad un nido per la gestione quotidiana del bambino. Se questi vissuti diventano persistenti e pervasivi, può essere utile rivolgersi ad un professionista.

Quante ore può stare un bambino al nido?

Anche in questo caso non è possibile definire un tempo standard. L’età del bambino e il suo livello di sviluppo determinano esigenze individuali specifiche di cura e vicinanza con le figure genitoriali, in particolare la mamma. Ciononostante, il nido è un ambiente pensato anche per bambini molto piccoli, gli educatori sono formati e attenti a queste esigenze personali, e il bambino potrà trascorrere diverse ore in questo ambiente per poi essere riabbracciato dai genitori e ritornare nell’ambiente familiare.

Se il bambino trascorre molte ore al nido, il consiglio per i genitori è di cercare di dedicare del tempo di qualità nell’interazione e nell’accudimento una volta a casa.

Quando non mandare il bimbo al nido?

Tralasciando gli aspetti legati alla salute da un punto di vista medico (influenza, malattie esantematiche, febbre, ecc.) è importante valutare alcune variazioni legate ai ritmi sonno-veglia, all’alimentazione, le reazioni al saluto e al ricongiungimento, l’irritabilità del bambino e il rifiuto di andare al nido per comprenderne le ragioni.

In questi casi, prima di interrompere bruscamente la frequenza al nido, i genitori dovrebbero parlare con gli educatori e, se necessario, rivolgersi ad un professionista.

 

Riferimenti bibliografici

Winnicott D. W. (1971), Gioco e realtà, Armando Editore, Roma.

Monti F. (2014), Osservare al nido. Pensieri in cerca di un pensatore, Casa Editrice Persiani, Bologna.

Ministero dell’Istruzione, Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia