Diversi studi recenti hanno mostrato come l’uso di questo social possa risultare dannoso per l’autostima. Scopriamo quali fattori di questo social incidono maggiormente sulla salute mentale.
“Prima della pandemia non lo usavo ma gradualmente mi sono appassionata a vari divulgatori di instagram. Pian piano ho cominciato a percepire una strana, strisciante sensazione di disagio: l’impressione che chiunque fosse perfetto, o almeno brillante, tranne me”
“Ho composto una canzone omaggio per un’artista, che l’ha condivisa. Sono fioccati like e visualizzazioni, e mi sono trovato preda di una incontrollabile sensazione di dover per forza replicare quel successo, seguita subito dopo dalla percezione dolorosa dell’impossibilità di procurarmi la mia ‘seconda dose’”
“D’impulso ho scritto a quella instagrammer nota per il suo essere sarcastica e distante, che mi ha subito risposto gentilmente. Mi sono sentita come se avessi stabilito un contatto intimo con qualcuno di importante. Quando ha smesso di rispondermi, mi sono sentita realmente e profondamente addolorata, per un attimo”
Uno studio britannico del 2017 su 1500 ragazzi tra i 12 e i 14 rivelò dati piuttosto preoccupanti sulla relazione tra uso di Instagram e salute mentale. I ricercatori della Royal Society for Public Health notarono in particolare un legame tra l’uso di Instagram e alti livelli di depressione e ansia, oltre a un collegamento con episodi di bullismo. L’uso di Instagram (assai più di altri social) influenzava pesantemente anche la valutazione dell’immagine del corpo, dell’autostima e della qualità del sonno.
Durante la pandemia il ruolo dei social network nelle nostre vite è divenuto ancora più complesso del passato. Instagram e le sue storie, in particolare (e di recente anche Tik Tok) sono diventati punti di ritrovo sempre accessibili. In questi luoghi tentiamo di ri-affermare le nostre identità, minacciate dalla solitudine, mettiamo in mostra i nostri talenti e coltiviamo i rapporti sociali.
Ma, per quanta verità, creatività e passione ci possano essere in uno scatto, ciò che viene pubblicato sarà sempre la risultante di un processo accurato di selezione, editing e “autocensura”. Sui social ogni scatto rischia di diventare una prestazione da misurare, e il confronto con gli altri genera facilmente infelicità e bassa autostima.
La mente è sollecitata di continuo e in modo rapido a passare da un’immagine all’altra, in uno stato di basso impegno mentale che facilita il rimuginio ansioso. La conversazione procede per ‘frammenti di racconto’. Gli interlocutori diventano intercambiabili: se uno lascia cadere un pezzo di racconto, questo viene raccolto da altri.
Ci si ritrova ben presto preda di una richiesta paradossale: produrre contenuti spontanei ma performanti.
Nel suo libro “L’età dello smarrimento” lo psicoanalista Christopher Bollas introduce il concetto di “Sé trasmissivi“. Bollas con questo termine vuole indicare l’insieme di funzioni attraverso le quali il Sé si scinde. Se da un lato una parte di noi entra in contatto, un’altra parte si dissocia. Siamo a un tavolo con alcuni amici e, mentre stiamo parlando, la conversazione sembra quasi sospesa. Ognuno si è ritirato in relazioni virtuali parallele, prima di tornare con l’attenzione nel presente.
Internet consente una fuga sistemica, potenzialmente creativa, dalla realtà. Ci dà la possibilità di far parlare i nostri diversi stati del Sé.
L’identità social fa sempre più parte delle nostre identità: il confine tra vita privata, vita narrata e vita professionale si fa sempre più sfumato.
Siamo sicuri di riuscire a capire quando arriva il momento di un Detox Digitale?
(26 Maggio 2021)