Non sempre una psicoterapia procede lineare e senza intoppi. Spesso le sedute diventano noiose e ripetitive: si ha la sensazione di tornare sempre sugli stessi argomenti senza andare oltre. Si ha, insomma, un momento di stallo. Talvolta si matura anche una certa insofferenza verso il terapeuta, perché non ci sta aiutando o non ci capisce, ma non si ha il coraggio di dirlo per paura del suo giudizio, o magari per il timore di offenderlo. Non c’è nulla di male, anzi: questi momenti sono preziosi e vanno sempre affrontati.
Nel corso della terapia è frequente che a momenti di maggiore entusiasmo e senso di sollievo se ne alternino altri, contrassegnati da sentimenti negativi di noia, stanchezza o confusione. In altre parole, può capitare che la psicoterapia, come in una partita a scacchi, affronti un momento di stallo.
Condividere in modo trasparente con il terapeuta queste sensazioni negative non è facile. A volte è proprio il precedente investimento iniziale positivo a rendere riluttanti a esprimere le proprie fatiche e i propri dubbi, temendo di ferire o offendere il terapeuta. Oppure si può temere di essere giudicati negativamente, o di essere rimproverati o squalificati, se lo psicoterapeuta dovesse venire a conoscenza di aspetti meno amabili dei propri pensieri.
I cicli interpersonali
In verità, spesso, queste paure irrealistiche di venir giudicati, rimproverati, puniti, abbandonati o danneggiati, riflettono la storia di vita della persona e i suoi apprendimenti passati. Da questo punto di vista, lo stallo rappresenta materiale prezioso per un lavoro terapeutico realmente efficace. Risulta infatti un indicatore efficace dei ‘cicli interpersonali’ che una persona tende ad attivare in tutte le sue relazioni. Per questo anche il terapeuta, da parte sua, compie un simmetrico sforzo di trasparenza per nominare in modo chiaro ed empatico le sensazioni che prova rispetto alla relazione con il paziente, anche e soprattutto quelle negative e angoscianti.
Come scrivono Jeremy Safran e Zindel Segal in Processi interpersonali nella terapia cognitiva, i cicli interpersonali sono “il modo in cui la relazione con l’altro attiva circuiti che rinforzano la patologia a causa dei segnali – in prevalenza non verbali, automatici ed emozionali – che i pazienti scambiano con i loro partner in interazione”. Di fatto sono strategie che il soggetto mette in atto per evitare di vivere stati per lui estremamente dolorosi ma che hanno il risultato di attivare nell’altro proprio i comportamenti temuti, che quindi confermeranno le credenze centrali. Questo vale per ogni relazione significativa e quindi assume particolare importanza in quella terapeutica, dove il paziente altro non farà che costruire la relazione in base alle uniche modalità che conosce.
Una profezia che si autoavvera
Per esempio, se una persona si considera non amabile, e quindi teme di essere criticata se mostra i propri bisogni, può comportarsi in modo accondiscente e compiacente, con il risultato che l’altro non vedrà i suoi reali bisogni. In questo modo la credenza implicita che i propri bisogni siano qualcosa che verrà disconosciuto dall’altro si conferma. Per andare più sul pratico: se voglio una fetta di torta ma mi limito a sorridere senza chiederla, la fetta andrà a qualcun altro (che la chiede) e io vedrò confermata l’idea che nessuno si accorge di me e del mio desiderio di torta. Allo stesso modo, se io penso che il mio terapeuta sia fuori strada e continui a insistere su un tema che per me non è importante, ma non dico nulla e continuo a dargli corda, avrò la conferma che nessuno mi capisce, nemmeno il mio terapeuta.
Un luogo protetto
La psicoterapia è un luogo protetto dove sono centrali il non-giudizio e l’accettazione incondizionata dell’essenza della persona e ha come obiettivo generale quello di permettere alla persona di essere pienamente e autenticamente se stessa, il che implica esplorare sia i vissuti positivi sia quelli negativi. Di conseguenza, temi quali la rabbia, il dubbio, la delusione, la paura, la frustrazione sono sempre benvenuti in una relazione terapeutica, e spesso rappresentano la porta d’ingresso privilegiata per un lavoro più efficace e incisivo. È importante, allora, che il terapeuta faccia tesoro dei momenti di stallo in psicoterapia, e li interpreti declinandoli nella storia di vita del cliente.
(20 Maggio 2019)