Durante la pandemia si sono verificati diversi casi di tentato suicidio adolescenziale. Cosa sta succedendo? Ne parla la coordinatrice dell’équipe adolescenti del Santagostino Alessia Bajoni.
Tre tentativi di suicidio di cui due riusciti, nel primo giorno di riapertura delle scuole a Milano a settembre 2021. Che cosa sta succedendo?
Due suicidi riusciti e uno non portato a termine è un grido di allarme. Ragazzi e ragazze alla ripresa scolastica lanciano a genitori, insegnanti e operatori sanitari una richiesta di aiuto. I due anni trascorsi bloccati dal Covid e dalla pandemia hanno messo a dura prova i giovani e la loro salute mentale. Si sono ritrovati in mezzo all’adolescenza bloccati dentro stanze, dietro a schermi, senza la possibilità di sperimentare sé e il proprio corpo nella realtà e nelle relazioni con gli altri. Si sono confrontati con la paura della morte e della malattia, in molti casi per la prima volta. L’angoscia che la ‘malattia’ non riguarda solo se stessi ma la collettività. Per molti giovani si è bloccato un processo evolutivo, per altri i lockdown hanno esaltato una tendenza al ritiro sociale già presente prima del Covid. La pandemia ha amplificato i conflitti intrafamiliari senza dare la possibilità a molti adolescenti di avere altri interlocutori, come amici, allenatori, insegnanti e altri punti di riferimento. Di qui giovani sempre più chiusi in casa, con la paura di affrontare i propri coetanei senza la possibilità di trovare parole per esprimersi anche tra le mura di casa.
Tra la fine del 2020 e il 2021 abbiamo visto come Servizio Specialistico Adolescenti del Santagostino (di cui sono Responsabile) un aumento del 30 per cento delle richieste di aiuto, un aggravamento delle domande dei giovani, che spesso arrivavano con la richiesta che fosse proprio lo psicoterapeuta a fermarli prima di togliersi la vita. Nessuno aveva visto la sofferenza e il rischio reale nei loro occhi. Tante volte ci siamo trovati a chiamare noi professioniste l’ambulanza prima che il giovane si togliesse la vita dopo il colloquio. Porre un limite, chiedendo un aiuto veloce e tempestivo fa sentire finalmente visti quei ragazzi che sembrano ormai invisibili agli occhi altrui.
La pandemia ha reso deboli le reti sociali, a volte persino annullandole. Queste reti sono fondamentali, perché spesso aiutano il giovane a contenere emozioni negative grazie al confronto con gli altri. Ragazzi chiusi nelle stanze si sono ritrovati con le proprie paure amplificate, sentendosi inadeguati alla vita. I pensieri di morte, l’umore depresso e le ideazioni suicidarie sono stati molto presenti nella maggior parte dei giovani che hanno chiesto una consulenza psicologica presso il nostro Servizio al Santagostino.
Ci sono dati che testimoniano un peggioramento della salute mentale degli adolescenti durante la pandemia?
La pandemia, i periodi di lockdown e l’utilizzo della DAD hanno amplificato il malessere dei giovani. Nel corso del 2020 e nel 2021 i servizi territoriali della Regione Lombardia di neuropsichiatria hanno tutti denunciato la difficoltà a seguirei giovani che necessitavano una presa in carico. Inoltre, si è registrato un aumento degli accessi in Pronto Soccorso di giovani utenti con comportamenti di autolesionismo e tentato suicidio in età pediatrica.
I dati dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma evidenziano come le consulenze neuropsichiatriche, che hanno riguardato fenomeni di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio, siano passate dal 36 per cento dell’aprile 2019, al 61 per cento dell’aprile 2020 fino al 63 per cento di gennaio 2021.
Secondo uno studio pubblicato dall’ANSA, da inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si registrano 413 suicidi e 348 tentativi. Secondo un altro studio pubblicato sempre dall’ANSA a inizio giugno si parla di un aumento del 50 per cento di tentati suicidi soltanto in Lombardia. Presso Il Servizio adolescenti siamo passati da 129 adolescenti che hanno avuto accesso nel 2020 a 142 nel 2021 (dati aggiornati a fine settembre 2021). Di questi, più del 60 per cento hanno presentato una domanda legata a uno stato depressivo, a difficoltà relazionali e a tendenze al ritiro. I numeri sono purtroppo in crescita, così come il dato che riguarda la gravità. Molti di questi giovani arrivano a una consulenza psicologica o psichiatrica quando la situazione è davvero delicata e il bisogno di interventi multidisciplinari sempre più necessario. In questa emergenza i servizi pubblici territoriali si ritrovano sempre più in difficoltà nel rispondere a bisogni di salute mentale complessi.
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Quali sono le cause più frequenti che portano un adolescente a considerare il suicidio?
L’adolescenza è un periodo molto complesso e fragile, in cui la gestione dei nuovi impulsi libidici, delle emozioni forti e intense legate al cambiamento del corpo, dei rapporti con i coetanei e con i familiari, irrompono nella mente del giovane con pensieri nuovi, incontrollati. Secondo la WHO (World Health Organization), ogni anno muoiono di suicidio 100.000 adolescenti. L’incidenza del suicidio come causa di morte è inferiore al 1 per cento nella popolazione generale, ma cresce al 25 per cento solo nella popolazione giovanile con età inferiore ai 25 anni.
I pensieri legati alla morte sono spesso presenti nella mente negli adolescenti come segnale sia di un’elaborazione del lutto dell’infanzia, del corpo infantile, del pensiero magico-onnipotente, sia come segnale di un pensiero più adulto e maturo che inizia a pensare il limite della vita e la malattia. Il confronto con emozioni negative e conflittuali in giovani dalla struttura psichica più fragile, possono prendere la forma dell’agito autolesivo e autodistruttivo (tagli, bruciature sul corpo…). Nelle forme più gravi il pensiero di morte diventa un concreto metodo e progetto suicidario, alle volte messo in atto come un vero e proprio tentato suicidio. Sono da considerarsi segnali di un rischio elevato suicidario:
- la presenza in un giovane di umore depresso,
- il sentirsi ‘intrappolato e senza via d’uscita’,
- il senso di disperazione,
- la perdita di piacere per molteplici attività,
- il sentirsi inadeguato alla propria vita e quotidianità,
- episodi ripetuti di autolesionismo,
- episodi di eccessivo dimagrimento.
È difficile individuare una singola causa: spesso è proprio il sovrapporsi di eventi stressanti come cambiamenti personali o relazionali, traumi psicologici, violenze subite, conflitti famigliari a innescare una ‘bomba silenziosa’ chiamato progetto segreto suicidale. Un adolescente arriva a mettere in atto un progetto suicidale quando sente che la sua mente non riesce più a contenere i pensieri e le emozioni associate a tali eventi. In pratica – tragicamente – annulla i pensieri negativi annullandosi egli stesso.
Quali sono i fattori predisponenti al suicidio? E quelli protettivi?
Sono da considerare fattori predisponenti al suicidio:
- La presenza nella storia del paziente e della famiglia del giovane paziente di disturbi mentali, in particolare disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare…) e di familiari che hanno tentato o portato a compimento un atto suicidale;
- La presenza di tentati suicidi aumentano la probabilità che venga ripetuto il gesto. i tentativi di cura (ospedalieri o ambulatoriali) falliti aumentano il senso di disperazione e impotenza dei giovani.
- Indicano un alto rischio suicidario la presenza di umore depresso, autolesionismo, ritiro sociale, senso di intrappolamento, disturbi del sonno e sintomi psicotici.
Il rischio suicidario nell’adolescente è ridotto (fattori di protezione) quando c’è una rete sociale e una buona relazione di supporto e protettiva, che consente al giovane di aprirsi, condividere pensieri negativi e rivederli. Essere coinvolti in una buona relazione psicoterapica protegge il giovane dalle ‘messe in atto’. Si è infine visto come risultano protettivi anche pensieri e valori (religione, paura della morte e dolore…), che svolgono una sorta di barriera protettiva contro il suicidio.
Quali trattamenti sono più utili per aiutare un adolescente con tendenze suicidarie o autolesionistiche?
È fondamentale che quando un adolescente ha idee suicidarie o mette in atto comportamenti di autolesionismo, chieda aiuto rivolgendosi ai genitori, ad amici, direttamente al Pronto Soccorso o una Struttura territoriale o privata che lo possa prendere in cura da un punto di vista psichiatrico e neuropsichiatrico .
Essendo la richiesta grave e urgente è fondamentale che venga aiutato non solo il giovane, ma anche i genitori o la famiglia, in un processo di supporto e cambiamento che veda tutti coinvolti.
Presso il Servizio Specialistico per adolescenti del Santagostino, il processo di consultazione include un’accurata diagnosi delle problematiche del giovane. Nello stesso tempo, però, vengono svolti colloqui con i genitori per comprendere al meglio tutti gli eventi stressanti e le dinamiche familiari. Alla fine viene formulato un piano di trattamento individualizzato e specifico per quel ragazzo in quel momento e in quel contesto familiare. Adolescenti con ideazioni suicidarie richiedono spesso interventi di psicoterapia individuali settimanali, integrati con terapie farmacologiche (antidepressive…), accompagnati da interventi mirati sulla famiglia e i genitori, al fine di aiutare gli stessi genitori a individuare le situazioni in cui il giovane possa star male. I genitori vanno aiutati a capire come agire in situazioni in cui il giovane può mettere in atto ideazioni suicidarie. Comprendere le motivazioni del figlio aiuta a ridurre tensioni e conflitti che possano aggravarne la fragilità.
La psicoterapia individuale aiuterà invece il ragazzo o la ragazza a comprendere al meglio pensieri ed emozioni legati agli eventi stressanti. Lo scopo è quello di aiutare la persona a far fronte allo stress e a non farsi soverchiare da esso.
Cosa fare se mio figlio parla di suicidio?
Se un figlio parla di idee di morte o di suicidio, è importante ed essenziale che i genitori e i famigliari non sottovalutino il problema. Di fronte a questi pensieri non si dovrebbe pensare che ‘tanto è uno scherzo da adolescenti’! Quando un figlio in età adolescenziale parla di suicidio è fondamentale che venga preso sul serio, instaurando un dialogo in cui cercare di capire le motivazioni, le emozioni che sta provando, i pensieri associati alla morte ed eventualmente valutando la presenza di un progetto suicidale.
Se le ideazioni di morte sono presenti e ricorrenti e il ragazzo si mostra sempre giù, di umore depresso e con scarsa voglia di farsi coinvolgere in attività e relazioni con gli altri, è importante non perdere tempo, rivolgendosi anche al Pronto Soccorso di riferimento per una risposta urgente al malessere del giovane.
Se l’ideazione di suicidio è presente ma rara e non concreta (non associata a un piano o metodo di suicidio), è comunque importante chiedere aiuto a dei professionisti (psichiatra e psicoterapeuta) che possano valutare la situazione e intervenire nel modo più adeguato.
È importante infine, e questo è un mio consiglio personale, essendo una professionista esperta di adolescenza e responsabile di un Centro specialistico, rivolgersi a Centri in cui vi sia un gruppo di professionisti con una competenza specifica in questa fase evolutiva e che lavorino in maniera integrata. Penso che sia protettivo nei confronti del giovane e sintomo di una buona competenza ed esperienza pratica e professionale.
Come parlare a mio figlio/a se vedo che sta male ma non vuole parlare, o dice che “è tutto a posto”, magari per non farmi preoccupare?
È importante cercare di dare voce al proprio vissuto emotivo ed empatico anche quando il figlio non vuole parlare, ma mostra tutti i segni e i sintomi che qualcosa non va, come ritiro sociale, umore depresso, non dormire bene, sensazione che nulla lo emozioni…. Si può cercare di nominare le emozioni che può sentire, provare a fare delle domande o esempi di eventi vissuti dai genitori in prima persona che possano essere ‘simili’ o aver provocato risposte emotive in passato identiche a quelle che il figlio, si pensa, stia attraversando.
Nel caso in cui i vari tentativi da parte di tutti i famigliari di dialogo e di comprensione, risultano evitati, negati o fallimentari, è utile comunque provare a portare il giovane da un professionista come uno psicoterapeuta (con esperienza con adolescenti), spiegando al giovane la propria preoccupazione e proponendo la visita come ‘un’occasione’ per parlare con qualcuno di esterno alla famiglia, che ha gli strumenti adatti per aiutarlo al meglio e che non lo giudicherà.
(4 Ottobre 2021)