La famiglia fornisce supporto, senso di appartenenza e protezione. Rimanere troppo a lungo legati al nucleo familiare, però, può rivelarsi dannoso per la propria identità e per la crescita personale. Facciamo luce sulla condizione di “figlio cronico”.
Nel film ‘Immaturi‘, uno dei protagonisti, Lorenzo, affezionato al suo letto a castello, si sveglia chiedendo alla madre il caffè, per poi far passare alcune ore e trovare la tavola apparecchiata e il pranzo pronto.
Tale scena si presta a esemplificare ciò che, in termini psicologici, si chiama figlio cronico. Questo termine indica un adulto che non è riuscito ad assumere un ruolo maturo all’interno della sua famiglia, restando legato da una dipendenza emotiva ai genitori, incapace di “prendere una posizione”.
Per analizzare questo fenomeno, non si possono non considerare i fattori sociali e culturali che oggi portano il nostro paese ad avere tanti figli cronici. Figli che in assenza di lavoro, di possibilità economiche migliori, di un futuro rassicurante, trovano una sicurezza nel proprio metaforico letto a castello. Tuttavia, non si tratta solo di dipendenza economica, ma anche di qualcosa di più profondo. Sensi di colpa e miti familiari, per esempio, ostacolano il processo di acquisizione di un’identità personale, necessaria per sentirsi responsabili della propria felicità.
La famiglia: tra appartenenza e obbligo morale
Sin dalla nascita, siamo inseriti all’interno di un copione familiare, in cui a ciascuno è assegnato un ruolo, una serie di aspettative che, implicitamente, è tenuto a soddisfare. La famiglia è una matrice di identità. Si appartiene alla propria famiglia e ci si identifica in un “Noi”. Questo senso di appartenenza, se troppo intenso, può configurarsi come una fonte di pericolo per lo sviluppo dell’identità unica delle persone che ne fanno parte. In effetti, a volte il gruppo famiglia si configura più come una come “massa indifferenziata” che come gruppo in cui vengono rispettate le caratteristiche individuali.
I figli cercano di non tradire le regole interiorizzate della famiglia. In questo modo, però, si sviluppa un gioco di debiti e lealtà, che spesso impedisce alla generazione dei figli di sentirsi autorizzati a raggiungere la loro autonomia e identità personale. Un esempio di questo si verifica quando i figli si sentono debitori verso i genitori che l’hanno accuditi, pertanto non chiedono loro nulla e non si sentono in diritto di assumere una posizione differente dalla loro, in quanto tale possibilità è subito associata a profondi sensi di colpa e all’idea di tradimento.
Il figlio cronico è, così, quel figlio che non smette mai di essere figlio. Vive allora una difficoltà nel riconoscere (e accettare) se stesso e la propria unicità e indipendenza. Quindi rimane connesso alla propria famiglia d’origine.
Come diventare davvero adulti
Per uscire dalla situazione di figlio cronico è necessaria una presa di coraggio. Il figlio deve riuscire a differenziarsi dal sistema familiare e diventare un individuo autonomo. Questo processo prende il nome di individuazione. I figli dovranno superare la loro dipendenza, attraverso un movimento attivo e autentico che il genitore dovrà poi, a suo tempo, riconoscere. Tutto ciò, comunque, non implica una negazione dell’importanza dei genitori, bensì una rinegoziazione di ruoli e la possibilità, per il figlio, di diventare adulto, responsabile della propria felicità e del proprio benessere. Il genitore dovrebbe diventare, insomma, un genitore passato, verso cui si continua a provare stima e affetto, ma che si pone sullo stesso livello generazionale dei figli.
Quando ciò non avviene, è possibile che anche le relazioni di coppia ne siano influenzate. Il figlio cronico, per esempio, tenderà a cercare nel partner una figura genitoriale. L’intimità e lo spazio della coppia non riuscirà a essere preservato, in quanto invaso dai bisogni di accudimento di chi rimane figlio cronico.
Così, anche la nascita di un figlio, potrebbe risultare un evento critico. Il genitore, infatti, potrebbe provare invidia nei confronti del figlio, oggetto di cura e attenzioni da parte del partner, da cui si sente sostituito. Inoltre, la famiglia del figlio cronico, potrebbe invadere lo spazio della nuova coppia, compromettendone la serenità.
Il taglio emotivo, un rischio verso l’indipendenza
Se il figlio cronico rappresenta una modalità disfunzionale di relazione con la propria famiglia d’origine, un problema opposto è rappresentato dal taglio emotivo.
Con questo termine si definisce l’improvviso distacco fisico e/o emotivo, spesso conflittuale, di una persona dai propri legami familiari. Colui che soffre di un taglio emotivo ha estremo bisogno della vicinanza, ma è allergico ad essa.
Esso è una condizione di non appartenenza, una negazione dell’importanza dell’attaccamento ai propri genitori. Chi fa un taglio emotivo si comporta in modo da fingersi più autonomo di quanto in effetti non sia e ricerca l’autonomia ponendo una distanza fisica tra sé e i familiari.
Questa modalità nasce dall’idea illusoria che si possa conquistare l’indipendenza semplicemente lasciando la casa dei genitori. Tuttavia, le questioni irrisolte con la famiglia d’origine tenderanno a ripetersi nelle altre relazioni, costringendo l’individuo a legami compensatori per anestetizzare il dolore. Ad esempio, un figlio che va via di casa, interrompendo qualsiasi rapporto con la famiglia d’origine. Egli potrà costruire nuove relazioni, tra cui quella amicale, quella intima, tuttavia, in esse tenderà a mettere in atto le stesse modalità effettuate verso la famiglia d’origine e, in situazioni di elevata tensione, fuggirà e si allontanerà, così come già fatto in precedenza. Tale individuo presenta la difficoltà a ricucire i legami e affrontare dinamiche dolorose, negandone l’importanza e trovando una soluzione nell’evitamento.
Sia il figlio cronico, sia colui che effettua un taglio emotivo, sono persone che non sono riuscite a trovare il giusto equilibrio tra appartenenza e separazione dalla loro famiglia d’origine, cercando di differenziarsi.
La soluzione di alcuni terapeuti familiari consiste nel diventare esperti del proprio sistema familiare, senza giudicare, sentirsi criticati o lasciarsi travolgere dalle emozioni.
È fondamentale che la persona riesca a raggiungere una posizione di sana indipendenza, che gli permetta di sentirsi adulti conciliati con il passato, e con lo sguardo diretto verso il futuro, realizzando un’individuazione soddisfacente dalle rispettive famiglie d’origine.