Arrogante, pieno di sé, manipolatore, crudele: il narcisista viene spesso descritto come un individuo da cui guardarsi, da tenere lontano il più possibile. Questa percezione del narcisismo – disturbo diffusissimo, per alcuni autori una vera epidemia del nostro tempo – è però incompleta e fuorviante. Sfuggono infatti gli aspetti più nascosti di questa condizione, come gli alti livelli di sofferenza e la grande solitudine interiore.
Tra tutti i disturbi di personalità, il narcisismo è quello che più di ogni altro sfugge a una facile identificazione. Che cosa si indica esattamente? Il troppo amore per sé? L’eccesso di autostima? L’egoismo? L’indifferenza? L’incapacità di sintonizzarsi con gli altri? Come sostiene Glen Gabbard, autore con Holly Crisp del libro Il disagio del narcisismo (Raffaello Cortina editore), il narcisismo è un bersaglio mobile. Non è così chiaro, stabile, facilmente riconoscibile: può spostarsi e modificarsi da un giorno all’altro nella stessa persona. E il confine tra un narcisismo “sano” e uno “patologico” è molto labile.
Il tentativo di eliminarlo
Vista la difficoltà nella diagnosi, la scarsità di ricerche sistematiche sul disturbo e l’assenza di una terapia chiara, durante la realizzazione del DSM-5 (l’ultima versione del più noto manuale degli psichiatri) è stato proposto di eliminarlo dall’elenco dei disturbi di personalità. Ne è seguito un intenso dibattito, con punte di indignazione (soprattutto da parte degli psicoanalisti). Risultato: il disturbo non è stato eliminato né modificato.
Per fare diagnosi di “disturbo narcisistico di personalità” i criteri rimangono sempre quelli: senso grandioso di importanza, fantasie di successo, pretese di ammirazione e privilegi, tendenza a sfruttare gli altri, invidia, mancanza di empatia… Criteri che corrispondono però a una visione parziale del disturbo, quella più riconoscibile e conosciuta. Ciò che viene escluso da questo ritratto sono tratti chiave altrettanto importanti anche se meno “visibili”: la vulnerabilità, la difficoltà nelle relazioni e un grande disagio emotivo di fondo.
Due in uno
Alcuni psicoanalisti (come Herbert Rosenfeld o lo stesso Gabbard) distinguono due categorie di narcisisti: il narcisista inconsapevole (o “dalla pella dura” o “overt”) e il narcisista ipervigile (o “dalla pelle sottile” o “covert”). Il narcisista inconsapevole è presuntuoso e arrogante, ama essere al centro dell’attenzione, tende a manipolare gli altri e si arrabbia facilmente (è quello descritto nel DSM-5). Quello ipervigile è schivo e fragile, è pervaso da un senso di inadeguatezza e tende a isolarsi per proteggersi dalle umiliazioni. Due personalità apparentemente opposte ma che rappresentano, in realtà, due facce della stessa medaglia, entrambe presenti in ogni narcisista, anche se in misura diversa e in momenti diversi. Il narcisista pieno di sé, infatti, lo è solo all’apparenza: la grandiosità è una facciata, una struttura difensiva per proteggere un sé vulnerabile, insicuro e sensibile al rifiuto. Il denominatore comune a entrambe le categorie è l’incapacità di provare piacere nelle relazioni con gli altri (per la preoccupazione costante dell’immagine di sé), la familiarità con alcune emozioni (l’invidia e la vergogna) a scapito di altre (come la gratitudine e il rimorso) e un senso di grande solitudine interiore.
Autostima oscillante
In altre parole, come nota Gabbard, anche se si tende a pensare che i narcisisti amino se stessi, nella maggior parte dei casi non si amano affatto, e proprio per questo sono alla ricerca di altri che possano ammirarli e confermare la loro eccezionalità. Così come la loro autostima è instabile, oscilla anche la considerazione che hanno degli altri. Il narcisista non si interfaccia mai con i propri “simili”: gli altri possono essere figure eccezionali (e allora apparirà ossequioso e adorante) oppure vere e proprie nullità (e allora apparirà arrogante e sprezzante), oppure entrambe le cose a fasi alterne. Le sue interazioni non saranno mai fluide, naturali, rilassate, in sintonia con l’interlocutore: il più delle volte il narcisista “recita una parte”, di cui a volte è soddisfatto, altre volte no.
Se nei rapporti sociali tende a essere manipolatorio e poco empatico, a maggior ragione in amore il narcisista è un pessimo partner. La relazione che desidera è come quella tra Theodore, il protagonista del film Her di Spike Jonze, e Samantha, un “sistema operativo individuale” (cioè non una persona ma un oggetto tecnologico) che previene tutti suoi bisogni e vive solo per compiacerlo. Una relazione perfetta, e quindi irreale, dal momento che le relazioni normali sono, per loro natura, imperfette e ambivalenti. Anche per questo i narcisisti non sono in grado di mantenere una relazione d’amore. Di solito vivono un’intensa infatuazione seguita da una rapida rottura appena emergono problemi. I narcisisti sono più interessati alla luna di miele che al matrimonio. La stessa cosa sul lavoro: sono più interessati alla conquista di una posizione che alla routine lavorativa.
Epidemia generazionale
Diversi autori hanno ipotizzato che il narcisismo sia in aumento. Secondo Jean Twenge e Kate Campbell (L’epidemia di narcisismo, 2009), il narcisismo è un’epidemia generazionale: i nati dopo il 1982 (i “millennials”) fin da piccoli sono venuti a contatto con i “like”, uno strumento quantitativo per l’accrescimento dell’autostima, e sono i più filmati e fotografati di tutti i tempi. E sono spesso figli dei cosiddetti “genitori elicottero”, esageratamente indulgenti, pronti a difendere, proteggere e valorizzare i propri ragazzi di fronte a tutto e a tutti. Molti di loro sono così cresciuti con l’idea di essere speciali e con la convinzione che tutto sia loro dovuto per diritto, per cui quando non riescono a raggiungere gli obiettivi che credevano a portata di mano entrano in crisi. Ancora più a rischio, secondo Twenge e Campell, sarebbero i ragazzi della generazione successiva (generazione iGen), diventati maggiorenni dopo l’avvento dell’iPhone (2007): rispetto ai millennials sarebbero più spesso soggetti ad ansia e depressione, favorite dal costante confronto con gli altri.
Il narcisista in terapia
La terapia del narcisismo è tra le più complesse. Va detto che i narcisisti difficilmente vanno in terapia perché non hanno consapevolezza di avere un problema e, se ce l’hanno, se ne vergognano. Del resto i terapeuti non amano i pazienti narcisisti: hanno spesso un senso del diritto difficile da gestire, per esempio si aspettano che il terapeuta sia sempre disponibile ogni volta che ne hanno bisogno, o di poter non pagare le sedute saltate.
In terapia spesso il terapeuta si sente escluso dalla relazione, e per questo si sente pervadere dalla noia, dal disinteresse e perfino della sonnolenza: così, del resto, si sentono spesso le persone che ruotano intorno a un narcisista e devono subire i suoi monologhi.
Alcuni pazienti idealizzano il terapeuta, vedendolo come un semidio onnipotente e benevolo. Altri cercano di prenderlo in castagna e di controllarlo, sono critici e irritanti. Tutto questo può distrarre e impedire al terapeuta di provare l’empatia di cui in realtà il narcisista ha bisogno. Secondo lo psicoanalista Heinz Kohut, tra i massimi teorici del narcisismo, l’empatia è il punto chiave della terapia (del resto i narcisisti passano tutta la vita a sperare che qualcuno li veda, li ascolti e li prenda in considerazione), mentre il collega Otto Kernberg ritiene più importante focalizzarsi sull’invidia, l’aggressività e la competitività, che impediscono al paziente di ricevere e riconoscere l’aiuto.