Anche in psichiatria, la ricerca va verso la personalizzazione delle cure. Nella scelta degli antidepressivi lo psichiatra può oggi personalizzare in parte il trattamento farmacologico attraverso un’attenta valutazione della storia clinica del paziente e una discussione informata dei pro e dei contro di ogni terapia. Con tale pratica è possibile fornire al paziente il miglior trattamento disponibile attualmente per lui, minimizzando i rischi e gli effetti collaterali.
Negli ultimi decenni, un numero sempre crescente di evidenze scientifiche ha dimostrato come molti ricoveri ed effetti collaterali gravi siano causati dalla variabilità di risposta e tollerabilità che ogni individuo mostra rispetto al trattamento considerato il “gold standard” (cioè la terapia migliore) per la malattia di cui soffre. Per questo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incentivato la ricerca e l’utilizzo di terapie sempre più personalizzate in ogni branca della medicina.
Anche in psichiatria negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse per la personalizzazione dei trattamenti, sia di tipo psicoterapeutico che farmacologico. Tuttavia, rispetto alle altre branche della medicina, tale processo in psichiatria e psicologia è risultato più complesso, probabilmente anche perché i quadri clinici a cui corrisponde una data diagnosi sono spesso molto differenti tra loro e probabilmente rappresentano sottotipi differenti di una stessa patologia, se non addirittura patologie diverse non ancora distinte nell’attuale classificazione. A
Per esempio, la depressione può manifestarsi con quadri clinici molto diversi, da quelli dominati da sintomi ansiosi ad altri i cui sintomi principali sono la mancanza di energia e di interesse, ma tutte le sue forme vengono comunque catalogate con la medesima etichetta diagnostica. Ciò nonostante, la ricerca ha permesso un’iniziale personalizzazione dei trattamenti anche in questa branca, migliorandone così l’efficacia e la tollerabilità.
La personalizzazione del trattamento antidepressivo
Quando parliamo di trattamento farmacologico dei disturbi depressivi e dei disturbi d’ansia, intendiamo principalmente l’utilizzo di quella classe di farmaci accomunati dall’etichetta, ormai in parte obsoleta, di “antidepressivi”. Tali farmaci sono essenzialmente dei modulatori della trasmissione monoaminergica, cioè agiscono modulando principalmente tre sistemi di neurotrasmettitori: il sistema serotoninergico, il sistema noradrenergico e il sistema dopaminergico. Tali sistemi risultano coinvolti sia nei disturbi depressivi che nei disturbi d’ansia, motivo per cui questa classe di farmaci risulta efficace nel trattamento di entrambe queste tipologie di disturbi. Attualmente esistono numerosi farmaci antidepressivi in commercio (circa una trentina), dai più “vecchi”, come gli inibitori delle monoamminossidasi (IMAO) e i triciclici (TCA), sino agli ultimi rilasciati in commercio, come l’agomelatina e la vortioxetina.
L’evoluzione di tali trattamenti negli ultimi anni ha avuto come principale obiettivo quello di renderli più tollerabili (cioè con meno effetti collaterali), piuttosto che di incrementarne l’efficacia.
Infatti i più vecchi antidepressivi, a parità di efficacia, mostrano una tollerabilità peggiore rispetto ai più moderni, con numerosi effetti collaterali, tra cui la sedazione (riduzione dello stato di coscienza) diurna, l’aumento di peso e le alterazioni della funzione sessuale, solo per citarne alcuni. La classe di antidepressivi più moderna (almeno fino a dieci anni fa), cioè gli inibitori specifici del reuptake della serotonina (SSRI), detti anche serotoninergici, è stata indicata da tutte le linee guida internazionali come la classe di farmaci di prima linea nei trattamenti di questi disturbi. Infatti, al netto di un’efficacia simile, gli SSRI mostrano una tollerabilità migliore rispetto ai vecchi antidepressivi. Alla classe di SSRI (che include 6 farmaci diversi) si sono aggiunti nuovi antidepressivi, come i citati agomelatina e vortioxetina, che mostrano un simile profilo di tollerabilità e di efficacia, rientrando tra i farmaci di prima linea secondo le più aggiornate raccomandazioni.
Sono quindi circa 8 gli antidepressivi di prima linea: ma sono tutti uguali? È indifferente quale di questi farmaci viene prescritto o ognuno di essi ha caratteristiche peculiari? Cioè, in definitiva, è possibile personalizzare ulteriormente il trattamento antidepressivo, scegliendo il miglior farmaco per lo specifico paziente da trattare? La risposta a queste domande è sì, almeno in parte. Vediamo allora nel dettaglio come possiamo iniziare a personalizzare la terapia antidepressiva.
Primum non nocere
Il primo criterio da considerare per scegliere quale antidepressivo sia meglio per lo specifico paziente è garantire che il trattamento prescritto non sia potenzialmente pericoloso per lui. Sembra scontato, eppure indagini epidemiologiche effettuate negli Stati Uniti hanno evidenziato che circa un terzo dei ricoveri negli ultra sessantacinquenni è dovuto a un’errata prescrizione di farmaci nel mese precedente il ricovero. Questi ricoveri sono causati da un’inappropriata prescrizione farmacologica, che non tiene conto degli altri trattamenti in corso o delle patologie croniche preesistenti.
È bene quindi ricordare che ogni prescrizione farmacologica da parte di uno specialista, incluso lo psichiatra, necessita di una preliminare raccolta anamnestica attenta e scrupolosa. Sulla base dei dati raccolti si potranno escludere già alcuni antidepressivi di prima linea e privilegiarne altri, effettuando cioè una prima personalizzazione del trattamento. Per esempio, il citalopram e l’escitalopram devono essere usati con cautela nei pazienti con patologie aritmiche o familiarità per esse, la fluvoxamina e la paroxetina possono causare interazioni significative con alcuni trattamenti, il bupropione andrebbe evitato in pazienti che riportano episodi di epilessia, e così via.
Infine, esiste una variabilità genetica della capacità individuale di metabolizzazione, cioè di eliminazione, dei farmaci. Circa un quarto degli individui ha una metabolizzazione lenta che li espone a rischi maggiori di effetti collaterali, mentre circa un decimo degli individui mostra una rapidissima metabolizzazione, che può inficiare l’efficacia dei trattamenti se la dose non viene adeguata.
Purtroppo questa valutazione preliminare, seppur possibile tecnicamente, non viene sempre fatta nella pratica clinica, spesso per una mera questione di rapporto costi-benefici.
Minimizzare gli effetti collaterali
Il secondo step di personalizzazione del trattamento antidepressivo riguarda ancora una volta la tollerabilità. Infatti, seppur tutti gli antidepressivi cosiddetti di prima linea mostrino una tollerabilità migliore rispetto ai vecchi antidepressivi, esistono profonde differenze tra di essi. La tollerabilità è particolarmente importante per i trattamenti antidepressivi in quanto sono trattamenti che vanno proseguiti per almeno un anno (probabilmente meglio due). Perciò se sono presenti effetti collaterali, questi condizioneranno negativamente la vita del paziente, aumentando anche il rischio di una scarsa aderenza al trattamento con conseguente aumento del rischio di ricadute.
Se escludiamo gli effetti collaterali cosiddetti “a breve termine”, i principali effetti collaterali che possono comparire e persistere per tutta la durata del trattamento antidepressivo sono:
1) effetti collaterali della sfera sessuale
2) aumento di peso
3) alterazioni del ritmo sonno veglia (con conseguente sonnolenza o insonnia)
Gli antidepressivi di prima linea hanno differenti probabilità di causare tali effetti collaterali, perciò è importante che il medico e il paziente discutano insieme per scegliere il farmaco che sarà più facilmente tollerabile per quello specifico paziente. Per esempio, un paziente potrebbe essere più preoccupato dall’aumento di peso, un altro da un possibile calo delle proprie capacità di attenzione e concentrazione e un altro ancora dagli effetti negativi sulla sfera sessuale. Nella scelta del farmaco il medico deve tenere in considerazione queste preferenze.
Valutare il quadro clinico del paziente
Una volta considerati i due criteri precedenti è possibile operare un’ulteriore personalizzazione del trattamento sulla base dei sintomi presentati dal paziente (anche se per questo terzo step di personalizzazione le prove scientifiche sono ancora deboli).
Gli psichiatri più esperti concordano nel ritenere che i diversi antidepressivi sono più o meno efficaci anche a seconda del quadro clinico presentato dal paziente. Per esempio si ritiene che la paroxetina sia più efficace nelle depressioni con importanti sintomi d’ansia, mentre la fluvoxamina sembra più efficace nel caso di depressione con sintomi psicotici e così via.
Altri esperti tuttavia non concordano con tali indicazioni, motivo per cui è fondamentale che la personalizzazione del trattamento antidepressivo si basi prima di tutto sulle controindicazioni presenti e sul profilo di tollerabilità nello specifico paziente, e che solo successivamente si consideri il criterio di efficacia.
(28 Novembre 2017)