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Psicofarmaci: quali sono i rischi e i benefici

Parliamo di psicofarmaci: le categorie in cui si differenziano, i campi di applicazione e gli effetti sull'organismo

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Psicofarmaci: quali sono i rischi e i benefici

Il ricorso agli psicofarmaci viene visto da molte persone con diffidenza. Purtroppo chi vive una condizione di malessere, o di disagio emotivo, si pone dei vincoli nel lasciarsi aiutare, perché ha paura di essere considerato “pazzo”.

Lo stigma che affligge chi soffre una condizione di malessere psichico, oppure emotivo, deriva in molte occasioni dalla paura verso le cure, farmacologiche o meno, che vengono spesso adottate. Non esclusa quindi l’assunzione e l’utilizzo di psicofarmaci. Chi soffre di stati di ansia può far trascorrere fino a due anni, prima di rivolgersi ad un professionista per un supporto qualificato e di beneficiare, in definitiva, degli effetti terapeutici di questi farmaci.

Bisogna dunque conoscere meglio gli psicofarmaci e il loro utilizzo, così da operare una scelta in piena consapevolezza verso lo stare bene. Anche perché gli psicofarmaci pongono domande cui il professionista è tenuto a rispondere.

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Quando è necessario prendere psicofarmaci?

Al netto dei principi attivi che caratterizzano le classi di questi tipi di farmaci, classi che saranno passate in rassegna a breve, e tenuto conto delle specifiche patologie che affliggono i soggetti, è possibile indicare delle circostanze che prevedono l’assunzione di psicofarmaci:

  • i sintomi del malessere condizionano in modo significativo la qualità della vita del paziente
  • il lavoro è compromesso dallo stato del soggetto
  • le attività ricreative e sportive, come per esempio il nuoto, non danno sollievo o sono del tutto trascurate
  • le relazioni amicali, e affettive, risultano svuotate o compromesse.

La sofferenza diventa intollerabile, e il ricorso immediato ad alcuni tipi di interventi (semplici cambiamenti di vita, i gruppi di auto oppure mutuo aiuto, un primo tentativo di percorso terapeutico) non sortisce alcun effetto se non entro un arco di tempo compreso tra i 6 e i 12 mesi. Un periodo troppo lungo, durante il quale si rischia di compromettere le condizioni già precarie del soggetto, che spesso anche per vergogna rinuncia al supporto farmacologico o del professionista.

In un simile contesto, lo psicofarmaco aiuta il paziente a raggiungere significativi miglioramenti nel giro di poche settimane, in modo efficace e adatto. E dal momento che il disagio mentale ha diverse radici ed espressioni, bisogna comprendere quali tipi di psicofarmaci siano più adatti alla situazione.

Le categorie di psicofarmaci

Esistono quattro classi di psicofarmaci, o quattro categorie. Questa suddivisione risponde alla loro azione su pazienti affetti da diversi tipi di condizioni: dagli attacchi di panico agli stati d’ansia, passando per la depressione e i disturbi ossessivo compulsivi:

  • gli antidepressivi, usati per disturbi d’ansia e per il trattamento dei disturbi dell’umore, quali la depressione. Si ricordano, nel dettaglio, gli antidepressivi SSRI, ovvero gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. I principi attivi sono: paroxetina, sertralina, citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, dapoxetina. Senza dimenticare gli antidepressivi triciclici, adottati ormai come seconda scelta rispetto agli antidepressivi SSRI in ambito di disturbo ossessivo compulsivo e depressione maggiore
  • gli ansiolitici quali le benzodiazepine, i farmaci più assunti al mondo dopo gli antinfiammatori. Sono usati per curare stati d’ansia e indurre sonno (prendendo il nome di ipnoinducenti). Sono presenti in farmaci quali Tavor, Xanax, En, Lexotan
  • gli stabilizzatori del tono dell’umore, impiegati soprattutto nei casi di disturbo bipolare e nei casi di disturbi della personalità con sfumature di aggressività e impulsività. Si possono citare il litio (Carbolithium) usato per prevenire il riacutizzarsi delle fasi maniacali o depressive, e la carbamazepina usata a scopo terapeutico e preventivo per le crisi maniacali. Di introduzione recente, poi, la lamotrigina, sconsigliata durante gravidanza e allattamento.
  • gli antipsicotici, divisi in due tipologie: gli antipsicotici convenzionali (clorpromazina, tioridazina, flufenazina) che bloccano i recettori D2 della dopamina, e gli antipsicotici di seconda generazione (aripiprazolo, clozapina, ziprasidone) per mezzo dei quali i recettori della dopamina vengono bloccati con maggiore selettività. Vengono utilizzati nei casi di schizofrenia e negli stati maniacali dei disturbi bipolari.

Cosa comporta assumere psicofarmaci?

Innanzitutto, è necessario conoscere il meccanismo d’azione degli psicofarmaci. In linea di massima, il termine psicofarmaco non è specifico ma è, al contrario, un termine generico. E con questo termine generico vengono indicati tutti quei principi attivi la cui azione interessa il sistema nervoso centrale. In estrema sintesi, la loro azione influenza, in via negativa o positiva, il rilascio di diverse tipologie di neurotrasmettitori.

In altri termini: che questi farmaci possano causare un cambiamento del carattere è un fatto che non corrisponde a realtà. Di vero c’è che questi farmaci possono agire in modo più specifico e sottotraccia, per così dire, per modulare l’espressione delle emozioni che noi tutti viviamo in modo fisiologico. Stati emotivi quali ansia, tristezza oppure rabbia e aggressività.

Accade che queste emozioni siano espresse in modo esagerato, e dunque la funzione degli psicofarmaci è di riportare in un contesto fisiologico, tollerabile e malleabile (attraverso anche l’indispensabile ausilio della psicoterapia) queste espressioni emotive.

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Che effetti collaterali hanno?

È fondamentale affermarlo con chiarezza e decisione: i farmaci psichiatrici sono di norma ben tollerati (altro discorso è l’abuso). Possono tuttavia verificarsi degli effetti collaterali, e prima di passarne in rassegna in principali, che in ogni caso non superano mai i vantaggi che il paziente ottiene dall’assunzione sotto stretto controllo medico, è importante ricordare che gli effetti collaterali non riguardano tutti i soggetti, anche se alcuni tra i pazienti possono essere un po’ più predisposti.

Il principio di fondo delle linee guida, per adozione e posologia degli psicofarmaci, è la scelta del massimo risultato con il minimo sforzo, ovvero dosaggi minimamente alti ma comunque efficaci, accanto al principio del massimo risultato con dosaggi bassi, per poco tempo.

Gli antidepressivi triciclici, specie nell’avvio del trattamento, possono causare disturbi alla vescica, aritmia cardiaca e una certa secchezza delle fauci. Nel lungo termine, potrebbero verificarsi costipazione, disturbi visivi, deliri oppure tremori. Gli antidepressivi SSRI potrebbero a loro volta causare disfunzione sessuale, disturbi del sonno, nausea oppure cefalea.

Effetti collaterali delle benzodiazepine

Nel caso delle benzodiazepine, possono verificarsi condizioni quali sedazione eccessiva, specie quando anche dopo ore dal risveglio il paziente si trova a vivere una sensazione di ottundimento. Passando alle benzodiazepine a emivita breve, è possibile che si verifichi insonnia da rebound, soprattutto nei casi in cui il paziente abbia sviluppato una dipendenza.

Esistono poi altri effetti collaterali comuni, come disorientamento, stato confusionale, riduzione di attenzione e apprendimento, una diminuzione delle capacità mnestiche. Nei casi di dosaggi elevati, le benzodiazepine possono causare sonno profondo, ipotermia e disartria (difficoltà nell’articolare le parole).

Psicofarmaci e terapia, una integrazione vantaggiosa

Gli psicofarmaci non esauriscono il ventaglio terapeutico di cui il paziente dispone. Nel 30% dei casi di disagio psichico ed emozionale, gli psicofarmaci agiscono come veri e propri salvavita. Dopo alcune settimane trasformano la condizione di malessere in una condizione di significativo benessere delle persone.

Nel restante 70% gli psicofarmaci rappresentano solo il primo momento verso la conquista di un nuovo equilibrio. Potrebbero essere paragonati alla funzione di una stampella: quando una gamba si rompe, deve essere ingessata e una stampella risulta necessaria per muovere i primi passi, durante la riabilitazione. Se il paziente vuole davvero tornare a camminare, in totale autonomia, è necessario intraprendere un percorso terapeutico basato sulla parola.

I benefici della psicoterapia (anche la psicoterapia online), anche quando il paziente si trova nella fase di acuzie del disagio psichico, o quando nelle prime settimane di assunzione i medicinali non hanno ancora sortito alcun effetto, risultano essere molteplici:

  • consapevolezza delle proprie emozioni
  • ordine nelle relazioni tra persone del presente e quelle del passato
  • sviluppo delle capacità di problem solving
  • normalizzazione dell’attività cerebrale.

La psicoterapia è, in definitiva, una riabilitazione psicologica che permette di tornare a camminare con le proprie gambe. Gli psicofarmaci aiutano a compiere il primo passo.

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