La tendenza a chiudersi in se stessi è un fenomeno psicologico e sociale che colpisce un numero sempre maggiore di persone. Questo comportamento può essere descritto come un ritiro emotivo e sociale in cui l’individuo si isola dagli altri, spesso indossando una “maschera” per nascondere la propria autenticità. In una società narcisistica come quella attuale, in cui l’autenticità e la vulnerabilità sono spesso percepite come debolezze, molte persone trovano conforto nell’adottare una maschera che nasconda la propria vera essenza e le proprie insicurezze e paure.
La maschera dell’inautenticità può essere considerata un insieme di comportamenti e atteggiamenti che vengono adottati per conformarsi alle aspettative sociali e ridurre i conflitti interpersonali e si manifesta in vari modi. Ad esempio, una persona può mostrare sempre un atteggiamento positivo e ottimistico, anche quando si sente triste o preoccupata, per evitare di sembrare vulnerabile. Altri possono adattare i loro interessi e opinioni a quelli del gruppo dominante per sentirsi accettati e integrati. Questa maschera può anche includere la soppressione di emozioni negative, come rabbia o tristezza, che vengono considerate inaccettabili o imbarazzanti.
Esempi comuni di situazioni in cui le persone sono chiuse in se stesse ed indossano una maschera possono riguardare anche l’ambiente lavorativo, dove si cerca di apparire competenti e in controllo, anche quando si affrontano difficoltà. Nelle relazioni sociali, si può scegliere di evitare discussioni su argomenti controversi o personali per mantenere l’armonia. Anche nei rapporti familiari, infine, le persone possono nascondere i propri sentimenti per evitare conflitti o delusioni.
In sintesi, la chiusura in se stessi e l’adozione di una maschera rappresentano una strategia di adattamento a un mondo che spesso valorizza l’apparenza e la conformità più dell’autenticità e dell’espressione genuina delle proprie emozioni. Tuttavia, se inconsapevole e subita, questa strategia di coping alla lunga può risultare dannosa perché impedisce la formazione di connessioni autentiche e profonde e l’espressione dei valori personali.
Affrontare la chiusura in se stessi richiede tempo e impegno, ma riconoscere la propria autenticità e adottare strategie di coping efficaci può portare a un miglioramento significativo della vita e delle relazioni personali.
Un aspetto fondamentale della chiusura in se stessi riguarda l’esperienza di non essere ascoltati o compresi. Quando una persona si espone e non viene ascoltata, può sviluppare la convinzione che esprimersi non abbia un vero impatto, e questo può portarla a ritirarsi ulteriormente. La mancanza di ascolto e comprensione può aumentare i sentimenti di isolamento e solitudine, contribuendo alla chiusura emotiva. Questo fenomeno è ben documentato, con ricerche che mostrano come la mancanza di interazione sociale e il rifiuto possano portare a un deterioramento delle abilità interpersonali e a una maggiore tendenza all’isolamento????.
Cause della chiusura in se stessi
Perché una persona si chiude in se stessa? Oltre alla mancanza di ascolto, le ragioni dietro questa tendenza possono essere complesse e variegate.
Desiderio di accettazione sociale
Uno dei motivi principali per cui le persone si chiudono in se stesse è il desiderio di accettazione sociale. In una società che spesso giudica e valuta gli individui sulla base delle apparenze e delle conformità alle norme sociali, molti si sentono obbligati a nascondere parti di sé che potrebbero essere considerate non conformi o inaccettabili.
Paura del giudizio e del rifiuto
Quando ti chiudi in te stesso? Questo accade frequentemente quando emerge la paura del giudizio e del rifiuto. Le esperienze di critica o di esclusione, soprattutto durante le fasi formative della vita, possono instillare una profonda insicurezza. Di fronte a situazioni sociali potenzialmente minacciose, la risposta può essere quella di ritirarsi emotivamente, evitando di esporsi a ulteriori rischi di rifiuto.
Esperienze di vita e traumi passati
Le esperienze di vita, in particolare i traumi passati, giocano un ruolo significativo nel determinare la tendenza a chiudersi in se stessi. Eventi traumatici, come abusi, bullismo, o perdite significative, possono danneggiare la fiducia in sé stessi e negli altri. Come meccanismo di difesa, molti trovano conforto nel costruire barriere emotive, proteggendosi così da ulteriori sofferenze.
Influenze culturali e sociali
Le influenze culturali e sociali contribuiscono anch’esse alla chiusura in se stessi. In alcune culture, l’espressione delle emozioni è vista come una debolezza. Le pressioni sociali per conformarsi a determinate aspettative di comportamento possono indurre le persone a nascondere la loro vera natura, portandole a una maggiore chiusura emotiva.
In conclusione, la chiusura in se stessi è un fenomeno complesso influenzato da una varietà di fattori. Capire perché una persona si chiude in se stessa richiede un’analisi approfondita delle esperienze personali, delle dinamiche sociali e delle norme culturali. Solo attraverso una comprensione integrata di queste cause possiamo iniziare a sviluppare strategie efficaci per aiutare le persone a superare questa tendenza, promuovendo una maggiore autenticità e benessere personale.
Conseguenze della chiusura in se stessi
La chiusura in se stessi può avere conseguenze significative e spesso dannose sulla salute mentale e sul benessere generale. Quando una persona si chiude in se stessa, può sperimentare una serie di effetti negativi che influenzano vari aspetti della sua vita, come:
- impatto sulla salute mentale, con ansia e depressione: molte persone che iniziano a chiudersi in sè iniziano a perdere piacere nello svolgere alcune attività quotidiane come lavorare o studiare, a perdere piacere nel costruire e mantenere relazioni interpersonali e in casi estremi non escono più di casa o dalla propria stanza e sviluppano sintomi importanti depressivi come umore depresso, ideazioni suicidaria, apatia, anedonia, ipersonnia.
- effetti sulle relazioni interpersonali: la chiusura in sè porta dentro di sè l’evitamento e la riduzione delle relazioni sociali. Molte persone riferiscono difficoltà a stare ‘in relazione con l’altro, un sentirsi da soli anche quando sono in compagnia di qualcuno, una tendenza a ‘vivere nel proprio mondo dei propri pensieri e fantasie’ e dunque una fatica nella comunicazione agli altri di sè.
- riduzione delle opportunità personali e professionali: una chiusura prolungata in sè e nel proprio mondo non aiuta nel poter avere fiducia quando bisogna cercare o iniziare un lavoro in quanto ‘lavorare richiede capacità di stare in relazione e di tollerare uno stress’ che le persone chiuse tendono a evitare o sentono ‘di non essere in grado di farlo o sostenere’,
- sentimenti di solitudine e isolamento: il vissuto principale riportato dalle persone che si chiudono è proprio il senso di solitudine e mancanza interiore che percepiscono dentro di sè , anche quando sono in relazione con gli altri. Le mura della casa o della stanza vengono percepiti come dei confini protettivi rispetto a un mondo percepito come ‘pericoloso, cattivo, deludente’. Il senso di solitudine e isolamento diventa drammatico quando anche i pensieri e le fantasie interiori contengono angosce di abbandono e di persecuzione, che portano poi il soggetto a entrare in una disperazione e sofferenza pericolosa.
- ideazioni suicidarie: un’attenzione importante deve essere dato al rischio che le persone chiuse in sè possano sviluppare ideazioni suicidarie di varia gravità (da fantasie a ideazioni suicidarie lieve e non concrete a veri e propri piani concreti di suicidio). La percentuale di persone che negli ultimi anni dopo la pandemia Covid-19 si sono suicidate dopo un periodo prolungato di isolamento sono aumentate ( nel 2000 l’OMS segnalava un aumento del 65% di morti per suicidio negli ultimi 45 anni, , aumento nei 3 anni di pandemia del 30% delle diagnosi di disturbi psichici e di sintomi depressivi e 888 suicidi in Italia nel 2023 secondo la Fondazione FRF), segnalando una vera e propria emergenza nella salute mentale. L’isolamento e la chiusura divengono davvero pericolosi e un segnale di rischio per un eventuale suicidio quando si accompagnano a una storia di sofferenza precedente (eventuale presenza di patologie psichiatriche in anamnesi), quando sono presenti altri segnali che fanno pensare a una impossibilità che il soggetto vive di poter superare il momento di crisi o ancora quando viene meno la rete di support sociale e familiare.
Cosa fare quando si perde se stessi?
Quando ci si sente persi e disconnessi dalla propria identità autentica, è essenziale adottare misure per ritrovare se stessi e promuovere il proprio benessere. Vediamone alcune.
Riconoscere la propria autenticità
Il primo passo è riconoscere e accettare la propria autenticità, se necessario con l’aiuto di uno psicologo. Questo implica essere onesti con se stessi riguardo ai propri sentimenti, desideri e bisogni. È importante abbracciare chi si è veramente per superare la paura del giudizio altrui. Iniziare un percorso di psicoterapia può aiutare a comprendere le cause profonde della chiusura in Sè e del bisogno di nascondere Sè dietro una maschera e dare spazio al ‘vero Sè’: spesso è importante riconoscere ferite che si sono costruite nelle relazioni affettive primarie e vengono riprodotte nella chiusura come ‘sfiducia di poter essere accettati come si è’.
Migliorare l’autostima
Migliorare l’autostima è molto utile per superare la chiusura in se stessi. Questo può essere fatto attraverso l’auto-riflessione positiva, il riconoscimento dei propri successi e l’adozione di una mentalità di crescita. Accettare che il fallimento fa parte del processo di apprendimento può anche aiutare a costruire una maggiore fiducia in se stessi. Parte centrale di un percorso psicoterapico in questi casi consiste nel poter lavorare sull’individuazione e la differenziazione di Sè dalle figure affettive primarie che magari hanno aiutato a costruire ‘un nucleo nascosto agli altri’, il cui affetto principale provato è la vergogna, ovvero il sentire di essere deludente per Sè e per gli altri e di sentirsi ‘inadeguato e non all’altezza di aspettative ideali’.
Adottare una comunicazione assertiva, aperta e onesta
Obiettivo dunque di una psicoterapia con un paziente chiuso in sè può essere proprio quello di dare valore a Sè per com’è (e quindi migliorare la propria autostima) e dare ‘forza’ a proprie emozioni, vissuti e parole. E’ dunque un punto di arrivo poter costruire una comunicazione con gli altri in cui ci sia spazio per quello che si sente e si pensa anche se diverso da quello che gli altri si aspettano.
La comunicazione aperta e onesta con gli altri è utile. Esprimere i propri sentimenti e bisogni in modo chiaro può migliorare le relazioni e ridurre i malintesi. Questo tipo di comunicazione favorisce connessioni più profonde e significative.
Mindfulness e rilassamento
Affrontare la possibilità e la libertà di deludere gli altri in pazienti chiusi e evitanti la comunicazione con gli altri, può smuovere ansie e angosce profonde come l’ansia di sbagliare e di essere sbagliati, la paura e l’angoscia di perdere il controllo che la ‘chiusura fornisce in maniera illusoria’, l’angoscia di perdere nuovamente la propria identità (visto il timore di adesione ai pensieri altrui e alle aspettative altrui) nel contatto con l’altro.
Praticare la mindfulness e tecniche di rilassamento può aiutare a gestire l’ansia e lo stress. Questi esercizi promuovono una maggiore consapevolezza del momento presente, riducendo i pensieri negativi e migliorando il benessere emotivo.
Supporto psicologico, psicoterapia e terapie psicofarmacologiche
Infine, cercare supporto psicologico e iniziare un proprio percorso di psicoterapia a terapie può essere già l’inizio di un cambiamento profondo e interiore. Un professionista psicoterapeuta può infatti aiutare a esplorare le cause profonde della chiusura in se stessi e a sviluppare strategie efficaci per affrontarla, sostenere nel poter esprimere parti di Sè nascoste e inespresse. Terapie come la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) possono offrire strumenti pratici per modificare i pensieri e i comportamenti negativi, mentre psicoterapie psicodinamiche possono aiutare a indagare le cause profonde della chiusura, aiutare nel processo di individuazione delle ripetizioni relazionale e sostegno alla individuazione del Sè.
Può essere inoltre utile su valutazione di un medico psichiatra, che i percorsi psicoterapici siano affiancati e supportati da una terapia psicofarmacologica se presenti per esempio una sintomatologia depressiva o ansiosa particolarmente interferente la quotidianità .
L’importanza della rete di supporto sociale e familiare
E’ fondamentale che accanto e parallelamente ai percorsi psicoterapici (di qualsiasi orientamento) si possa creare o consolidare una rete sociale di supporto che aiuti il paziente che tende a isolarsi in una graduale ripresa delle relazioni sociali e che possa proteggerlo da eventuali crisi depressive gravi, rischi di suicidio o rischi di perdita di un contatto con la realtà.
La rete sociale ha la funzione anche di ricordare al paziente isolato la possibilità di essere pensato e ‘tenuto nella mente’ anche da chi ha pensato di aver allontanato o perso.
Quando la chiusura in se stessi è estrema: il caso degli Hikikomori
Il fenomeno degli Hikikomori rappresenta un caso estremo di chiusura in se stessi, caratterizzato da un ritiro sociale prolungato e severo. Originariamente identificato in Giappone, il termine “Hikikomori” descrive persone che si isolano completamente nella propria casa per un periodo superiore ai sei mesi, limitando drasticamente le interazioni sociali, spesso fino a non uscire mai dalla propria stanza.
Le cause di questo comportamento sono molteplici e includono condizioni psichiatriche, tratti di personalità maladattivi, dinamiche familiari disfunzionali, esperienze negative con i pari e pressioni sociali. Le persone Hikikomori spesso soffrono di depressione, ansia e sentimenti di inutilità, e manifestano una grande difficoltà nel mantenere relazioni sociali e svolgere attività quotidiane.
La pandemia di COVID-19 ha aggravato la situazione per molti giovani a rischio di Hikikomori, amplificando l’isolamento sociale e le difficoltà di reintegrazione. Tale condizione di isolamento estremo si sta diffondendo anche in Italia anche in fasce d’età più elevate ovvero tra i giovani adulti (fino a 25-28 anni): questo fenomeno evidenzia sempre di più modalità nuove di espressione di una sintomatologia depressiva ‘radicale’ che non riguarda più e soltanto ‘l’umore e la voglia di vivere’, ma anche il ritiro dal mondo relazionale. In questa cornice di lettura il mondo virtuale e di Internet ha la funzione di sostituire in parte e colmare le mancanze del mondo reale, consentendo ‘crescite e messe alla prova’ in un mondo parallelo in cui il corpo reale viene eliminato. Eliminando il corpo i giovani annullano, in maniera illusoria, le emozioni le pulsioni ma anche le delusioni legati a un confronto difficoltoso tra il livello del Sè reale e quello ideale.
Affrontare il fenomeno degli Hikikomori richiede un approccio multidisciplinare che includa supporto familiare, iniziative governative e interventi terapeutici. Dal momento che spesso riguarda ragazzi e ragazze in età scolare, la terapia familiare e il supporto psicologico sono cruciali per facilitare il processo di uscita dall’isolamento e migliorare il benessere complessivo di queste persone.
(29 Luglio 2024)