Psichiatria

Sindrome di Stoccolma: quando la vittima difende il carnefice

Si tratta di un particolare stato di dipendenza psicologica/affettiva che le vittime di episodi di violenza possono provare nei confronti dei loro aggressori

Sindrome di Stoccolma: quando la vittima difende il carnefice

La sindrome di Stoccolma è un fenomeno psicologico paradossale che si manifesta quando le vittime di un sequestro o di un rapimento sviluppano sentimenti di simpatia e affetto verso i propri sequestratori.

Nonostante l’esperienza traumatica e spesso violenta che si ritrovano a vivere, infatti, le vittime sviluppano uno stato di dipendenza psicologica e una sorta di connessione emotiva nei confronti di coloro che le tengono, o le hanno tenute, prigioniere. Scopriamo insieme di cosa si tratta.

Come si chiama la sindrome di Stoccolma?

Il termine “sindrome di Stoccolma” è stato coniato dal team di psicologi e criminologi che studiarono e lavorarono al primo caso attestato di tale disturbo.

Il nome fa riferimento a un particolare evento di cronaca avvenuto a Stoccolma il 23 agosto 1973 quando, a seguito di una rapina in banca, i quattro impiegati che vennero tenuti in ostaggio da due rapitori per oltre 130 ore, espressero sentimenti di alleanza e solidarietà nei confronti dei loro sequestratori ed arrivarono persino a testimoniare in loro favore, dimostrandosi invece molto ostili nei confronti di chi li aveva salvati.

È importante notare che la sindrome di Stoccolma non è riconosciuta come una diagnosi clinica ufficiale. Non essendo elencata né nei manuali diagnostici e statistici dei disturbi mentali (DSM), né nella classificazione internazionale delle malattie (ICD) in quanto malattia psichiatrica a sé stante, non ha infatti alcun particolare nome scientifico. Tuttavia, l’espressione “sindrome di Stoccolma” è comunemente utilizzata da medici e psicologi e indica proprio il fenomeno in cui la vittima sviluppa un legame emotivo con il suo sequestratore.

Sintomi e cause della sindrome di Stoccolma

I sintomi della sindrome di Stoccolma includono l’instaurarsi di sentimenti di empatia, attaccamento e, nei casi più estremi, amore verso il proprio sequestratore. Le vittime, invece di provare avversione nei confronti del proprio aggressore, mostrano quindi comportamenti paradossali, come rifiutarsi di scappare anche quando ne hanno l’opportunità, rifiutarsi di collaborare con le autorità e difendere l’operato del sequestratore. Nonostante la situazione di prigionia e gli abusi subiti, l’ostaggio sviluppa persino una sorta di gratitudine verso il rapitore, ringraziandolo per semplici atti di gentilezza come la concessione del cibo o per non avergli fatto del male più di quanto fosse necessario. In alcuni casi, anche dopo l’arresto del carnefice, la vittima continua a provare un sentimento di tenerezza nei suoi confronti, provando senso di colpa per la condanna e arrivando persino a organizzare visite in carcere e raccolte fondi a suo sostegno.

Ad oggi, le cause della sindrome di Stoccolma non sono ancora totalmente comprese. Tuttavia, sembrano esserci alcuni fattori comuni in tutti i casi in cui si manifesta. Innanzitutto, l’assenza di una precedente relazione tra l’ostaggio e il sequestratore sembra essere un elemento molto comune. Questo crea una sorta di vuoto emotivo che l’ostaggio cerca di colmare sviluppando sentimenti verso il suo aguzzino. Inoltre, pare che la sindrome abbia più possibilità di presentarsi in individui che provino o abbiano sviluppato nel corso della prigionia sentimenti negativi verso le autorità governative, oltre che in persone dotate di una grandissima fiducia nell’umanità.

Secondo i dati dell’FBI, la sindrome di Stoccolma si presenta nel circa 10% delle vittime di ostaggio ed è più frequente nelle donne, nei bambini, nelle persone che professano determinati culti e nei prigionieri di guerra.

Perché la vittima torna dal carnefice?

La ragione per cui le vittime di sequestro sviluppano un legame di questo tipo con il loro aguzzino può essere attribuita a vari fattori psicologici. In primo luogo, l’ostaggio può percepire una minaccia costante per la propria vita e si adatta alla situazione cercando di ridurre la tensione e il pericolo cooperando con il sequestratore. Questo comportamento può essere considerato un meccanismo di sopravvivenza emotiva.

Inoltre, la sindrome di Stoccolma può essere molto influenzata dal senso di isolamento e alienazione che inevitabilmente colpisce le vittime. Durante il periodo di prigionia, infatti, l’ostaggio viene spesso separato dal mondo esterno e sottoposto a un fortissimo controllo psicologico da parte del sequestratore, tanto da sviluppare una sorta di dipendenza emotiva nei suoi confronti, cercando in lui approvazione o gratificazione.

Come si cura la sindrome di Stoccolma?

Come già detto, la sindrome di Stoccolma non viene considerata una malattia psichiatrica a sé stante e, di conseguenza, non esiste un piano terapeutico specifico. Tuttavia, il supporto emotivo di amici e familiari e una terapia adeguata possono, con il tempo, aiutare le persone che ne sono affette a superare gli effetti traumatici del sequestro.

Le vittime della sindrome di Stoccolma possono beneficiare di un sostegno terapeutico per elaborare l’esperienza vissuta e affrontare i sentimenti contrastanti che provano nei confronti del loro aggressore. In questo caso, la terapia cognitivo-comportamentale può essere particolarmente utile nel promuovere la guarigione emotiva e il superamento dei traumi.