Coccole e carezze sono gesti con cui esprimiamo vicinanza emotiva ed empatia verso gli altri. Eppure sono molto più di un semplice gesto fisico: stabiliscono una connessione profonda che nutre la nostra anima e ci fa sentire accolti e protetti.
Fin dalla nascita, le coccole giocano un ruolo fondamentale nel nostro sviluppo. Il contatto fisico ci dà la certezza di essere amati e migliora la nostra autostima, rinvigorendo l’intesa con l’altro e la fiducia in sé.
Le manifestazioni affettive stimolano il nostro sistema psicofisico e inducono una sensazione di equilibro e calma. Nel riceverle, il nostro corpo reagisce trasmettendo al cervello messaggi che vengono interpretati come piacere e benessere, e migliora la sua capacità di rispondere allo stress.
Cosa provoca la mancanza di amore?
Il mondo in cui viviamo ha un’attitudine fortemente individualista, in cui si fa fatica a fare gioco di squadra e si tende a sviluppare una dimensione centrata sul sé, in cui la considerazione dell’altro sembra non essere più un valore e una imprescindibile regola sociale dello stare insieme.
Queste dinamiche sociali alimentano nemici che oggi sono lo stress, i problemi di autostima, insicurezza, problemi comportamentali, il disagio nell’interazione interpersonale, innanzitutto nella coppia. Derive che il contatto emotivo con l’altro sarebbe invece in grado di prevenire.
Ecco perché restituire importanza al momento dello scambio affettivo è fondamentale. Le coccole, le carezze e, in senso più lato, tutte le declinazioni dell’accudimento fisico ed emotivo sono un presupposto cruciale per riscoprire il piacere della vicinanza emotiva e fisica, la naturalezza della cooperazione e della vita comunitaria, la stabilità, il senso di appartenenza e di unione.
Perché abbiamo bisogno di coccole?
Per l’equilibrio fisiologico della coppia il tempo e lo spazio dedicato alle coccole è essenziale. Le manifestazioni affettive, infatti, inducono nel nostro cervello un meccanismo neurobiologico che stimola l’intimità, la collaborazione e l’accudimento vicendevole. Dare spazio alle dimostrazioni fisiche di affetto, condivisione e vicinanza emotiva, come abbracci, coccole e carezze, ci predispone a rafforzare l’intesa e l’empatia nei confronti dell’altro.
Nella società in cui viviamo l’intimità è spesso fatta di un sesso, testosteronico, più che sublimazione della coppia. Eppure, stare all’interno di una dinamica di coppia richiede molto altro, per esempio una costante sintonizzazione sulle esigenze emotive dell’altro: un compito tutt’altro che semplice, che tuttavia le coccole e le carezze possono agevolare.
D’altra parte, le coccole e le carezze migliorano la nostra capacità di avere fiducia in noi stessi, dal momento che l’autostima è una variabile che spesso dipende dal sentirsi importanti per qualcun altro, accolti, accuditi e protetti, all’interno di una relazione che si percepisce come stabile. La possibilità di condividere le proprie emozioni e di potersi affidare a un’altra persona diventa allora decisiva per migliorare la sicurezza nelle proprie capacità e di conseguenza la propria gestione dello stress.
Che tipi di coccole esistono?
Le coccole non sono tutte uguali. Esistono diverse tipologie di coccole (fisiche, verbali, emotive) e diversi modi di intenderle.
Per esempio, le donne in genere si relazionano in modo diverso agli scambi affettivi rispetto agli uomini. Vedono nelle coccole e nelle carezze la più grande espressione di amore, attenzione e conforto; una dimostrazione di intesa e connessione. Le considerano dunque un pilastro importante della relazione.
Gli uomini tendono invece, spesso, a rifugiarsi nelle coccole per sfuggire alle tensioni provenienti dal lavoro e dalla vita quotidiana. Intendono dunque lo scambio affettivo come opportunità di pace, ristoro lontano dalla negatività della routine.
Esiste poi un’altra tipologia di coccole: quelle che ci concediamo per gratificarci: cibi gustosi, un autoregalo o un momento dedicato alla cura di sé.
Coccole e cibo: food craving ed emotional eating
Ad oggi sussistono studi che correlano il consumo di cioccolato e la predisposizione alla depressione. Nei soggetti più predisposti alla depressione è riscontrabile una maggior tendenza a fare uso di cioccolato. Molto più complesso è capire cosa significhi questa correlazione.
Sicuramente mangiare cose golose è una modalità primaria di ottenere gratificazione, quindi coccola. Bisogna però distinguere fra food craving ed emotional eating.
Quando siamo stressati, stanchi o semplicemente abbiamo bisogno di coccolarci, accudirci un po’, come dopo una intensa e dura giornata di lavoro, il nostro organismo reagisce con normalità facendoci sentire la necessità quasi impellente di mangiare alcuni cibi, come il cioccolato, che scatenano dentro i nostri circuiti neuronali una complessa reazione che culmina in un profondo senso di gratificazione e benessere.
In questo caso è come se il nostro organismo sentisse la necessità di queste sostanze, come i fumatori a volte sentono un bisogno spasmodico di fumare una sigaretta. Questo bisogno spasmodico in inglese si definisce craving.
Il cioccolato è un buono strumento di gratificazione edonistica, proprio perché passa attraverso il soddisfacimento del craving, ma, se utilizzato come target dell’emotional eating o come cibo di conforto, può peggiorare e mantenere l’instabilità affettiva.
Infatti in quei casi in cui la ricerca del cibo-coccola avviene per la necessità di rispondere ad ansia, tristezza, frustrazione o rabbia – magari nemmeno del tutto messe a fuoco, ma semplicemente segnalate “da un senso di vuoto nello stomaco” – la coccola non è un buon rimedio ai nostri bisogni. Ci appaga nell’immediato ma lascia un senso di fragilità e inquietudine svanito l’effetto a breve termine. In questo caso meglio cercare di fare quadrato attorno alle emozioni, sforzarsi di riconoscerle, analizzarle e gestirle, provando a cavalcarle invece che subirle.
Neurobiologia della coccola
L’abbraccio è un segno di fiducia nell’altro e, insieme, di protezione dell’altro: quando qualcuno ci abbraccia ci affidiamo, ci mettiamo in una condizione di vulnerabilità. Entriamo nel suo mondo, oltrepassiamo quella che in semeiotica della comunicazione non verbale viene chiamata zona di intimità, il contatto fisico e i trenta centimetri di perimetro attorno al corpo. Si sentono odori, temperatura, respiro, il cuore che batte.
Questa interazione aumenta esponenzialmente la capacità di empatizzare, ovvero di immedesimarsi nel vissuto emotivo dell’altro, pur rimanendo sé stessi. Pensiamo all’abbraccio tra i calciatori dopo un goal: è la massima forma di condivisione e sincronizzazione emotiva. L’abbraccio ha filogeneticamente un significato adattivo per la sopravvivenza: di fronte al freddo stare vicini e abbracciarsi permette di scaldarsi più efficacemente, risparmiando energie nella termoregolazione autonoma.
A livello sia cognitivo sia neuroendocrino un abbraccio, una carezza producono un pattern di reazioni ben preciso.
L’ormone delle coccole e delle carezze è l’ossitocina. Molti autori hanno ormai dimostrato come sia l’ossitocina l’ormone che regola i comportamenti coalittivi rispetto a quelli competitivi aggressivi. Un aumento dell’ossitocina produce atteggiamenti mentali di apertura, intimità e collaborazione, sostiene la capacità di empatizzare, di fidarsi ed affidarsi.
L’ossitocina infatti riduce l’attività dell’amigdala e aumenta quella della corteccia prefrontale ventromediale, favorendo comportamenti di attenzione, coinvolgimento e preoccupazione per l’altro.
L’isolamento sociale produce invece effetti neurobiologici oltre che psicologici: un’attivazione del sistema simpatico e un incremento dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che amplifica le risposte fisiologiche allo stress; una riduzione dell’efficienza della reazione immunitaria e infiammatoria e disturbi del sonno. La miglior coccola contro la solitudine è dunque la condivisione, non l’emotional eating.
Questo spiegherebbe perché recenti indagini epidemiologiche, che hanno cercato di misurare il livello di felicità oggi, hanno rintracciato serenità e ottimismo maggiori nelle persone che dedicano tempo ed energie alla condivisione ed alla partecipazione attiva alla vita comunitaria.
Coccole, carezze e crescita emotiva del bambino
Nei primi giorni e mesi di vita l’interazione mamma-bambino è una questione essenzialmente fisica. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda che a seguito di un parto naturale la mamma abbia un contatto fisico il prima possibile con il neonato. Questo migliora infatti numerosi parametri di buona salute e puerperio, sia nella mamma che nel bambino.
Ci sono anche iniziali evidenze che il contatto pelle a pelle sia auspicabile il prima possibile anche dopo il parto cesareo. Gli albori del sistema emotivo del bambino gli permettono già di ricercare e identificare lo sguardo della mamma, di rispondere automaticamente al sorriso.
Numerosi studi concordano sull’importanza dell’interazione fisica nei primi mesi di vita per una ottimale crescita del sistema emotivo, del senso di sicurezza in sé stessi e della capacità di affrontare lo stress, e per la stessa espressione di geni e recettori che coordinano le risposte fisiologiche agli stress.
Per esempio è emerso come i bambini che hanno sperimentato largamente il contatto pelle a pelle e il co-sleeping nei primi sei mesi di vita abbiano una miglior capacità di recupero dallo stress indotto dalla strange situation, la condizione sperimentale con cui, attorno ai 12-18 mesi di vita, si indaga la sensibilità emotiva alla presenza di persone estranee. A documentarlo il pattern di riduzione del cortisolo salivare nelle ore dopo la sperimentazione.
(8 Luglio 2015)