La sindrome della crocerossina porta, chi ne soffre, a occuparsi degli altri a scapito di sé.
I sintomi possono essere un costante senso di responsabilità per il comfort altrui, difficoltà nel dire di no per paura di deludere, bassa autostima, eccessiva preoccupazione per il giudizio degli altri, e sacrificio dei propri bisogni personali per soddisfare quelli degli altri.
Questo comportamento può portare a sentimenti di frustrazione, stress ed esaurimento emotivo. Per questa ragione, è opportuno rivolgersi ad un professionista della salute mentale.
Che cos’è la sindrome della crocerossina, o di Wendy?
La sindrome della crocerossina, anche nota come sindrome di Wendy può essere definita come un tipo di perfezionismo altruista che può portare a un logorio interno e influire negativamente sulla salute sia fisica che psicologica della persona che ne soffre.
Si tratta di un pattern comportamentale nel quale la persona si comporta con eccessiva preoccupazione e cura per gli altri, e può arrivare a determinare anche dei danni per il benessere della persona stessa.
Questa sindrome trae origine dalla figura di Wendy Darling presente nel romanzo di “Peter e Wendy” scritto dall’inglese J. M. Barrie. Wendy è una bambina di 10 anni che si ritrova anzitempo costretta a crescere e prendersi cura dei suoi fratelli e di Peter Pan.
Chi è la crocerossina e come si comporta?
Di base, chi soffre della sindrome di Wendy è una persona che cerca di risolvere i problemi degli altri a discapito di sé. Le persone affette da questa sindrome si assumono troppe responsabilità, a volte usurpando ruoli che non gli competono, e mantengono un atteggiamento basato sul sacrificio di sé. Questo comportamento può portare alla percezione di essere indispensabili, ma allo stesso tempo può determinare ansia, stanchezza e frustrazione.
Un esempio di comportamento tipico delle persone affette dalla sindrome della crocerossina potrebbe essere quello di assumersi il lavoro di un collega e di farsi carico di problemi in famiglia, o dei rapporti di amicizia, degli altri, anche quando questi problemi non gli appartengono. Mettendo sempre gli altri al primo posto, queste persone spesso finiscono per trascurare le proprie esigenze, e il benessere psicologico e fisico ne risente.
Nella maggior parte dei casi, le persone affette da questa sindrome trovano gratificazione nel sentirsi utili e importanti, ma spesso tendono a ignorare i propri bisogni e i propri sentimenti. Essere sempre disponibili nei confronti degli altri può causare risentimento e frustrazione, poiché i rapporti diventano squilibrati e gli altri si aspettano che essi siano sempre a disposizione.
Da cosa può dipendere questa sindrome?
Tra le possibili cause ci sono influenze culturali che amplificano il ruolo della cura e del sostegno e dell’empatia, spesso associati alla donna piuttosto che all’uomo. Nell’infanzia, chi manifesta questa sindrome potrebbe provenire da contesti familiari disfunzionali, in cui si è dovuto assumere precocemente ruoli genitoriali a causa dell’immaturità o dei problemi dei genitori. Questo precoce adempimento di responsabilità ha ostacolato lo sviluppo di una maturità affettiva adeguata.
Nell’essere umano adulto, si replica inconsapevolmente schemi relazionali appresi nell’infanzia, sacrificando i propri bisogni per il benessere degli altri. L’identità delle persone affette da questa sindrome spesso riflette una bassa autostima e un costante bisogno di approvazione esterna. La dinamica sottostante è una ricerca continua di validazione attraverso l’assistenza agli altri, a scapito del proprio benessere e autorealizzazione.
Quali conseguenze determina questa sindrome nella persona?
Nel contesto di una relazione di coppia, chi soffre della sindrome di Wendy si arroga l’impegno a salvare il proprio o la propria partner dai loro problemi personali, finendo così con il manifestare un senso di onnipotenza, nel convincimento di essere indispensabile.
Un simile comportamento non permette, a chi lo attua, di notare avvisaglie da parte del partner che, quando cerca di vivere momenti di indipendenza e autonomia, rischia di far cadere chi soffre della sindrome di Wendy nella paura di essere abbandonato e nella insicurezza. Senza dimenticare che molto spesso chi soffre di questa sindrome può risultare con l’avere un atteggiamento manipolativo, rischiando di creare una dipendenza affettiva.
Come si cura la sindrome della crocerossina?
Si parte dalla consapevolezza, o l’intuizione, di essere in qualche modo causa della propria condizione di sofferenza. Il secondo momento riguarda l’indagine volta a comprendere perché si ha la convinzione che affetto e amore debbano essere guadagnati, senza pensare alla possibilità che i sentimenti e le emozioni possano avere uno stato di sana e responsabile gratuità.
La psicoterapia offre tuttavia diverse strategie per affrontare la sindrome della crocerossina. Si focalizza appunto sull’indagine delle esperienze passate di abbandono e timori di rifiuto, incoraggiando la consapevolezza che nessuna relazione, di amicizia, di lavoro o sentimentale, dura in eterno e che si può vivere anche dopo il dolore.
Si lavora, con lo psicoterapeuta, per costruire l’autostima e per spostare l’attenzione dai bisogni altrui a quelli personali. L’espressione delle proprie emozioni viene incoraggiata, si apprende a riflettere prima di accettare richieste che potrebbero compromettere il proprio benessere, si apprende l’assertività nel comunicare i propri bisogni. La terapia promuove il recupero dell’autonomia e incoraggia l’assunzione di responsabilità personali e l’evitare di intervenire in ogni piccola difficoltà del partner.
Strumenti come il diario e l’immaginazione di scenari alternativi vengono utilizzati, poi, per esprimersi e riflettere sulle emozioni accumulate, e per poter identificare passioni personali. Infine, si incoraggiano piccoli cambiamenti nello stile di vita per favorire il processo di guarigione, che fisiologicamente potrà subire delle cadute o delle battute di arresto, prima di arrivare alla conquista di una ritrovata autonomia affettiva.
(29 Febbraio 2024)