Coaching: cos’è e a cosa serve

Il coaching è uno strumento che può aiutarci nel cambiamento di vita. Un cambiamento dettato da motivi professionali, di salute e di vissuto. L’importante è essere affiancati da una figura professionale formata.

Coaching: cos’è e a cosa serve

Il coaching è un metodo per lo sviluppo delle potenzialità, uno strumento di crescita personale o professionale sotto la guida di un coach, che può essere definito un “esperto del cambiamento”.

Costruire un piano d’azione per il futuro desiderato, per raggiungere obiettivi concreti, è la missione dei coach professionisti, che hanno a cuore il potenziale della persona che si rivolge a loro.

Se si decide di cambiare la propria vita, anche per ragioni legate al proprio stato di salute e di benessere, è opportuno iniziare con il professionista più adatto. Vediamo in che modo.

Cosa si intende per coaching?

Il termine coaching racchiude il significato di un processo di sviluppo delle risorse, delle capacità e delle competenze di un individuo, che prende il nome di coachee. Il professionista qualificato che gestisce le tappe di questo percorso è il coach.

Il processo di coaching, quindi di sviluppo della persona, viene realizzato per mezzo della intercettazione degli ambiti di crescita potenziale, così da definire un programma il cui fine è il raggiungimento degli obiettivi personali o professionali.

La traduzione del termine coach corrisponde in italiano a più parole. In inglese si riferisce a pullman, vettura, corriera, carrozza. Ogni vocabolo che porti con sé il significato essenziale di “guida” e “accompagnamento”, da uno specifico punto fino al raggiungimento della meta stabilita, rende l’idea di questa attività.

Il coaching può essere definito come un sistema di apprendimento e di potenziamento personale. Un sistema che si sostanzia nella costante relazione tra il coach e il coachee, attivamente coinvolto.

Quando è nata la figura del coach?

La figura del coach moderno è nata negli anni Settanta grazie a W. Timothy Gallwey, allenatore della squadra di tennis presso l’Università di Harvard. Fu lui a fissare i princìpi del coaching. In precedenza, nell’Inghilterra del 1800, il termine coach veniva attribuito dagli studenti universitari ai tutor considerati migliori, verso il termine del percorso di studi.

Sir John Whitmore è considerato il secondo padre contemporaneo del coaching. Whitmore, dopo essere stato pilota automobilistico, collaborò con Gallwey e diffuse il coaching in ambiti differenti da quello sportivo. Whitmore è stato l’ideatore del modello GROW, utilizzato per la definizione degli obiettivi e per migliorare le performance.

Che lavoro fa un coach?

Bisogna specificare che il processo di coaching, stando alla norma UNI 11601 2015, come riferito dalla Associazione Coaching Italia, non è equiparabile a un servizio di tipo psicologico né a una terapia.

In termini più esatti quella del coach è una professione non regolamentata che ricade nella legge 4/2013, secondo la quale è possibile l’istituzione di associazioni di tipo privatistico per tutte le professioni che non hanno un albo.

A cosa serve il coaching?

Il coaching permette lo sviluppo di una persona nella versione migliore di sé. Per questa ragione, chiunque volesse applicare un cambiamento concreto nelle proprie abitudini quotidiane, nel proprio ambiente di vita, nel lavoro, nelle frequentazioni significative, è il coachee ideale.

Il cambiamento di vita può riguardare:

In ogni caso, il coaching presuppone una rivoluzione nella struttura della propria personalità, vale a dire il modo radicato, di un soggetto, di pensare, di stare dentro la propria sfera emotiva, di percepire e quindi di agire.

Quali tipi di coaching esistono?

La volontà di cambiare, attraverso l’affiancamento di un professionista, può interessare i diversi ambiti della vita di ognuno. Per questa ragione il coaching si è esteso, come pratica di sviluppo, dall’ambiente sportivo ad altre sfere del vissuto.

Attualmente esistono, accanto allo sport coaching, pensato per accompagnare atleti nel potenziamento delle proprie capacità fisiche:

  • il life coaching, per programmi di autosviluppo oppure autoefficacia che mirino al raggiungimento di obiettivi nella vita personale
  • il business coaching, che aiuta il coachee a sviluppare le competenze necessarie per raggiungere risultati più efficaci sul lavoro. Fa parte di questa categoria l’executive coaching, rivolto a chi ha responsabilità di direzione aziendale
  • l’health coaching, volto al miglioramento della salute e del benessere personale. Rientra in questo gruppo, per esempio, il coaching alimentare, per cambiare in meglio le proprie abitudini alimentari.

Qual è il compito di un coach?

Ad avere un ruolo determinante in un percorso di coaching è la motivazione iniziale, alla base della forza di volontà. In questo senso la principale competenza del coach risiede sia nel supporto sia nella stimolazione che viene prima vissuta come esterna, e in seguito diviene integrata.

Il passaggio da una stimolazione esterna a una stimolazione integrata si svolge lungo un continuum, con gradualità e costanza. Solo in questo modo il potenziale personale supererà le difficoltà tipiche del cambiamento.

Se la motivazione iniziale rimane estrinseca, il soggetto non avrà una spinta sufficiente a continuare il percorso di evoluzione e di espressione del proprio potenziale. Soprattutto perché nel corso del tempo mancheranno convinzioni interne radicate. Nel loro studio Self-Determination Theory and Physical Activity, R. M. Ryan e E. L. Deci teorizzano al riguardo quattro stadi per la motivazione estrinseca, prima di arrivare alla motivazione intrinseca. Ognuno di questi stadi ha specifiche forme di regolazione.

Chi affronta un percorso di coaching lavora anche sulle passate esperienze di fallimento, che si basano sul concetto di autoefficacia percepita che, quotidianamente, dovrebbe essere stimolata attraverso una affermazione del proprio valore reale.

Ogni fallimento, come una dieta intrapresa e non portata a termine ad esempio, fa sì che l’individuo sviluppi la cosiddetta impotenza appresa, un termine che nella psicologia indica una convinzione profonda di non essere capace di compiere un’azione, e quindi di non compierla affatto, perché nel passato non si è riusciti.

Le difficoltà da affrontare nel coaching

Tanto la ripetitività quanto la ristrettezza dell’informazione di tipo emotivo e cognitivo pesano sulle scelte comportamentali. Questo processo rischia di chiudere il soggetto in un circolo vizioso, portandolo da una esperienza di fallimento all’altra.

Né va dimenticato come gli impegni quotidiani della vita di ognuno possano ostacolare il cambiamento: il lavoro, la giusta cura dei figli verso un percorso di autonomia, la cura della casa, la spesa, le rate. Senza dimenticare che spesso si ha la convinzione errata che il cambiamento sia facile. Convinzione che, una volta affrontata la difficoltà del cambiamento, può portare il soggetto a stress, frustrazione e rabbia.

Anche il continuo procrastinare il cambiamento, specie quando il cambiamento riguarda la salute, può mettersi tra il desiderio e l’intraprendere azioni concrete.

La soluzione per sbloccare questa impasse risiede quindi nell’affidarsi a chi ha fatto del cambiamento, e della propensione ai risultati, il proprio mestiere. Tutto sta nel vincere la ritrosia che può impedire di chiedere aiuto. Dietro questa ritrosia si trova infatti una dannosa identificazione tra richiesta di aiuto e ammissione di fallimento. Essere capaci di chiedere aiuto è, al contrario, una presa di coscienza della necessità del supporto di un esperto, specie quando si sta affrontando un momento particolare della propria vita.

Un lutto, un cambiamento inaspettato, la perdita del lavoro o la semplice voglia di cambiare possono essere la leva per iniziare a prendersi cura di sé, aumentando di conseguenza le possibilità che la situazione possa migliorare. Affidandosi a un aiuto esterno. Perché, per utilizzare una metafora, non è impossibile scalare una montagna a piedi nudi, ma aiutarsi con degli scarponcini rende la scalata meno complessa.