Chi soffre di anosognosia si ritrova a non avere consapevolezza di una malattia, pur essendone affetto.
Una persona che soffre di questo disordine selettivo può non rendersi conto, o apparentemente rifiutare di accettare, la presenza di una condizione medica o di un deficit, anche se evidente agli altri.
La a dottoressa Silvia Errico, psicologa e psicoterapeuta di Santagostino Psiche, spiega i sintomi dell’anosognosia, le cause e le possibili terapie.
Che cos’è l’anosognosia?
Il termine anosognosia (o nosoagnosia) deriva dal greco e significa letteralmente mancanza di conoscenza sulla malattia. Questa parola è stata coniata da Joseph Babinski nel 1914, mentre osservava alcuni dei suoi pazienti che ignoravano, o sembravano ignorare, l’esistenza della paralisi da cui erano colpiti.
Oggi è definito un disturbo neuropsicologico che avviene a causa di una lesione cerebrale specifica o diffusa. In particolare nei pazienti cerebrolesi sono stati osservati deficit di autoconsapevolezza in relazione ad un’ampia varietà di disturbi e fenomeni quali:
- deficit neurologici senso-motori: cecità corticale, emianopsia, emianestesia ed emiplegia
- deficit cognitivi: afasia, negligenza spaziale unilaterale, amnesia, sindrome disesecutiva e deficit cognitivi generalizzati, come nella malattia di Alzheimer.
Tipi di anosognosia
Distinguiamo tra:
- anosognosia verbale, diniego verbale dell’emiplegia
- anosognosia comportamentale, mancato riconoscimento del lato paralizzato a livello comportamentale.
L’anosognosia è un disordine selettivo: il paziente può essere inconsapevole e negare la presenza di alcuni deficit, ad esempio l’emiplegia, e non di altri, ad esempio l’afasia. Per i deficit neurologici unilaterali è asimmetrica, è più frequente nei pazienti cerebrolesi destri in cui riguarda l’emisoma di sinistra, e in pazienti con lesioni cerebrali traumatiche (TBI). L’anosognosia si manifesta per deficit comportamentali che sono in generale più consapevoli dei loro deficit cognitivi e motori.
Il paziente non ha più capacità di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico. Ad esempio può negare il proprio deficit motorio, sostenendo che va tutto bene anche quando un lato del corpo è completamente paralizzato. Poiché questo disturbo può avere un forte impatto sulla vita del paziente e sulle sue capacità di gestire le attività quotidiane, è necessario conoscerlo e valutarlo.
Quali sintomi la caratterizzano?
Il paziente presenta una ridotta capacità di identificare o giudicare realisticamente le proprie capacità e i propri deficit, è inconsapevole della propria condizione, e manifesta la profonda convinzione di avere ancora le capacità perse per via delle lesioni cerebrali.
Crosson descrive tre livelli di consapevolezza:
- consapevolezza intellettiva, che si riferisce alla capacità di un paziente di descrivere i propri deficit o compromissioni di funzionamento, senza identificare le potenziali conseguenze in termini di difficoltà nell’esecuzione di un compito
- consapevolezza emergente, che riguarda la capacità di riconoscere le difficoltà nel momento in cui si verificano
- consapevolezza anticipatoria, che riguarda la capacità di prevedere le difficoltà che possono sorgere a causa di deficit.
La consapevolezza emergente e la consapevolezza anticipatoria rappresentano due forme di consapevolezza on-line, poiché emergono durante o immediatamente dopo la performance o un tentativo di eseguire un compito.
Un livello di consapevolezza metacognitivo
È stato descritto anche un livello di consapevolezza metacognitivo off-line, come indicano studi quali Dynamic Comprehensive Model of Awareness; O’Keeffe et al., 2007 e Understanding awareness deficits following brain injury, Toglia e Kirk, 2000. Questo livello si riferisce alla capacità dei pazienti di riflettere sulla propria condizione e sulle proprie convinzioni su sé stessi.
Spesso quando una persona, il clinico o il cargiver, fa notare l’incongruenza tra la sua percezione e le reali capacità, il paziente utilizza la confabulazione, ossia costruisce in modo fantastico falsi ricordi ricchi di dettagli riferiti a situazioni ed avvenimenti irreali. Va comunque fatta una distinzione rispetto al mentire, perché il paziente cerca di rispondere alla domanda dando un senso a ciò che accade, al fatto accaduto, “costruendo un puzzle”. Mette insieme pezzi diversi, collega informazioni, date, luoghi e persone che in realtà non c’entrano nulla tra loro ma che per lui hanno un significato.
Come si diagnostica?
È possibile ipotizzare una valutazione diagnostica attraverso il colloquio clinico. Si osserva il comportamento del paziente. Se vi è una lesione pre-frontale destra sono implicate la capacità di risolvere problemi, pianificare e comprendere il contesto e il significato delle esperienze e interazioni sociali.
Si procede con un’intervista neuropsicologica in cui si rivolgono domande sulla situazione generale fino a condurre il paziente a rispondere a domande esplicite e dirette. In supporto all’intervista si possono svolgere scale in auto somministrazione come AHA – Assessment of Anosognosia For Hemianaesthesia, Spinazzola et al., 2008, e test neuropsicologici standardizzati.
In questa fase della valutazione è importante il confronto con il suo caregiver, con la persona che si prende cura di lui, che vive quotidianamente per comprendere la veridicità delle informazioni e stabilire il grado di consapevolezza. Quando il paziente non ricorda ciò che è accaduto, non riconosce la conseguenza della sua lesione tende a confabulare oppure dà delle spiegazioni assurde, incoerenti con la realtà dei fatti.
Particolarmente difficile da indagare è l’anosognosia per i deficit del comportamento sociale a causa sia della complessità della vita sociale delle persone e dal contesto ambientale socio-culturale in cui la persona è inserita e sia alla scarsità di misure specifiche. Inoltre, i disturbi del comportamento sociale possono essere associati ad altri deficit cognitivi, in particolare la memoria e le funzioni esecutive.
Chi soffre di anosognosia?
La mancanza di consapevolezza dei propri deficit cognitivi è molto comune nelle persone con demenza, nei malati di Alzheimer e nelle persone con lieve declino cognitivo. Per questo è importante svolgere una diagnosi differenziale accurata. Accanto al colloquio e ai test standardizzati è possibile eseguire un’analisi esplorativa dei correlati neurali dei sintomi neuropsicologici attraverso tecniche di neuroimmaging come la Risonanza Magnetica e la Diffusion Tensor Imaging (DTI) ossia una risonanza magnetica con tensore di diffusione.
Questo tipo di risonanza permette sia di studiare i tessuti in condizioni fisiologiche e in presenza di patologie e sia di mappare la sostanza bianca, per rilevare patologie demielinizzanti come la sclerosi multipla, o neurodegenerative come la malattia di Alzheimer e alcune forme di tumore al cervello in cui la anosognosia è un sintomo che si può manifestare.
Quali fattori la determinano?
Esistono diverse teorie a confronto. In passato si associavano i sintomi del diniego della malattia ad un meccanismo di difesa psicologico. Una persona quando sente che le sue capacità non sono sufficienti a gestire un evento, un trauma o una richiesta tende a mettere inconsciamente in atto il meccanismo di negazione totale o parziale. Per proteggersi rifiuta di ricordare, cancella ciò che procura dolore, fatica, angoscia.
Attraverso le tecniche di neuroimaging si può affermare che l’anosognosia è il risultato di una lesione specifica che altera alcune funzioni cognitive. In particolare la corteccia insulare svolge un ruolo importante nella consapevolezza soggettiva degli stati d’animo e può essere implicata in varie forme di anosognosia.
Inoltre sono state implicate lesioni del lobo frontale destro (Prigatano, 2009) oppure è visibile un danno del lobo parietale destro, non dominante, generalmente dovuto ad ictus acuto o lesione cerebrale traumatica. Quindi è possibile ipotizzare che a causa della lesione, il cervello non riesce a riconoscere alcune parti del sé.
Esiste una terapia?
Solitamente il paziente segue un percorso riabilitativo specifico per l’area celebrale coinvolta dalla lesione.
Perché si possano ottenere dei risultati è importante che nel piano riabilitativo del paziente venga posta attenzione anche sulla figura del caregiver. Se questi non è adeguatamente formato, occorre prevedere un percorso di formazione e sostegno specifico che lo aiuti:
- ad accettare le difficoltà oggettive del malato
- a comprendere quali strategie possano aiutare il paziente
- e a scoprire il modo per mettere in atto simili strategie durante le attività di vita quotidiana.
Una situazione tipica è convince il paziente a recarsi in un centro per sottoporsi a una visita medica, oppure far accettare che non si possa guidare più nonostante il paziente sia convinto della sua salute o della sua capacità di guida. In questi casi spesso il paziente prova rabbia e incomprensione e il caregiver frustrazione e senso di inadeguatezza. Bisogna ricordare che la persona non sta facendo un dispetto o è scostante, ma è necessario armarsi di pazienza e gentilezza, ricordando ad esempio cosa è successo e i passi che stanno affrontando.
(13 Febbraio 2024)