Temperamento: cos’è e quanti ce ne sono

A cosa ci si riferisce quando si parla di temperamento? Quanti tipi ne esistono? Può essere cambiato? Ecco tutto quel che c'è da sapere.

Temperamento: cos’è e quanti ce ne sono

Lo studio del temperamento è un aspetto fondamentale per comprendere la psicologia umana e le sfumature che può assumere l’identità psichica-emotiva di un individuo.

Il termine temperamento proviene dal latino temperamentum, a sua volta derivato di temperare, ovvero “miscelare”, “mescolare” diversi elementi. Con questo concetto, dunque, si fa riferimento all’insieme delle caratteristiche che concorrono a definire l’unicità di un individuo.

Ma cosa si intende in particolare per temperamento? Quanti tipi ne esistono? È possibile modificarlo? Scopriamone di più con l’aiuto della dott.ssa Marianna Palermo, psicologa e psicoterapeuta del Santagostino.

Cosa è il temperamento di una persona?

Il temperamento rappresenta il complesso delle disposizioni comportamentali innate che caratterizzano la risposta di una persona agli stimoli ambientali e ne definiscono l’identità. Più precisamente, il temperamento è la componente biologica della personalità, quella parte di noi che è presente fin dalla nascita e che si manifesta attraverso le nostre reazioni emotive e comportamentali: istinti, impulsi, affezioni, inclinazioni, necessità.

Temperamento, carattere e personalità sono la stessa cosa?

La parola temperamento è spesso considerata un sinonimo di carattere e di personalità. Seppur correlati, tuttavia, questi concetti non sono intercambiabili.

La teoria psicanalitica, e in particolar modo il contributo offerto dallo psichiatra statunitense C. Robert Cloninger, ha chiarito infatti come il temperamento sia un costrutto influenzato da fattori genetici ed ereditari e si distingua per questo dal carattere. Quest’ultimo è infatti l’esito psichico delle interazioni di una persona con l’ambiente circostante (fisico, affettivo, sociale e culturale) e ha perciò natura temporale.

Ciò significa che, diversamente dal temperamento, il carattere non è presente a priori “all’interno” di ciascun individuo, ma si forma per acquisizione durante l’infanzia e l’adolescenza, sebbene possa continuare a evolvere, potenzialmente, anche in età adulta in risposta a nuove esperienze interiorizzate.

Il temperamento, con la sua componente biologica, e il carattere, con la sua componente psichica, determinano insieme la personalità. In questo senso, la personalità è una combinazione di dati innati e ambientali che influenzano le risposte emotive, cognitive e comportamentali di un individuo. 

Quali sono i tipi di temperamento?

La classificazione dei temperamenti ha radici storiche remote. Risale infatti al 400 a.C. la teoria dei quattro umori di Ippocrate che identificava quattro tipologie di temperamento, tante quanti erano gli umori circolanti all’interno dell’organismo umano: sangue, flegma (linfa), bile gialla e bile nera.

L’equilibrio tra i quattro elementi assicurava un buono stato di salute, al contrario una condizione di disarmonia tra di essi si traduceva nella possibilità di contrarre malattie e, al tempo stesso, nello sviluppo di un particolare temperamento, dipendente dal liquido in eccesso: temperamento sanguigno, flemmatico, bilioso e malinconico.

Nella psicologia moderna, tali categorie sono state rivisitate e adattate, ma l’idea di base è rimasta la stessa: esistono diversi tipi di temperamento che influenzano il nostro modo di essere. Agli inizi del Novecento, il filosofo austriaco Rudolf Steiner, nel mettere a punto il metodo pedagogico waldorfiano, riprese la dottrina ippocratica, abbandonando il riferimento ai quattro umori e ridefinendo i diversi temperamenti:

  • temperamento sanguigno: caratterizzato da una personalità vivace e mutevole negli interessi, reattiva agli input esterni e aperta alle nuove esperienze
  • temperamento flemmatico: più riservato e calmo, tendente a una bassa sensibilità agli stimoli esterni e alla routine
  • temperamento collerico: con una reattività molto accentuata e un’elevata vulnerabilità agli stimoli, e dunque energico, deciso e talvolta impulsivo
  • temperamento malinconico: riflessivo e serio, incline all’introspezione piuttosto che al contatto con il mondo circostante

Anche nell’ottica steineriana il temperamento si presenta come il risultato di uno squilibrio tra le quattro componenti, presenti in ciascun individuo. Più in particolare, la natura del temperamento è ricondotta a due variabili: la reattività agli stimoli provenienti dall’esterno e la forza, ovvero la capacità di affermare la propria individualità.

Il modello di Cloninger

Si allontana notevolmente da questi modelli la classificazione del temperamento proposta da Cloninger, che riconduce questo concetto a quattro dimensioni principali, a loro volta sottordinate:

  • la ricerca delle sensazioni
  • l’evitamento del danno
  • la dipendenza dalla ricompensa
  • la persistenza

La ricerca delle sensazioni è connessa a un alto livello di stimolazione e a un’inclinazione verso l’esplorazione e l’entusiasmo, con la tendenza ad annoiarsi facilmente e una propensione al disordine, all’impulsività e all’instabilità relazionale. Caratteristiche che si traducono in una volubilità nelle decisioni e in improvvisi scatti di ira. Si struttura internamente in:

  • eccitabilità esploratoria vs. rigidità stoica
  • impulsività vs. riflessività
  • stravaganza vs. riservatezza
  • disordine vs. regimentazione

L’evitamento del danno è contraddistinto dalla preoccupazione per gli effetti delle proprie azioni e identifica l’indole opposta all’impulsività, in cui prevalgono aspetti come la forte sensibilità alle critiche, la cautela e l’apprensione. Si suddivide in:

  • paura anticipatoria e pessimismo vs. ottimismo disinibito
  • paura dell’incertezza
  • timidezza
  • affaticabilità vs. rigore

La dipendenza dalla ricompensa comporta il timore per la reazione altrui al proprio comportamento. Si traduce in un’attitudine socievole e in una sensibilità ai segnali sociali. Prevede tre sottodimensioni:

  • sentimentalismo vs. determinazione
  • attaccamento vs. distacco
  • dipendenza vs. indipendenza

La persistenza si manifesta con un atteggiamento perseverante e determinato, e implica una certa dose di ambizione e perfezionismo. Non comprende ulteriori sottocategorie.

Cosa significa avere un forte temperamento?

Avere un forte temperamento significa possedere un’indole marcata e ben definita, contraddistinta da reazioni emotive intense e da una chiara manifestazione dei propri tratti comportamentali. Le persone con un forte temperamento possono essere percepite come carismatiche e influenti, ma anche come testarde o difficili da gestire.

Se da un lato, infatti, la forza del temperamento può essere un vantaggio in situazioni che richiedono leadership e decisione, dall’altro può portare a conflitti se non viene gestita correttamente. Per esempio, se una persona dal temperamento forte non ha un adeguato autocontrollo e capacità di modulare le proprie interazioni, può diventare ingombrante all’interno di un team di lavoro o in altri contesti di aggregazione. Al punto da provocare l’isolamento di persone con un temperamento più mite e introverso.

Come cambiare temperamento?

Poiché rappresenta una componente innata della personalità, il temperamento è inevitabilmente una struttura immutabile, che accompagna l’individuo lungo l’intero percorso di vita. Ciò non significa, tuttavia, che non vi sia margine di intervento sui propri atteggiamenti e sulle proprie modalità di reazione agli eventi.

Quanto afferisce alla sfera caratteriale e dipende, come abbiamo visto, da fattori culturali e ambientali è infatti modificabile. La predisposizione genetica non impedisce che vi sia uno sviluppo personale mediato dall’iniziativa del singolo e dalla sua capacità di plasmarsi ed evolvere di riflesso alle esperienze della vita.

In questi termini, la terapia psicologica, la meditazione e la pratica della mindfulness sono strumenti fondamentali che possono aiutare a gestire meglio le reazioni emotive e a sviluppare un maggior controllo sui propri impulsi.

Il punto di partenza per farlo è, necessariamente, il lavoro sull’autoconsapevolezza. La riflessione sulle proprie caratteristiche e sulle proprie reazioni può portare a una maggiore comprensione di sé e a un cambiamento graduale nel modo di interagire con gli altri e con l’ambiente circostante. La coscienza di sé è un motore cruciale per abbandonare i meccanismi automatici che guidano il proprio agire e per sostituirli con comportamenti più funzionali e capaci di migliorare il proprio equilibrio mentale ed emotivo.