Sono moltissimi i test dell’età mentale diffusi online che si propongono di determinare quanti anni dimostri una persona, prendendo in esame fattori quali comportamenti, abitudini, stile di vita.
È evidente che si tratti di quiz da compilare per gioco, per divertimento, che nulla hanno da offrire in termini di attendibilità scientifica. Questi test si basano perlopiù su domande generali che non riflettono veramente le capacità mentali del soggetto che vi si sottopone.
Esistono invece test di valutazione capaci di rilevare in modo serio e attendibile l’età mentale intesa come sviluppo cognitivo? Chi ha introdotto il concetto di età mentale?
Per rispondere dobbiamo tornare indietro di un secolo, al periodo storico in cui hanno cominciato a diffondersi sistemi di valutazione del quoziente intellettivo. Agli inizi del Novecento, infatti, la riflessione sul concetto di intelligenza e sulla possibilità di misurarla, che aveva suscitato la curiosità umana fin dai tempi dell’antica Grecia, si è evoluta nei primi tentativi di quantificare le abilità cognitive in modo sistematico.
Gli interrogativi che queste ricerche portano con sé sono numerosi. Che cos’è l’intelligenza? Come e perché valutarla? Cosa influenza il suo sviluppo?
Scopriamone di più con il dott. Andrea De Poli De Luigi, psicologo e psicoterapeuta del Santagostino.
Chi suggerì di prendere in considerazione il rapporto fra età mentale ed età cronologica per determinare il quoziente d’intelligenza?
Ambito di elezione degli studi sulla valutazione dell’intelligenza è stata la psicometria, il settore della psicologia che si occupa di sviluppare dei test psicologici il più possibile validi e affidabili: un test è valido se valuta effettivamente quello che dichiara di voler valutare; affidabile se, ripetuto in due momenti diversi, offre risultati coerenti.
Una prima intuizione sulla possibilità di misurare le facoltà intellettive la ebbe Alfred Binet. Con l’aiuto di Théodore Simon ipotizzò di valutare l’intelligenza testando funzioni cognitive quali l’attenzione, la memoria e la capacità di problem solving per poi confrontare i risultati delle singole persone con i risultati medi attesi per la fascia di età. Lo strumento di lavoro messo a punto dai due studiosi prese il nome di scala Binet-Simon.
Cosa misurava la scala Binet-Simon?
La scala Binet-Simon valutava lo sviluppo cognitivo con l’obiettivo di stimare l’età mentale. Ad esempio, se a un bambino di 7 anni veniva attribuita un’età mentale di 9 anni, questo implicava che le sue abilità cognitive erano paragonabili a quelle di un bambino di 9 anni. Dal test, la sua età mentale risultava dunque superiore a quella cronologica/anagrafica. Il rapporto tra età mentale ed età cronologica permetteva così di riconoscere quando un individuo mostrasse un’intelligenza superiore alla media, pari alla media o inferiore.
La determinazione dell’età mentale era funzionale al compito con cui si confrontavano Binet e Simon: in un’epoca in cui si era alla ricerca di strategie per aiutare bambini con difficoltà di apprendimento, lo scopo era comprendere quali studenti potessero necessitare di strumenti didattici specifici.
Il metodo valutativo di Binet e Simon ha gettato le basi per ulteriori sviluppi nel campo della psicometria. Seppur in modo diverso, i successivi contributi teorici hanno mantenuto l’idea di confrontare la prestazione del singolo soggetto con le prestazioni attese per la fascia d’età.
Dalla scala Stanford-Binet alle scale Wechsler
La scala Binet-Simon catturò l’interesse internazionale e nel 1916 venne rimodulata da Lewis Terman presso la Stanford University in una nuova versione, la scala Stanford-Binet, che ebbe grande popolarità.
Attualmente gli strumenti utilizzati nella clinica e nella ricerca sono la Wechsler Adult Intelligence Scale (WAIS) per gli adulti e la Wechsler Intelligence Scale for Children (WISC), per bambini e adolescenti fino a 17 anni. Questi test concepiscono l’intelligenza come un insieme di fattori interconnessi e interdipendenti che possono compensarsi reciprocamente.
Le scale Wechsler sono dei test molto ricchi. Durante la somministrazione, ai soggetti vengono proposti una serie di compiti mirati a misurare diversi aspetti dell’intelligenza, ciascuno dei quali contribuisce a formare il punteggio complessivo del quoziente intellettivo (QI). Dalla diversa combinazione dei punteggi ottenuti dai compiti somministrati, è possibile derivare diversi indici di funzionamento fra cui i primari sono:
- indice di comprensione verbale
- indice di ragionamento visuo-percettivo
- indice di memoria di lavoro
- indice di ragionamento fluido
- indice di velocità di elaborazione
Il dibattito sulla definizione di intelligenza
Più in generale, c’è un ampio dibattito se l’intelligenza sia da considerarsi un fattore generale che influenza tutte le abilità cognitive, come suggerisce Charles Spearman, o se possa essere pensata come una somma di intelligenze indipendenti. Howard Gardner identifica otto tipi di intelligenza, tra cui:
- linguistica
- logico-matematica
- spaziale
- musicale
- corporeo-cinestetica
- intrapersonale
- interpersonale
- naturalistica.
Peter Salovey e John Mayer, in questa cornice, hanno descritto l’intelligenza emotiva come la capacità di comprendere, gestire e utilizzare le proprie emozioni e quelle degli altri in modo efficace. Questa forma di intelligenza è correlata alla consapevolezza di sé, alla regolazione emotiva, all’empatia e alle abilità sociali.
Esistono anche molti modelli alternativi, come quello di Raymond Cattel, che distingue due componenti dell’intelligenza:
- l’intelligenza fluida, che riguarda la capacità di risolvere problemi in nuove situazioni e di adattarsi a nuovi contesti
- l’intelligenza cristallizzata, che riguarda la conoscenza accumulata e le abilità acquisite attraverso l’esperienza e l’apprendimento.
A cosa serve misurare l’intelligenza e le funzioni cognitive?
La valutazione dell’intelligenza viene proposta come parte di un percorso di assessment nell’idea di comprendere quali siano le risorse e le fragilità delle persone, così da poter valorizzare le prime e trovare strategie per compensare le seconde.
L’obiettivo di una valutazione clinica è quindi comprendere e descrivere il funzionamento di una persona, in modo da poter essere più utili possibile nell’intervento che viene proposto.
È importante considerare tutti i limiti che possono avere i test di intelligenza:
- le domande e i compiti dei test potrebbero essere più familiari o riconoscibili per alcuni gruppi culturali rispetto ad altri, comportando un potenziale pregiudizio culturale nei risultati
- i test di intelligenza possono non catturare completamente la complessità dell’intelligenza umana, concentrandosi spesso su abilità specifiche come il ragionamento logico, la memoria di lavoro e la capacità verbale, mentre altre forme di intelligenza come la creatività possono non essere adeguatamente valorizzate.
I test neuropsicologici sono utilizzati per completare la diagnosi in molte condizioni cliniche. Se si ha bisogno di avere delle risposte molto specifiche, si usano dei test appositi, come nella valutazione del decadimento cognitivo nell’anziano o in condizioni cliniche quali la schizofrenia o il disturbo ossessivo-compulsivo.
Qual è il fattore principale dello sviluppo del quoziente intellettivo?
L’intelligenza è un concetto complesso e sfaccettato e il suo sviluppo dipende da una complessa interazione fra genetica e ambiente. La genetica è la nostra predisposizione biologica ereditaria. L’ambiente è l’insieme delle esperienze a cui siamo sottoposti, dal fumo in gravidanza alle stimolazioni scolastiche, dalle esperienze che viviamo con i nostri genitori a quelle che viviamo da soli.
Un modo molto interessante tramite cui sono stati studiati gli effetti delle componenti genetiche e ambientali è quello proposto dagli studi gemellari. Comparando il grado di somiglianza genetica osservato nei gemelli monozigoti (100%) con quello osservato nei gemelli dizigoti (50%), è possibile stimare il contributo genetico e ambientale su un tratto complesso come l’intelligenza. Questi studi permettono di concludere che fattori genetici spiegano più del 50% delle variabilità interindividuali.
Durante lo sviluppo, dall’infanzia all’età adulta, il peso dei fattori genetici rispetto ai fattori ambientali aumenta e contribuisce a spiegare la stabilità nel tempo della capacità intellettiva.
(2 Maggio 2024)