La mentalizzazione è la capacità di un individuo di comprendere i comportamenti propri e altrui grazie ad una corretta associazione con gli stati mentali rappresentanti da pensieri ed emozioni.
Si tratta, in sostanza, di un processo metacognitivo traducibile con l’abilità di ‘tenere a mente la mente’.
La mentalizzazione è un concetto che coincide quasi totalmente con la teoria della mente, alla quale diversi psicologi e psicoanalisti, tra i quali l’ungherese Peter Fonagy o il britannico Anthony Bateman hanno contribuito e che riguarda tutte le rappresentazioni mentali che un individuo si costruisce sin dall’infanzia.
In questo articolo cercheremo quindi di entrare nel dettaglio rispetto al concetto di mentalizzazione, come si sviluppa tale processo, quali sono le sue origini teoriche e quali i possibili vantaggi derivanti dall’acquisire buone capacità di mentalizzazione.
Cosa si intende per mentalizzazione?
La mentalizzazione è un processo mentale di natura prevalentemente inconsapevole, costituito da componenti intuitive ed emozionali. Attraverso la mentalizzazione, ciascun individuo regola le proprie emozioni e impara a sviluppare la propria intelligenza emotiva.
Si tratta di un’attività particolarmente complessa, che deve trovare una sintesi a molteplici fattori quali:
- pensieri e desideri
- bisogni e sentimenti
- fantasie e credenze
- processi psicopatologici
- sogni
Esistono due tipi differenti di mentalizzazione che andremo a scoprire nel dettaglio di seguito: una di natura esplicita e una implicita.
La mentalizzazione esplicita
Questo tipo di mentalizzazione ha natura simbolica. Ne sono un esempio quei processi che portano a realizzare opere artistiche come dipinti o poesie e che traducono, in una forma visibile o tangibile, determinati stati mentali o sentimenti.
La mentalizzazione esplicita viene costruita e alimentata attraverso un attaccamento sicuro, ossia una forma di attaccamento sviluppata nel corso dell’infanzia, quando il bambino percepisce che i suoi bisogni e le sue istanze vengono accolte e comprese dalla figura di attaccamento, come può essere un genitore o, in generale, un caregiver.
La mentalizzazione implicita
Si tratta di una forma di mentalizzazione intuitiva e automatica. In sostanza, è un bagaglio comportamentale acquisito nel corso del tempo attraverso la ricezione implicita di sentimenti o giudizi.
Si tratta di un apprendimento inconsapevole, costruito attraverso un’esposizione continua e prolungata nel tempo a stimoli e conseguenti ricompense. Non c’è consapevolezza di ciò che si è appreso, tanto meno del modo in cui si è arrivati ad acquisire certe cose.
L’intuizione è il massimo esempio di apprendimento implicito, ossia la capacità di comprendere, rispondere tempestivamente e in maniera adeguata a forme di comunicazione non verbale emotive.
Le origini teoriche della mentalizzazione
Le mentalizzazione condivide quasi tutte le sue istanze con la teoria della mente, definita ugualmente come la capacità di gestire i propri stati mentali e le relazioni con gli altri. A formularla per la prima volta furono, nel 1978, Guy Woodruff e David Premack, i quali sottolinearono quanto fosse importante la teoria della mente nell’analisi e nella comprensione degli altri e, di conseguenza, nella capacità di avere relazioni sociali.
Altri psicologi e psicanalisti hanno contribuito in seguito ad arricchire, ampliare e approfondire questa teoria, in particolare andando a indagare sulle origini dello sviluppo delle abilità di mentalizzazione, che affonderebbero le proprie radici nella relazione affettiva con la propria madre e nelle sue cure, considerate come un elemento indispensabile per lo sviluppo della funzione di mentalizzazione.
Senza di esse, infatti, da adulti, sarebbe molto più complesso stabilire relazioni sociali sane.
Forme di attaccamento sicuro rappresentano il contesto ideale all’interno del quale si possono sviluppare interazioni mentalizzanti. Viceversa, un attaccamento traumatico comprometterebbe queste capacità.
L’attaccamento sicuro, come scrivono Allen, Fonagy e Bateman ne “La mentalizzazione nella pratica clinica”, favorisce la mentalizzazione e, al contempo, non prevede comportamenti che minino tale abilità.
Come si sviluppa la mentalizzazione?
Le capacità di mentalizzazione si svilupperebbero a partire dall’età infantile attraverso un rapporto sano e corretto con la figura di attaccamento. In particolare, grazie a forme di attaccamento sicuro con figure in grado di ascoltare, comunicare e comprendere. Questo sono presupposti fondamentali per alimentare la fiducia in se stessi e nei propri mezzi da adulti.
Con il tempo l’abilità di mentalizzare ciò che potrebbe accadere nella mente di un’altra persona, si sviluppa progressivamente allineata alla crescita dei nostri bisogni e delle nostre competenze relazionali.
Quale disturbo è tipicamente associato a deficit di mentalizzazione?
La teoria della mente è una capacità che ciascuno di noi possiede, ma forme di attaccamento scorrette possono negli anni sviluppare specifiche psicopatologie.
Si pensi, ad esempio, alle principali manifestazioni sintomatologiche nei pazienti che soffrono di disturbo della personalità. Alcune condizioni patologiche come il disturbo borderline, la schizofrenia o il disturbo delle spettro autistico sembrano infatti essere dovute a un deficit di mentalizzazione.
In questi casi la mente subisce una distorsione nella percezione della propria esperienza. Gli individui presentano deficit nella cognizione sociale, ovvero quell’insieme dei processi cognitivi e affettivi alla base delle interazioni sociali, e nella capacità di interpretare gli stati mentali dell’altro.
Secondo Bateman e Fonagy, il disturbo di personalità rappresenta un’incapacità di comunicare efficacemente, ostacolando così la possibilità di stabilire relazioni di apprendimento. Questa condizione deriva dalla mancanza di fiducia nella conoscenza sociale e nella sincerità delle intenzioni altrui: i pazienti considerano le dichiarazioni degli altri come poco affidabili, ostruendo il normale adattamento delle proprie credenze riguardo al mondo e alle relazioni con le altre persone. Tutto ciò si traduce in un profondo senso di isolamento, somatizzazione delle emozioni e solitudine per il paziente.
Per questa ragione, le attività di sviluppo e allenamento delle capacità di mentalizzazione vengono utilizzate anche in psicoterapia.
Sono stati proprio Peter Fonagy e Anthony Bateman, a tal proposito, a mettere a punto nei primi anni del Duemila la Mbt, ossia una terapia basata sulla mentalizzazione.
Questa consiste nel lavorare sulla metacognizione del paziente, con la conseguenza di:
- creare le condizioni per apprendere capacità rispetto alle quali ci sono delle mancanze
- ripristinare un senso di fiducia nel paziente
- mettere fine al suo isolamento.
Perché la mentalizzazione è importante
Nella vita quotidiana la mentalizzazione implica l’utilizzo di diverse operazioni cognitive, tra cui:
- percezione
- immaginazione
- descrizione
- riflessione
Attraverso l’allenamento delle proprie abilità di mentalizzazione, l’individuo impara ad autoanalizzarsi, riconoscendo e comprendendo i propri stati mentali e le proprie emozioni. Ciò gli consente, di conseguenza, di esprimere al meglio questi sentimenti e, allo stesso tempo, di vivere un’esperienza del mondo più ricca e appagante.
Con il termine mentalizzazione delle proprie emozioni si intende proprio il raggiungimento di uno stato di chiarezza rispetto alle proprie esperienze emotive, con la duplice conseguenza di pensare, ma soprattutto sentire in maniera chiara.
La mentalizzazione può far sì che una persona sia in grado di confrontarsi in maniera ottimale con il proprio stato emotivo. Sviluppare la capacità di conoscere gli stati mentali interni permette quindi di comprendere meglio il proprio comportamento e anche quello delle altre persone. Ciò comporta evidenti benefici per le relazioni sociali e il proprio benessere psicologico.
(17 Ottobre 2022)