Il default mode network, ovvero la “modalità di base” del cervello, consiste in un insieme di circuiti neurali specifici che si attivano simultaneamente quando non siamo impegnati a svolgere compiti particolari.
Queste aree cerebrali (corteccia prefrontale mediale e cingolo posteriore) sono poco attive quando siamo impegnati a fare qualcosa, come per esempio cucinare o svolgere semplici attività manuali; mentre sono molto attive quando non facciamo niente e lasciamo l’attenzione fluttuare, o per esempio quando siamo a casa senza fare niente e ci annoiamo.
Il picco di attività di queste aree si raggiunge, poi, quando pensiamo a noi stessi. Alcuni autori sostengono che il default mode network svolga una funzione specifica nell’elaborazione del proprio Sé, ovvero della propria identità e storia personale. A questo proposito, il filosofo Daniel Dennet sostiene che queste aree cerebrali costituiscano il centro dell’esperienza soggettiva.
Cos’è il default mode network?
Il default mode network, noto anche come default network o default state network, è una rete cerebrale di grande scala, composta principalmente dal dorsale della corteccia prefrontale mediale, dal solco cingolato posteriore, dal precuneo e dal giro angolare. Questa rete è coinvolta in attività cerebrali spontanee e si attiva durante lo stato di riposo o nelle fasi di deattivazione degli input esterni.
Il default mode network si differenzia dalle altre reti cerebrali per avere attività altamente correlate tra le regioni cerebrali che lo costituiscono.
Idee di default mode network quali sono?
Diverse ricerche hanno dimostrato che è coinvolto in una vasta gamma di funzioni cognitive, comprese:
- elaborazione delle informazioni autobiografiche
- memoria episodica
- pensiero autobiografico
- simulazione mentale
- pianificazione del futuro
- empatia
- teoria della mente.
Quali disturbi sono associati al default mode network?
Il default mode network è stato associato a diversi disturbi psichiatrici. Studi recenti hanno evidenziato alterazioni nella connettività e nell’attività del default mode network in disturbi come:
Nella depressione, ad esempio, sono state osservate ipoattività e connettività anomala nel default mode network, che potrebbero essere correlate ai sintomi di umore depresso, scarsa concentrazione e ruminazione. Nell’ansia, sono state riportate iperattività e connettività alterata, suggerendo una maggiore attività di auto-monitoraggio e di elaborazione di pensieri negativi auto-riferiti.
Nella schizofrenia, sono state riscontrate riduzioni della connettività funzionale all’interno della rete, che potrebbero contribuire ai sintomi di disorganizzazione del pensiero e all’alterazione dell’autocoscienza. Nell’autismo, infine, sono state osservate alterazioni nella connettività e nell’attività del default mode network, che possono essere associate ai deficit nella teoria della mente e all’ipersensibilità alle informazioni sociali.
Qual è il default mode network di un ADHD?
Il default mode network nei pazienti con ADHD Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività è stato soggetto di studio. Si è ipotizzato che in questa rete neurale di individui con ADHD ci sia:
- un’aumentata iperconnessione con le reti rilevanti per le attività cognitive
- una diminuita correlazione con le reti rilevanti per l’attenzione.
Questa iperconnessione del default mode network con le reti coinvolte nelle attività cognitive e una ridotta attivazione sono state correlate a una cattiva performance nelle attività complesse nei pazienti con ADHD.
Inoltre, è stato osservato che nella rete di default di pazienti con ADHD ci sia una minore connettività a riposo nel sottosistema core della rete di default, composto dalla corteccia prefrontale mediale e dalla corteccia cingolata posteriore. Tuttavia, le conseguenze neuropsicologiche di questa ridotta connettività devono ancora essere determinate.
A cosa serve la modalità di default?
Per quanto riguarda il default mode network, il vantaggio di permanere in un momento di “sosta cognitiva” o vuoto è quello di promuovere movimenti associativi a livello di reti neurali, e favorire l’elaborazione delle proprie esperienze e della propria storia di individui unici.
In assenza di questa possibilità, di questa pausa, forse rischiamo di limitare la nostra crescita personale. Cosa vuol dire? Vuol dire che ci stiamo abituando sempre più a saltare da uno stimolo cognitivo all’altro, tra smartphone, tv e una società che fornisce continuo e costante intrattenimento. Forse rischiamo di non concederci la possibilità di trovare questi momenti di “fluttuazione” cognitiva, necessaria all’elaborazione di ciò che capita dentro e fuori di noi. Rischiamo di eliminare, o quantomeno ridurre il potere, del “default-mode”, la cui attività può invece aiutare ad associare, rielaborare, lasciar sedimentare. In effetti, ciò che succede quando il default mode network è attivo è per certi versi simile al lavoro che si fa in una psicoterapia.
Come ritrovare uno spazio di elaborazione personale?
Attualmente, la tecnologia non fornisce gli spazi di pensiero necessari per favorire il lavoro associativo. Al contrario, dobbiamo cercare altrove, considerando pratiche come:
- mindfulness
- suonare uno strumento musicale
- lettura prolungata
- contatto senza distrazioni con la natura
- psicoterapia
- ozio creativo
- tempo da dedicare allo sport.
L’idea che la mente debba “fluttuare” per essere più produttiva potrebbe sembrare controintuitiva, ma riflettendo su quanto idee brillanti e associazioni possano emergere dal saper aspettare, diventa evidente il bisogno di “spazi” protetti per riflettere e trasformare l’esperienza in saggezza.
(21 Maggio 2019)