Si parla di violenza domestica in presenza di ogni forma di abuso fisico, sessuale o psicologico che avviene all’interno della famiglia o tra persone che convivono o che hanno convissuto.
Questa forma di violenza include numerosi atti nocivi come aggressioni, minacce, costrizioni, e può manifestarsi contro qualsiasi membro del nucleo familiare. Tipicamente, chi esercita violenza domestica usa il potere e il controllo per dominare l’altra persona, portando spesso a conseguenze devastanti sia fisiche che psicologiche per la vittima.
Non sono rari i casi in cui soprattutto le donne subiscono gravi maltrattamenti all’interno delle mura di casa. Si tratta di situazioni che possono avere epiloghi drammatici (come dimostrano vari casi di cronaca). È quindi importante sapere che cosa fare per aiutare una vittima di violenza a intraprendere un percorso che la aiuti a uscirne.
Ammettere di essere vittima di episodi di violenza domestica non è facile. Tuttavia, il ritardo nella loro denuncia comporta rischi importanti per la salute e la vita stessa della donna. Ecco perché è importante per tutti imparare a riconoscere i campanelli d’allarme della violenza e intervenire se necessario. A questo proposito, bisogna superare il vecchio preconcetto che sia meglio non intromettersi, secondo il detto “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Che cos’è la violenza domestica
La violenza domestica è un tipo di abuso che si manifesta con comportamenti coercitivi, manipolativi, violenti o minacciosi da parte di una persona verso un’altra all’interno del contesto familiare o affettivo.
Questo tipo di violenza può essere perpetrato da un partner o ex partner, da un familiare o da qualsiasi individuo che condivida o abbia condiviso una residenza con la vittima, come marito, moglie e figli. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, ad essere vittime di violenza domestica sono le donne.
I numerosi casi di cronaca di violenza domestica o femminicidio inducono a riflettere sulle dinamiche che si instaurano a volte nei rapporti di coppia e in quelli familiari. Spesso, infatti, i maltrattamenti nei confronti delle donne si consumano proprio da parte di mariti, compagni, fidanzati o padri. Si tratta di situazioni non rare e non lontane dalla nostra quotidianità, che possono coinvolgere nostri parenti, amici o vicini di casa.
La violenza domestica è un fenomeno trasversale che può interessare ogni fascia d’età, qualsiasi gruppo di appartenenza e famiglie di qualunque livello socio-economico. A questo proposito la Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata anche in Italia con la legge 77/2013, specifica che la violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani. Questa comprende non soltanto le lesioni gravi o il femminicidio, ma tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica.
Quali sono i segnali di violenza domestica?
La violenza domestica è spesso preceduta e accompagnata da altre forme di violenza, anch’esse deleterie rispetto all’autostima e al benessere psicologico della donna. Queste comprendono:
- umiliazioni
- svalutazioni
- limitazioni dell’autonomia personale
- negazione dell’accesso alle finanze familiari
- privazione dello stipendio.
Queste forme di abuso rappresentano fattori di rischio e campanelli d’allarme che possono precedere le percosse, le lesioni personali e, nei casi più gravi, l’omicidio. Le varie forme di violenza, quindi, sono spesso compresenti e portano all’isolamento progressivo della persona. Per questo motivo è importante cogliere i segnali della violenza e supportare le donne che, in un certo momento, decidono di chiedere aiuto per affrontare la situazione.
Quali comportamenti rientrano nella violenza domestica?
I reati di violenza domestica comprendono tutta una serie di comportamenti lesivi e dannosi, che possono riguardare diversi aspetti.
Violenza fisica
La violenza fisica consiste in aggressioni che provocano, appunto, lesioni fisiche alla vittima. Comprende percosse, schiaffi, pugni, spinte violente, calci, strattoni, lesioni con armi o oggetti, strangolamenti, fino ad arrivare alla tortura e al tentato omicidio. Anche l’immobilizzazione, l’impedimento al movimento e il mancato soccorso possono rientrare nella definizione di violenza fisica.
Una forma particolarmente spregevole di aggressione, inoltre, è quella costituita dagli attacchi con acido. Tutte le azioni menzionate costituiscono atti estremamente gravi, che configurano reati penalmente perseguibili.
Violenza psicologica
La violenza psicologica o abuso emotivo si sostanzia in atti come:
- umiliazione
- minacce
- critiche pesanti
- insulti
- intimidazioni
- ricatto emotivo.
La violenza verbale è una componente essenziale dell’abuso ed è in grado di minare gravemente l’autostima. Una delle forme più subdole di violenza emotiva è il gaslighting. Si tratta di manipolazione psicologica mirata a far dubitare la vittima delle sue percezioni e della sua stessa sanità mentale, convincendola di informazioni false o negando l’evidenza. L’esempio classico è negare di aver commesso qualcosa, presentando fatti realmente accaduti come inesistenti, accusando la vittima di essere pazza o inventarsi le cose.
Violenza sessuale
La violenza sessuale comprende una serie di azioni che variano dalla coercizione non fisica, che obbliga un individuo ad avere rapporti sessuali contro il suo volere, fino ad arrivare allo stupro, eseguito o meno con l’uso della forza.
La legge, precisamente l’articolo 609-bis del codice penale, descrive lo stupro come un atto che comporta violenza, minacce o sfruttamento di posizioni di autorità. Alcuni esempi includono fare del male deliberatamente a qualcuno durante un rapporto sessuale, aggredire i genitali anche con l’uso di oggetti, cercare di instaurare un rapporto sessuale con una persona che non è in piena capacità di coscienza o che è intimorita in caso di rifiuto, e obbligare qualcuno a fare sesso. Anche le mutilazioni genitali femminili rientrano in questa categoria di violenza.
Violenza economica
La violenza economica o abuso economico implica alcune azioni che possono essere classificate in tre gruppi principali:
- prevenire l’acquisto di beni
- ostacolare l’utilizzo di risorse disponibili
- consumare le risorse della vittima.
Si è in presenza di questa forma di violenza, quando il partner limita l’accesso a conti bancari, denaro contante, budget per le necessità domestiche, l’utilizzo del telefono, i trasporti e l’accesso alle cure mediche. Si può sostanziare anche nel sabotaggio attivo delle opportunità lavorative della persona, attraverso strategie che ne impediscono l’assunzione o la presenza a lavoro.
Controllo coercitivo
Il controllo coercitivo consiste in una seria di strategie volte a minare la libertà personale e l’autonomia del partner, includendo azioni come:
- isolare la persona dai suoi cari
- sorvegliare i suoi movimenti
- restringere l’accesso a ambienti o luoghi di lavoro
Queste pratiche mirano a esercitare un dominio totale sulla persona, limitandone la capacità di agire liberamente.
Perché molte donne non denunciano?
Spesso la vittima di violenza prova paura, vergogna, senso di colpa e dipendenza affettiva nei confronti del partner. Questi sentimenti le rendono difficile portare alla luce la situazione di violenza, anche se molto dolorosa o pericolosa. Molte donne potrebbero avere la tendenza a minimizzare. Spesso, infatti, prima di chiedere aiuto vengono aggredite più volte sperimentando in varie occasioni l’alternanza di fasi di tensione e fasi di apparente calma nella relazione di coppia, alimentando la falsa illusione che “dopo la tempesta torna comunque il sereno”.
È quindi fondamentale saper riconoscere e accogliere la richiesta d’aiuto di una donna che subisce violenza domestica, per supportarla e attivare le sue risorse personali. In modo, è possibile far sì che possa compiere un primo passo per uscire dall’isolamento e quindi dalla quotidianità violenta che sperimenta.
Cosa fare se si sospetta violenza domestica?
Il percorso attraverso il quale la persona giunge ad affermare “Mi ha picchiata mio marito”, invece che “Sono caduta dalle scale”, è a volte complesso e fonte di sofferenza. Di conseguenza, la vittima va accolta e accompagnata in questo percorso di consapevolezza.
“Come posso uscire da questa situazione?”, “Lui cambierà?”, “Che cosa succederebbe se lo lasciassi o lo denunciassi?”, “Che cosa ne sarà dei miei figli?”: queste sono solo alcune delle domande che si pone una donna che ha subito atti di violenza e che inizia a interrogarsi su come porre fine a questo circolo vizioso. Proprio in questa fase è cruciale indirizzare la donna a chi possa aiutarla a elaborare questi interrogativi e a trasformarli in strategie concrete di fuoriuscita dalla situazione di maltrattamento.
Infatti, affinché possano emergere i numerosi “casi sommersi” di violenza nelle relazioni intime, è importante che tali forme di violenza non vengano più considerate un fatto privato della coppia, ma una questione di natura pubblica, che coinvolge la società civile nel suo complesso.
A chi rivolgersi?
Le donne che subiscono violenza domestica possono rivolgersi a centri specializzati, Pronto Soccorso o Forze dell’Ordine. È possibile chiedere aiuto anche semplicemente a un vicino di casa, alle insegnanti del figlio o ad altre persone con i quali entrano in contatto a vario titolo.
Per questo motivo è importante essere tutti consapevoli di quello che si può e si deve fare in un caso di questo tipo.
Sul territorio sono presenti numerosi Centri Antiviolenza, che offrono gratuitamente percorsi di accoglienza, supporto psicologico e consulenza legale alle vittime di violenza. Chiamando il numero 1522 è possibile sapere qual è il Centro Antiviolenza più vicino alla propria zona di residenza. In questo modo, una donna maltrattata può dare voce alla propria sofferenza e iniziare un percorso di fuoriuscita dalla dolorosa situazione vissuta.
(22 Giugno 2024)