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Femminicidio e cause psicologiche alla sua base

Quali sono le cause psicologiche alla base di un femminicidio? E in che modo si può intervenire per prevenirlo? Grazie alla psicologia possiamo interrompere questa spirale di violenza, se agiamo per tempo.

Femminicidio e cause psicologiche alla sua base

Le cause psicologiche che determinano un femminicidio sono un fenomeno particolarmente complesso da affrontare.

Si tratta tuttavia di un discorso che deve essere impostato, ancora prima che affrontato in modo sistematico, con rigore e chiarezza scientifica.

Le statistiche indicano come il femminicidio, non solo in Italia ma anche in Europa, sia un fenomeno che non accenna a diminuire.

Cerchiamo allora di inquadrare femminicidio e cause psicologiche in un contesto scientifico, con il fine di capire cosa ci sia alla sua base e in che modo sia possibile prevenirlo.

Ci aiuta a comprendere e inquadrare il fenomeno la dottoressa Elvira Simona Solimando, psicologa e psicoterapeuta di Santagostino Psiche.

Che cosa si intende oggi per femminicidio?

Il termine femminicidio viene adottato in caso di violenza contro le donne. Una violenza di genere, quindi, che viene esercitata contro le donne e che ha come obiettivo quello di distruggerne la soggettività dal punto di vista sociale, economico, simbolico e psicologico. Siano di esemplificazione, al riguardo, i casi di violenza domestica.

Parliamo poi di femicidio quando avviene l’uccisione di una donna, una morte cruenta e perpetrata per misoginia, ovvero quando una donna è stata uccisa proprio perché donna. Questa distinzione tende a sfumare, nell’uso quotidiano e il termine femminicidio viene a sovrapporsi di fatto con il termine femicidio, spesso sostituendolo.

Dov’è più diffuso il femminicidio?

Secondo le stime dell’European Data Journalism Network e del Mediterranean Institute for Investigative Reporting, rispettivamente Edjnet e Miir, nei 27 stati membri EU, includendo anche la Serbia, sono stati commessi 3.232 femminicidi tra il 2020 e il 2021.

Questa è una stima purtroppo al ribasso. Non tiene conto di ben 8 Paesi dell’UE per i quali sono assenti dati, ed è inoltre una stima notevolmente lontana dai 6.593 omicidi che risultano essere stati commessi da ex partner o da familiari, secondo una ricerca Eurostat.

In Italia, secondo i dati del Ministero dell’Interno, nel 2022 il 38,1% delle vittime di omicidi sono donne.

Chi commette il femminicidio?

Per identificare il profilo psicologico dell’uomo che commette un femminicidio, possiamo utilizzare le riflessioni di Margaret Elbow, che in un suo studio del 1977, dal titolo “Theoretical considerations of violent marriage”  descrive quattro tipi di aggressore:

  • controllante, il quale teme la perdita della propria autorità e del proprio dominio, e pertanto esige totale controllo sugli altri membri della famiglia
  • difensore, un profilo di uomo incapace di concepire l’autonomia altrui, che viene vista come una minaccia di abbandono, e per questa ragione sta con donne in uno stato di dipendenza
  • chi ricerca l’approvazione e ha bisogno di un continuo rinforzo di autostima dall’esterno, e si abbandona a reazioni rabbiose in caso di critica
  • incorporatore che cerca nei fatti un rapporto fusionale con la donna, agendo con violenza in proporzione alla percezione, anche solo presunta, di perdere l’oggetto del suo affetto.

Quasi sempre, il quadro psicologico dell’uomo maltrattatore include quindi un desiderio ossessivo di controllo nelle relazioni, spesso manifestato attraverso un’eccessiva gelosia e la necessità di dominare la propria compagna. Quando l’uomo si sente minacciato dalla perdita di controllo, può reagire con comportamenti violenti, utilizzando la punizione come mezzo per ristabilire il proprio dominio.

Quali sono le cause del femminicidio?

Cosa c’è alla base del femminicidio? Le cause principali di questo fenomeno risiedono nelle profonde disuguaglianze di genere e in una cultura patriarcale che enfatizza costantemente la superiorità maschile, imponendo la sottomissione delle donne.

Ci sono infatti alcune condizioni che si riscontrano tutte le volte in cui accade un femminicidio. Li possiamo chiamare, per convenzione, fattori di rischio, il cui minimo comune denominatore è la mascolinità tossica.

Con questo termine si indica l’insieme di credenze stratificate culturalmente che porta a considerare la donna come un oggetto privo di identità e di autonomia e, soprattutto, privo del diritto di essere considerato un essere umano, con tutti i diritti che ne conseguono. La donna viene vista esclusivamente in un’ottica di stereotipia di genere.

Le costanti che sono sempre presenti in un episodio di femminicidio sono:

  • un grado di scolarizzazione basso
  • violenze che l’uomo ha subìto quando era bambino
  • violenze domestiche cui l’uomo ha avuto modo di assistere da bambino
  • l’abuso di alcol
  • una condizione di disparità di genere
  • l’avere accettato, come fatto culturale, la violenza e il ricorso alla violenza.

A portare a tragici femminicidi, spesso seguiti da suicidi, ci sono anche possibili disturbi mentali, come depressione grave o schizofrenia. Gli uomini con disturbi di personalità antisociali, borderline o narcisistici possono mostrare un senso di inadeguatezza così intenso da spingerli a commettere violenza contro la propria compagna.

In ultima analisi, il femminicidio è spesso il risultato di un mix complesso di insicurezze personali, difficoltà nel gestire le relazioni intime e nel controllare i propri impulsi.

Una violenza cui si assiste fin dall’infanzia

I bambini esposti ad episodi di violenza in famiglia sono influenzati da ciò che osservano e sperimentano dai modelli adulti che rappresentano per loro le figure di attaccamento. Quando non si accolgono e si risolvono le esperienze traumatiche, queste rimangono impresse e attivano una serie di dinamiche relazionali.

Spesso osserviamo, nella clinica, una dinamica molto evidente tra vittima e aggressore. Alcune persone imparano a sottomettersi in età precoce, altre imparano a compensare tramite l’aggressività e la violenza. Il comportamento acquisito può manifestarsi in vari modi: obbedienza, sottomissione, compiacere gli altri, incolpare gli altri, aggressione.

Per poter lavorare con queste persone è fondamentale essere consapevoli di entrambe le dinamiche per evitare le prospettive estremiste, identificare e comprendere le dinamiche messe in atto.

Come si riconosce la violenza psicologica?

La violenza psicologica si manifesta attraverso una vasta gamma di comportamenti dannosi che possono causare profondo disagio emotivo e psicologico nella vittima. Questi comportamenti includono offese, denigrazioni, umiliazioni, isolamento sociale, controllo e limitazione della libertà: la vittima riceve infatti costanti insulti riguardanti il proprio aspetto o la propria intelligenza e viene spesso ridicolizzata in pubblico davanti ad amici, parenti o sconosciuti.

Questi comportamenti non si limitano a singoli episodi, ma si sviluppano nel tempo con un crescente livello di gravità. Inoltre, presentano molto spesso un andamento ciclico dove gli episodi di aggressione e vessazione si alternano a momenti di tranquillità e presunto benessere.

La violenza psicologica comprende anche le accuse infondate da parte dell’aggressore, che attribuisce ingiustamente alla vittima responsabilità che non ha. A ciò si aggiungono le minacce di conseguenze dirette nei confronti della vittima, dei suoi cari e della sua cerchia sociale, sviluppando così una relazione altamente tossica e manipolativa.

Come arginare e prevenire il fenomeno del femminicidio?

Rompere la spirale di violenza fisica, di violenza sessuale o psicologica è possibile, ed è innanzitutto un obiettivo culturale. I corsi di perfezionamento sulla violenza di genere, sul femminicidio e sulla violenza intrafamiliare nelle università dimostrano un interesse in questa direzione.

Le donne vittime di violenza hanno la possibilità di rivolgersi ai numerosi centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale, nei quali può essere fornito supporto psicologico, legale e logistico.

Molte vittime di violenza spesso hanno poca esperienza di relazioni sicure e sane. Per questo motivo è necessario prestare molta attenzione al creare una forte alleanza terapeutica con i pazienti, per far loro capire che lo scopo della terapia è aiutarli a vedere la situazione più chiara, con sicurezza e rispetto per sé.

Sebbene gran parte delle vittime siano consapevoli che la relazione è potenzialmente pericolosa e dovrebbe essere interrotta, alcune vittime di violenza presentano una percezione idealizzata e distorta della relazione. Ciò può impedire che la persona sia consapevole dei segnali di pericolo o minaccia e quindi attui comportamenti protettivi nei suoi confronti.

Femminicidio, un approccio fatto di ascolto e rispetto

È fondamentale utilizzare la terapia e le prime sedute per creare un piano di sicurezza e raccogliere un’anamnesi dettagliata. Un aspetto rilevante è che molte vittime sono stanche di raccontare la loro storia. In particolare se hanno percepito negativamente alcune precedenti esperienze.

Molte donne provano ambivalenza in merito a ciò che è accaduto e alla loro decisione. Soprattutto quando non hanno il sostegno della famiglia o le risorse economiche. Nei casi di violenza, è importante contemplare domande nell’anamnesi clinica, che esplorino le difficoltà nel chiedere aiuto.

È fondamentale intervenire in modo rispettoso quando si esplora questo tipo di informazioni, così che la donna non percepisca giudizio come persona, o nel caso madre, nemmeno per i suoi comportamenti.