In un contesto economico dinamico e in continuo mutamento, le aziende sono costrette ad adattarsi al cambiamento. Un buon leader è in grado di facilitare i cambiamenti aziendali, evitando o limitando l’insorgere di ansia e resistenze alle novità nei lavoratori.
Chi è il buon leader?
Le organizzazioni lavorative hanno primariamente due funzioni per l’individuo: contribuiscono a creare l’identità individuale e permettono di vivere l’appartenenza di gruppo. Identità e stabilità sono bisogni fondamentali per ogni individuo. Tali necessità però rischiano di entrare in conflitto con la flessibilità e l’innovazione che il mercato richiede a un’azienda. All’interno di questo processo, il leader ha il compito fondamentale di creare “mappe” per orientarsi e consentire ai lavoratori di non sentirsi persi e in balia delle trasformazioni aziendali. Un buon leader infatti definisce tempi, risorse e modalità di attuazione dei cambiamenti, tenendo conto anche delle fantasie e delle paure che governano i comportamenti. In altre parole, un’organizzazione può rinnovarsi solo se guidata da leader capaci di intercettare e gestire questi vissuti psicologici.
La leadership non si riferisce quindi solo al processo di gestione del potere, ma riguarda anche la gestione di abilità e conoscenze delle persone. Non si tratta solo dare ordini e controllare, quanto piuttosto di orientare in modo efficace le persone verso il cambiamento, utilizzando l’intelligenza emotiva.
La resistenza al cambiamento
Ogni organizzazione permette all’individuo la soddisfazione di bisogni di appartenenza e di identità. Il cambiamento è percepito come un minaccia a questo equilibrio e rischia di innescare meccanismi di difesa. Le difese sono costituite da processi per lo più inconsci, in certa misura indispensabili per la sopravvivenza degli individui, dei gruppi e delle organizzazioni, ma se non esplicitate e contenute possono essere molto limitanti.
Alcuni esempi tipici di difese possono essere:
- isolamento, abbandono del gruppo o del compito (burnout, malattie psicosomatiche, elevato turnover, ovvero ricambio continuo del personale)
- sabotaggio del compito, svalutazione delle attività
- diffusione della responsabilità
- ossessività e irrigidimento nei controlli e nelle procedure
Le difese organizzative non padroneggiate si rivelano anti- task: le energie disponibili, infatti, vengono impiegate per allontanare ansia e disagio, invece che per completare le attività. Sono quindi estremamente costose in termini economici e di tempo. Questi processi possono generare sofferenza disagio nelle persone che lavorano all’interno delle aziende e influiscono negativamente sul clima e sulla produttività delle organizzazioni.
Come il buon leader può facilitare il cambiamento
Ogni cambiamento suscita forti emozioni e innesca dinamiche relazionali potenzialmente corrosive. È necessario quindi riconoscere l’invidia, la rivalità, le paure e dare espressione alle emozioni più disturbanti. Una dinamica frequente che si innesca quando non si pone attenzione a queste emozioni è la ricerca di un capro espiatorio, che si fa portavoce delle resistenze presenti.
Insomma, queste emozioni e dinamiche, se sono ben gestite e non trascurate, possono generare nuova consapevolezza e crescita, sia a livello individuale che a livello aziendale.
Una visione razionalistica dell’organizzazione, che considera le emozioni come limiti di cui bisogna liberarsi in nome dell’efficienza, è nettamente superata dal riconoscimento del ruolo cruciale dei fattori emotivi nel plasmare le relazioni umane e quindi anche il lavoro.
Ecco in questo senso alcune pratiche che il buon leader può adottare per facilitare un cambiamento.
- Promuovere una cultura organizzativa che preveda l’espressione dei vissuti negativi e dia voce alle critiche e alle polemiche. Alcune imprese hanno introdotto l’advisory box, una cassetta dei suggerimenti per raccogliere vissuti, opinioni e indicazioni anonime che nessuno ha il coraggio di portare direttamente;
- Promuovere l’apprendimento dagli errori senza negarli, e alimentare le iniziative;
- Prevedere l’invidia: le buone idee infatti mettono sempre in ombra qualcuno.
- Tollerare l’ambivalenza – di chi segue il leader – tra bisogno di dipendere e invidia e rabbia per non essere al comando.
- Gestire i conflitti: l’esperienza di far parte di un gruppo di lavoro promuove la collaborazione e l’appartenenza, ma anche l’incontro tra diversità. Proprio la diversità, elemento fondante della strutturazione e della creatività del gruppo, nello stesso tempo è però in grado di generare conflitto.
Il ruolo dello psicologo in azienda
L’approccio di uno psicologo in azienda per certi versi può essere paragonato all’approccio del terapeuta verso il paziente: non dice a un manager cosa fare o come organizzarsi, perché questo è già un esperto. Lo psicologo aziendale, piuttosto, aiuterà a riflettere sul significato di ciò che accade nelle dinamiche organizzative. Il suo lavoro in questo senso è simile a quello di un oculista, che propone lenti diverse con cui guardare il mondo circostante.
Il primo strumento che lo psicologo può fornire è quindi la consapevolezza: le organizzazioni che affrontano meglio i cambiamenti sono quelle capaci di valutare anche gli aspetti relazionali ed emotivi. I manager e gli altri professionisti che sviluppano competenze emotive, in effetti, riconoscono più velocemente i conflitti emergenti nei team, le vulnerabilità da gestire e i meccanismi che regolano le decisioni complesse.
La consulenza psicologica è uno strumento per prevenire o affrontare anche problemi di resistenza al cambiamento organizzativo e per migliorare la comprensione delle relazioni di gruppo, dei ruoli e della leadership stessa.