Psichiatria

Chi sono e come parlare ai NEET?

I NEET sono giovani che non studiano, non si stanno formando né lavorano. Capire le cause di questo stallo, per relazionarsi a loro, è il primo passo per aiutarli a riprendere in mano le proprie vite.

Chi sono e come parlare ai NEET?

NEET, acronimo che indica una fascia di popolazione che non lavora, né studia né è impegnata in alcun percorso formativo per un possibile inserimento nel mercato nel lavoro.

Una popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni, non solo in Italia ma nei Paesi europei, a forte rischio di esclusione sociale e tagliata fuori dal mercato del lavoro.

Chi sono i NEET? Perché si ritrovano in questa stagnazione, e in che modo possono essere aiutati? Risponde la dottoressa Miriam Baraccani, psicoterapeutica a indirizzo analitico del Santagostino.

Cosa si intende per NEET?

Con l’acronimo NEET (Not in Education, Employment or Training) si indicano quei giovani di età compresa tra i 15 ed i 29 anni che non sono occupati in nessun tipo di percorso formativo o lavorativo.

Chiunque non abbia comunicato allo Stato di essere impegnato in studi universitari o formativi di altro tipo o impiegato nel mondo del lavoro, con qualsiasi impiego, viene inserito in questa categoria.

Quanti sono i NEET in Italia?

Secondo i dati dell’ufficio Confindustria di Udine, a marzo di quest’anno, i giovani non impegnati in attività di questo tipo risultavano essere il 25,1% della popolazione italiana, un’alta percentuale rispetto alla Germania (9,9%) o alla Slovenia (9,5%).

In Italia i NEET sono circa 3 milioni e 85 mila: 959 mila risultano disoccupati, 2 milioni e 126.000 non hanno lavoro e non sembrano cercarlo. L’incidenza sembra essere più elevata per le donne. Vero è che molti di questi ragazzi lavorano senza contratto regolare e per questo sfuggono ad ogni tipo di analisi.

Quali sono le cause dei NEET?

I NEET rappresentano una categoria a rischio rispetto ad una spirale depressiva, laddove il non essere ingaggiati in alcuna attività li priva del rapporto con la propria progettualità, con deprivazioni socio-economiche che rischiano maggiormente di problematizzare la propria situazione.

Una situazione che, potenzialmente, esprime già una profonda sofferenza. Le dinamiche psichiche che sono alla base del rifiuto o della difficoltà di adattamento al contesto sociale, lavorativo, di appartenenza, spesso hanno a che fare con aspetti depressivi, con difficoltà nel contattare gli oggetti interni e nel trovare quindi quella motivazione profonda che li spinga ad attivarsi.

La fascia di età 18-29 incontra a volte resistenze all’adultizzazione, laddove per “adultità” intendiamo un atteggiamento di presa di responsabilità e di maggiore autonomia rispetto al nucleo genitoriale.

Non possiamo trascurare le proposte lavorative che talvolta scarseggiano, non per quantità ma per qualità dell’offerta. Questa situazione aumenta vissuti di frustrazione e sfiducia verso la realtà che contribuisce ad un maggior ritiro sociale. Il tratto di sfiducia è ricorrente tra questi giovani spesso caratterizzati, oltre che dagli elementi sopracitati, da un Sé fragile.

In alcuni, possiamo ipotizzare di incontrare un’angoscia di frammentazione dall’impatto con la realtà, riassumibile in un pensiero del tipo: “Temo di non sapere fare ed il riscontro con il reale potrebbe disintegrare la mia autostima. Temo che la mia identità già fragile”. La difficoltà ad agire e reagire, accompagnata da una quota di ansia, spesso dipende dalla tendenza ad avere un locus of control esterno, anziché interno.

Quali sono le conseguenze del fenomeno NEET?

Il fenomeno NEET è un fenomeno che sta avendo una forte risonanza in termini di visibilità. Questo accade perché a livello quantitativo ha raggiunto dimensioni tali da rischiare di compromettere in parte lo sviluppo economico italiano. Attualmente è in corso un progetto di UNICEF Italia che porta attenzione sul tema e sulla sua complessità.

Molto si potrebbe fare dal punto di vista delle politiche attive, in particolare modo quando termina la scuola superiore per quei giovani che non proseguono all’università. Per politiche attive intendiamo proprio quel supporto nell’analizzare le competenze trasversali maturate, le caratteristiche personali, le ispirazioni, i valori professionali. Al fine di strutturare in maniera maggiormente funzionale la ricerca del lavoro.

Il termine della scuola superiore è un momento molto delicato, anche dal punto di vista psichico. Il percorso individuativo e la strutturazione della personalità è in fase di definizione. Ed è proprio in questa fase che il sistema produttivo e del lavoro dovrebbe fornire delle proposte attraenti. Sia in termini di formazione che in termini di riconoscimento contrattuale.

Come approcciare i NEET e quali strategie sono utili?

Dal punto di vista clinico la psicoterapia può essere utile. Non tanto per favorire l’esame di realtà che non viene meno. Piuttosto, per lavorare sulla costruzione di un contatto profondo con gli oggetti interni. In questo modo si può favorire una competenza emotiva più strutturata, anche per un diverso esame di realtà.

È importante tenere in mente questi aspetti proprio per evitare di cadere nella banalizzazione del fenomeno. Una banalizzazione che porta a leggere questi comportamenti di ritiro o di disinvestimento come segnali di una scarsa motivazione.

Ciò che avviene in realtà è spesso invece un irrigidimento a livello di pensiero, spesso dettato dalla paura appunto, con presenza di pensieri disfunzionali, ed un modo, sicuramente utile, per poter agganciare chi incontra questa dimensione di sofferenza, non è “spingerlo al fare” ma aiutarlo a crescere dal punto di vista emotivo.