Dormire è un’attività complessa, non scontata e le cui funzioni sono diventate più chiare solo in seguito a studi recenti. In questo articolo approfondiamo l’argomento parlando di deprivazione di sonno, narcolessia, ritmi circadiani, insonnia e sonnambulismo.
Perché dormiamo? Per rispondere, dobbiamo prima chiederci cosa sia il sonno.
Il sonno può essere definito come uno stato prontamente reversibile di ridotta reattività a, e ridotta interazione con l’ambiente. Dormire svolge diverse funzioni importanti per il nostro benessere. La qualità e quantità del sonno, infatti, influiscono in modo significativo sulla qualità di vita generale.
Secondo Robert Stickgold, professore di psichiatria di Harvard e ricercatore, il sonno permette di:
- Rinforzare la memoria;
- Rielaborare informazioni ma anche dimenticare quelle inutili;
- Trovare soluzioni ai problemi;
- Capire come funzionano le cose.
Insomma, il sonno permette non solo di riposarsi e riprendersi dagli stress, ma anche di elaborare una grande quantità di informazioni. Oltre Stickgold, anche altri ricercatori, come Karim Alkadhi hanno sottolineato le importanti funzioni del sonno, aggiungendo che dormire è fondamentale non solo per consolidare la memoria, ma anche per proteggere la plasticità cerebrale e le funzioni cognitive. In effetti, sembra che memoria, attenzione e apprendimento possano essere colpite negativamente da una deprivazione di sonno prolungata. Tra gli altri effetti negativi della deprivazione di sonno ci sono un aumento dell’irritabilità e dell’ansia ma anche una maggiore vulnerabilità del sistema immunitario. In pratica, se non dormiamo abbastanza il corpo sembra andare incontro a una sorta di “stress ossidativo”. L’ansia, lo stress e i processi infiammatori, allora, agiscono sulla persona riducendone sensibilmente il benessere psicofisico e sociale. In altre parole, quando non dormiamo ci consumiamo più velocemente. Diventa importante allora cercare di prevenire l’insonnia.
Il record di veglia ininterrotta
Nel 1963, lo studente diciassettenne Randy Gardner, stabilì un record mondiale di veglia ininterrotta: undici giorni, ovvero 264 ore. Non utilizzò né farmaci né caffeina.
Anche se al termine dell’esperimento Randy non aveva subito danni permanenti, l’esperienza non era stata priva di effetti collaterali. Dopo due giorni senza dormire Randy era diventato irritabile, provava nausea, aveva problemi di memoria e non riusciva a guardare la tv. Al quarto giorno iniziò a soffrire di ossessioni e la stanchezza era ingestibile. Dopo una settimana aveva tremori, faceva discorsi sconnessi e il suo EEG non presentava più ritmi alfa (quelli tipici della veglia). A differenza di quanto avevano previsto alcuni esperti dell’epoca, comunque, Randy non sviluppò danni permanenti e tornò a comportarsi normalmente nel giro di una settimana.
La deprivazione di sonno sembra avere invece conseguenze più importanti negli animali. I ratti, ad esempio, perdono peso pur mangiando più cibo, diventano più deboli, sviluppano ulcere allo stomaco ed emorragie interne, fino anche a morire. Inoltre, sviluppano disfunzioni della regolazione della temperatura corporea e del funzionamento metabolico.
Insomma, l’assenza prolungata di sonno REM non è sempre dannosa per l’uomo, ma il sonno fornisce elementi essenziali per il nostro benessere psicofisico.

Rendy Gardner
Le fasi del sonno
Quando dormiamo attraversiamo diverse fasi che si ripropongono in modo ciclico nelle ore di sonno. Anche se esistono 4 stadi, per semplificare possiamo dire che esistono due tipologie principali: il sonno REM (Rapid Eye Movements, cioè movimenti rapidi degli occhi) e quello non-REM.
Il sonno non-REM è progettato per il riposo. La tensione muscolare è minima e gli unici movimenti che si compiono hanno la funzione di aggiustare la posizione. Il consumo energetico è piuttosto basso e mediato dall’attivazione parasimpatica del Sistema Nervoso Autonomo (SNA). In altre parole, la frequenza cardiaca, la respirazione e il funzionamento dei reni rallentano, mentre i neuroni scaricano al livello più basso della giornata. Se si osserva l’elettroencefalogramma (EEG) durante il sonno non-REM, si vedono onde ampie e lente.
Il sonno REM è invece più interessante. Gli studiosi lo definiscono un cervello attivo che si illude in un corpo paralizzato. Gli unici movimenti sono quelli di occhi e polmoni, per il resto il corpo è quasi completamente paralizzato. È ormai noto che il sonno REM è la fase in cui sogniamo. Il 95 per cento delle persone svegliate in fase REM era in grado di ricordare i propri sogni. Durante il sonno REM l’attività cerebrale è quasi indistinguibile da quella dello stato di veglia. L’EEG, in effetti, è molto simile a quello di un cervello sveglio e attivo, e presenta fluttuazioni veloci e a basso voltaggio. Il sonno REM rappresenta circa il 25 per cento del sonno totale e questa fase si ripete ogni 90 minuti.
Camminare, parlare nel sonno e terrori notturni
Dormire sembra un’attività scontata, che procede regolare dall’addormentamento al risveglio. E per molti è così. Per altre persone, invece, il sonno è meno costante e sereno. Accade a molti, infatti, di parlare, gridare o camminare nel sonno. Di solito queste “attività” si svolgono nel sonno non-REM, fase in cui, come abbiamo visto, a differenza del sonno REM, il corpo non è paralizzato.
Il sonnambulismo raggiunge un picco intorno agli undici anni, ma spesso crescendo la sua entità si riduce. Una crisi completa di sonnambulismo comprende avere gli occhi aperti e muoversi nel proprio ambiente con una lucidità sufficiente a evitare gli ostacoli. Le funzioni cognitive però sono compromesse e non è consigliabile svegliare un sonnambulo. Questo si trova infatti in uno stato di sonno profondo e a onde lente. La cosa migliore è proprio quella di cercare di riaccompagnare a letto la persona. I sonnambuli si svegliano senza ricordare nulla dell’episodio.
Per quanto riguarda il parlare nel sonno, diciamo che il sonniloquio è molto comune. Quasi tutti parlano nel sonno. I discorsi però sono spesso sconnessi e confusi, e difficilmente hanno un senso compiuto.
I terrori notturni invece possono essere davvero drammatici. Sono più comuni nei bambini di 5-7 anni e sono diversi dagli incubi, più vividi e complessi e generati nel sonno REM. L’esperienza vissuta è molto vivida e intensa e non sembra un sogno. Ne consegue un panico incontrollabile, accompagnato da forte incremento del battito cardiaco e della pressione sanguigna. Questi episodi scompaiono con l’età e non sono sintomi di disturbi psichiatrici.
Ritmi circadiani e orologi biologici
Il termine “ritmi circadiani” deriva dal latino circa, “approssimativamente” e dies, “giorno” e indica un ciclo giornaliero di luce e buio che consegue alla rotazione terrestre. Gli animali e l’uomo regolano il proprio comportamento sulla base di questi ritmi, la cui organizzazione varia tra le specie. In effetti, alcuni animali sono più attivi di giorno, mentre altri sono più notturni. Anche i processi fisiologici del corpo, come la produzione di urina, i ritmi del metabolismo e la crescita dei capelli aumentano e diminuiscono con i ritmi giornalieri. Sembra che nell’uomo la propensione a dormire aumenti quando la temperatura del corpo diminuisce.
I ritmi circadiani si basano su e sono aiutati dagli indizi del mondo esterno, come la luce e il buio o i cambiamenti di temperatura. Questi stimoli esterni sono denominati zeitgebers (in tedesco vuol dire “che scandiscono il tempo”). Quando i mammiferi sono privati degli zeitgebers i cicli di alternanza tra attività e riposo sono di circa 24 ore. In una ricerca sugli esseri umani, alcune persone hanno soggiornato in grotte profonde in cui erano totalmente deprivati di zeitgebers. I cicli di questi soggetti sperimentali si regolavano inizialmente intorno alle 25 ore. Dopo alcune settimane, però, la loro attività iniziava a espandersi liberamente su periodi lunghi anche 30-36 ore. I cicli sonno veglia potevano stabilirsi su un’alternanza di 20 ore di veglia e 12 di sonno.
Comportamento e fisiologia, ad ogni modo, non sempre coincidono. Negli esperimenti di isolamento, infatti, la temperatura corporea e altri indici fisiologici cambiano lungo cicli di 24 ore, anche se le persone sono tenute sveglie per più tempo (per esempio, 28 ore). La desincronizzazione è importante perché può ridurre la qualità del sonno e il benessere. Ne è un esempio la sindrome da “jet-lag”, quando forziamo il nostro corpo a improvvisi cambiamenti del ciclo sonno-veglia. Qui la cura migliore, secondo gli studiosi, è esporsi a luce intensa, in modo da risincronizzare gli orologi biologici.
La narcolessia
La narcolessia è un disturbo bizzarro, permanente e invalidante, del sonno e della veglia. È un disordine che può includere varie manifestazioni, tra cui:
- Sonnolenza eccessiva durante il giorno. Può condurre ad attacchi di sonno indesiderati, ed è per questo che è pericolosa. Chi ne soffre può cadere all’improvviso in uno stato simile al sonno REM.
- Paralisi del sonno. Nel periodo di transizione tra sonno e veglia si è colti da una perdita del controllo muscolare. La persona rimane cosciente ma incapace di muoversi o parlare per diversi minuti.
- Allucinazioni ipnagogiche. Sono sogni vivaci e spesso terrificanti, che si verificano nella fase iniziale del sonno e possono seguire la paralisi.
- Cataplessia. Una paralisi muscolare improvvisa spesso causata da forti espressioni emotive come riso, pianto, sorpresa, eccitazione sessuale. Dura meno di un minuto.
La narcolessia si verifica anche in alcuni animali come capre, pony, asini e cani (Youtube è pieno di video che testimoniano questo fenomeno, ve ne segnaliamo un paio scientificamente validi: qui e qui). La narcolessia canina e quella dei topi è stata imputata a una mutazione di un gene particolare, responsabile della ricezione dell’ipocretina. Questa, anche conosciuta come oressina, ed è un elemento chimico rilasciato dai neuroni dell’ipotalamo, una struttura tra i due emisferi cerebrali, che tra le altre funzioni ha anche quella di regolare il sonno. I cervelli delle persone narcolettiche hanno circa il 10 per cento della normale quantità di neuroni contenenti ipocretina. Il motivo per cui accade questo potrebbe essere legato a qualche processo autoimmune.
La narcolessia non ha una cura, ma può essere trattata per attenuarne i sintomi. Sonnellini frequenti possono mitigare la sonnolenza durante il giorno, mentre gli antidepressivi triciclici (che riducono il sonno REM) sembrano utili per ridurre cataplessia e paralisi del sonno.
[NdR Gli studi di questo articolo sono riportati e spiegati in modo più ampio nel libro “Neuroscienze. Esplorando il cervello”, di di Mark F. Bear, Barry W. Connors, Michael A. Paradiso, reperibile a questo link]
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(6 Novembre 2019)