Psichiatria

Gli antidepressivi: quali sono e come funzionano

Gli antidepressivi sono un gruppo di farmaci che trovano impiego nel trattamento soprattutto dei disturbi depressivo-ansiosi. Vediamo quando vengono prescritti, e come funzionano.

Gli antidepressivi: quali sono e come funzionano

Gli antidepressivi sono un gruppo di farmaci, utilizzati per il trattamento di diverse condizioni psichiatriche, in particolare dei disturbi ansioso-depressivi.

Si tratta di una classe composta da farmaci molto diversi tra di loro e con differenti meccanismi d’azione. 

Il dottor Cipriani, psichiatra e psicoterapeuta del Santagostino, fa chiarezza sull’argomento, spiegando cosa sono gli antidepressivi, quando devono essere impiegati e per quali disturbi.

Cosa sono gli antidepressivi?

Gli antidepressivi sono psicofarmaci, costituiti da diverse famiglie di molecole. Il loro scopo è quello di trattare i disturbi depressivi, i disturbi d’ansia e il disturbo ossessivo-compulsivo

Nonostante la terminologia comune di “antidepressivi”, in realtà si tratta di farmaci d’elezione nel trattamento a medio e lungo termine dei disturbi di ansia, al contrario degli ansiolitici (benzodiazepine), che invece andrebbero riservati a un utilizzo temporaneo e molto limitato nel tempo (4-8 settimane al massimo) della sintomatologia ansiosa. 

Gli antidepressivi sono farmaci privi di potenziale di dipendenza o assuefazione e hanno la funzione di aumentare sia il livello di resilienza a situazioni stressanti, sia di migliorare alcune dimensioni psicopatologiche spesso presenti nei disturbi ansioso-depressivi, quali:

Come funzionano gli antidepressivi? Meccanismo d’azione

Il meccanismo d’azione degli antidepressivi differisce notevolmente in base alla molecola utilizzata. In generale, si tratta di molecole progettate per migliorare il funzionamento dei neurotrasmettitori implicati nella sfera affettiva, tra cui serotonina, noradrenalina e, a volte, dopamina

In seguito a predisposizione biologica e, talvolta, a situazioni vissute in modo particolarmente traumatico, il funzionamento di alcuni network cerebrali, in parte modulati da questi neurotrasmettitori, può essere compromesso. Questo può determinare l’insorgenza di disturbi dell’umore o di ansia.

L’effetto di inibizione della ricaptazione della serotonina è stato da molto tempo ritenuto uno degli effetti chiave di questi farmaci, ma ultimamente sembrerebbe non costituirne il meccanismo fondamentale. La ricaptazione della serotonina, nello specifico, si sostanzia in una maggiore biodisponibilità di questo neurotrasmettitore nello spazio intersinaptico, tra un neurone e l’altro, ed è un meccanismo comune a molti antidepressivi.

Nel 2022 è stata completata una revisione della letteratura scientifica molto ampia che ha fatto emergere come, in realtà, non vi sia alcuna evidenza che gli individui affetti da depressione abbiano ridotti livelli di serotonina o alterazioni del suo sistema recettoriale. Tuttavia, non vi è dubbio sull’efficacia degli antidepressivi. Questo dipende probabilmente dal fatto che oltre all’inibizione della ricaptazione della serotonina, gli effetti degli antidepressivi sono molto complessi e coinvolgono l’attivazione di numerosi fattori trascrizionali che, a livello del nostro DNA, portano a:

  • Un miglioramento della neurosinaptogenesi (creazione di nuovi collegamenti tra neuroni)
  • Una riduzione dell’atrofia neuronale (che può occorrere in diverse condizioni)
  • Al miglioramento del microbiota intestinale.

Che effetti fanno gli antidepressivi? 

L’effetto ottenuto in seguito a somministrazione di antidepressivi dipende dalla molecola utilizzata. In linea generale, questi farmaci, quando correttamente utilizzati:

  • Migliorano la resilienza individuale (la capacità di tollerare e gestire alcune situazioni ambientali o interne) 
  • Aumentano la capacità di progettazione
  • Riducono la componente ansiosa (si pensi per esempio all’ansia sociale o al disturbo da attacchi di panico
  • Aumentano l’energia vitale per affrontare le situazioni quotidiane e i progetti di vita. 

Questo avviene, come già accennato, senza effetti di dipendenza, al contrario invece di quanto capita con le benzodiazepine.

Quali sono gli antidepressivi?

Gli antidepressivi si differenziano in:

  • SSRI (inibitori della ricaptazione della serotonina), tra cui escitalopram, paroxetina, fluoxetina 
  • SNRI (inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina), come venlafaxina e duloxetina 
  • DRI (inibitori della ricaptazione della dopamina) 
  • Multimodali (trazodone e vortioxetina)
  • Triciclici (clomipramina, amitriptilina, etc.)
  • IMAO (inibitori delle monoamminaossidasi)
  • Antagonisti del recettore NMDA: esketamina e memantina.

In realtà, anche all’interno della stessa sottofamiglia, queste molecole si differenziano enormemente in base al loro specifico profilo farmacodinamico, variabile a seconda dei recettori verso i quali mostrano maggiore affinità. Possiamo, ad esempio, avere molecole con un profilo più attivante, perché con azione inibente la serotonina o la dopamina. Altre hanno, invece, un effetto più ipnoinducente o sedativo.

Quali sono gli antidepressivi più efficaci? 

Nella storia dei trials farmacologici, ogni farmaco messo in commercio ha dovuto superare uno studio di non inferiorità rispetto ad alcune molecole precedenti. 

Tuttavia, è innegabile che i triciclici e gli IMAO facciano parte di una famiglia significativamente più potente di farmaci, che però trovano una limitazione a causa di una loro minore tollerabilità. 

Questo è il motivo per cui da linee guida internazionali ha senso iniziare una terapia antidepressiva con farmaci maggiormente tollerabili, per passare eventualmente ad altre molecole più potenti in un secondo tempo, qualora la prima o la seconda scelta non dovesse funzionare. 

Si deve inoltre tenere conto del fatto che il paradigma dell’antidepressivo, come unico farmaco per migliorare l’umore o l’ansia, non è più così attuale. La letteratura internazionale, nonché la pratica clinica, hanno infatti dimostrato che altre classi di molecole, appartenenti alla famiglia degli antipsicotici atipici oppure degli stabilizzatori dell’umore, presentano, a certe dosi e per certi farmaci, uno spiccato effetto antidepressivo o ansiolitico, per cui spesso vengono affiancati con successo a una terapia con antidepressivo.

Quando è necessario prendere gli antidepressivi? 

Gli antidepressivi sono farmaci da assumere quando la condizione di ansia, depressione o sintomatologia ossessiva sono tali da compromettere il funzionamento sociale, lavorativo o personale dell’individuo. 

Ogni scelta farmacologica deve sempre essere orientata dai lavori scientifici che sono stati effettuati in precedenza. Da alcuni studi, è emerso che l’antidepressivo è un farmaco efficace per i suddetti disturbi, senza indurre dipendenza o assuefazione. La psicoterapia e la farmacoterapia hanno entrambe dimostrato un’efficacia in queste condizioni, ma le due strategie combinate portano a una efficacia maggiore.

Esistono antidepressivi naturali?

Sì, esistono degli antidepressivi naturali, basti pensare all’iperico, spesso utilizzato tra le popolazioni teutoniche. È necessario però ricordare che l’utilizzo di fitoterapici spesso è sostenuto da un’evidenza scientifica inferiore e, soprattutto, può presentare significative interazioni, nel caso di politerapia, ed è gravato da un metabolismo epatico molto più impegnativo e meno prevedibile rispetto alla terapia farmacologica. 

L’utilizzo di fitoterapici a dosi efficaci non deve trarre in inganno apparendo una scelta più “soft” in quanto si tratta di preparati che non seguono gli stessi protocolli di purezza e prevedibilità dei farmaci e che molto spesso hanno una quantità di interazioni che ne sconsigliano l’utilizzo rispetto a un farmaco approvato.

Come si sceglie l’antidepressivo più adatto a un paziente?

La scelta dell’antidepressivo specifico per una persona, quindi in qualche modo la personalizzazione della cura, a livelli molto basilari si basa proprio sulla valutazione delle collateralità del determinato farmaco. 

Fermo restando la necessità di iniziare da molecole più tollerabili (SSRI e SNRI), in base alla sintomatologia del paziente si può aderire il più possibile alla sintomatologia riportata. Per spiegare meglio il concetto, si può fare l’esempio dell’insonnia. Se un paziente ha problemi a prendere sonno, può avere senso optare per un antidepressivo che vada ad agire anche sull’istamina, o che sia un anticolinergico o un antiadrenergico. Se invece è presente astenia e ipersonnia, forse sarebbe meglio evitare questo tipo di profilo farmacologico, anche se in realtà si è sempre all’interno della stessa sottofamiglia di antidepressivi. 

Per questo, nella scelta della terapia farmacologica, è sempre fondamentale avere ben presenti i sintomi riportati dal paziente e il profilo farmacodinamico e farmacocinetico della molecola che si vuole scegliere.

Quali sono gli effetti collaterali? 

Nessun farmaco, anche solo per il significato etimologico della parola stessa, è privo di possibili effetti collaterali. Questo vale per qualsiasi molecola, che si tratti di farmaci antinfiammatori, antibiotici, terapie anticoncezionali o farmaci psichiatrici o neurologici. 

Le collateralità possono dipendere dal fatto che si tocchino i recettori target (che comunque in corso di problematiche psichiatriche hanno già una loro compromissione) o che vengano coinvolti altri recettori “collaterali” che poco hanno a che fare con la terapia, ma che comunque vengono attivati con affinità inferiore. 

Tralasciando i possibili effetti avversi iniziali (nausea, tremori, giramenti di testa etc.) che si risolvono solitamente in pochi giorni, possono essere presenti anche collateralità a medio o lungo termine che dipendono dalla molecola scelta. 

Un’attenta scelta iniziale dell’antidepressivo può evitare che si verifichino gli effetti più temuti: incremento ponderale, sedazione etc.; ma non può comunque scongiurare che possano verificarsi altre situazioni come ad esempio: anorgasmia ed eiaculazione ritardata. Risulta quindi fondamentale che la scelta del farmaco sia effettuata in base alle caratteristiche:

  • Anamnestiche: familiarità e precedenti assunzioni 
  • Situazionali: stati di gravidanza o di sovrappeso/obesità
  • Cronologiche: c’è una importante differenza nella risposta e nell’adeguatezza del farmaco nell’adolescenza, nell’età adulta o nella senescenza, nonché in base al sesso.

Come possono essere gestiti gli effetti collaterali?

Alcuni effetti collaterali dei depressivi possono essere semplicemente gestiti cambiando il farmaco. Non sempre la molecola scelta ha gli effetti desiderati e tanto meno è sempre tollerata ugualmente. Quindi se dovessero comparire delle collateralità verosimilmente attribuibili all’antidepressivo scelto, anziché aggiungere farmaco su farmaco per risolvere i problemi insorti, è solitamente meglio fare un passo indietro e cambiare molecola.

Per quanto riguarda, invece, le rare collateralità che non possono essere evitate nemmeno con il cambio di molecola, allora queste possono essere minimizzate con accorgimenti ambientali o, al più, con interventi endocrinologici o internistici.

Bisogna sempre tenere conto che, così come quando si è affetti da ipertensione, disturbi della tiroide, o altre condizioni mediche, l’alternativa all’assunzione della terapia non è stare bene ma è comunque vivere in una condizione di disagio. Per questo è sempre fondamentale soppesare i rischi e benefici di quanto si va ad assumere.

Come capire se si ha bisogno di psicofarmaci?

Parlare di psicofarmaci è come trattare di un mare magnum di molecole con azioni e collateralità totalmente differenti, quindi non bisogna generalizzare.

Cercando di semplificare la risposta, lo psicofarmaco è utile, spesso affiancato – ma non sostitutivo – alla psicoterapia, quando il disagio psicologico è tale da impedirci di affrontare le normali situazioni di vita, sia esse sentimentali, lavorative o sociali, o anche solo individuali.

Una buona farmacoterapia non causerà mai dipendenza o assuefazione e, anche se con il tempo dovesse smettere di funzionare (effetto drop-out) sarà sufficiente modificare la strategia terapeutica.

Raccomandazioni utili

Limitandosi esclusivamente in questo contesto alla trattazione dei disturbi ansioso-depressivi, è importante che la terapia raggiunga la piena remissione della sintomatologia e che, da quel momento in poi, venga continuata per un tempo sufficiente per consolidare i network positivi e indebolire quelli legati alla sofferenza. 

Solo così si può incrementare le probabilità che, una volta sospesa, i disturbi per i quali è stata assunta possano non verificarsi più in futuro. 

Trattandosi di terapie che raggiungono una loro efficacia solo dopo diverse settimane di costante assunzione, a volte è necessario avere un po’ di pazienza perché eventuali piccole collateralità iniziali possano scomparire. Solitamente è fondamentale affiancare al percorso farmacoterapico un percorso psicoterapeutico, che possa continuare anche una volta sospesa la terapia farmacologica.

È importante che, qualsiasi sia la terapia antidepressiva intrapresa, questa venga prescritta e monitorata a livello specialistico, in quanto ci sono delle situazioni non remote (almeno 1 persona su 100 nella popolazione globale) in cui la terapia antidepressiva non dovrebbe essere impostata senza prima avere impostato un’adeguata stabilizzazione.

L’incremento di energia indotta da queste molecole, infatti, anziché portare a una situazione di benessere, potrebbe portare a un’eccessiva attivazione, tensione interna o addirittura a episodi maniacali. Come tutte le terapie, insomma, è necessario che vengano effettuate delle adeguate valutazioni, ma per lo più si tratta di farmaci estremamente sicuri ed efficaci, che possono essere utilizzati con successo in alcuni momenti della vita di maggiore sofferenza.