Negli ultimi anni sono aumentate molto le offerte formative in discipline come mindfulness e meditazione. Ma queste tecniche sono davvero utili per la crescita personale? Per capirlo è necessario parlare del Default-Mode Network, che spiega cosa succede nel cervello quando non siamo impegnati in alcuna attività specifica.
Il Default-Mode Network, ovvero la “Modalità di base” del cervello, consiste in un insieme di circuti neurali specifici (corteccia prefrontale mediale e cingolo posteriore), che si attivano insieme quando non siamo impegnati a svolgere compiti specifici. Per farla semplice, queste aree cerebrali sono poco attive quando siamo impegnati a fare qualcosa, come per esempio cucinare o svolgere semplici attività manuali, mentre sono molto attive quando non facciamo niente e lasciamo l’attenzione fluttuare, o per esempio quando siamo a casa senza fare niente e ci annoiamo. Il picco di attività di queste aree si raggiunge, poi, quando pensiamo a noi stessi. Alcuni autori sostengono che il Default-Mode Network svolga una funzione specifica nell’elaborazione del proprio Sé, ovvero della propria identità e storia personale. A questo proposito, il filosofo Daniel Dennet sostiene che in queste aree cerebrali costituiscano il centro dell’esperienza soggettiva.
Tra meditazione e nuove tecnologie
Cosa ci dice, questo, sul tempo di oggi e sul modo di recepire la quantità di informazioni che ci arrivano dalla rete?
Quello che sembra importante recuperare, difficile da trovare, è uno spazio elaborativo, entro il quale far sedimentare la mole di informazioni che occupano di continuo la nostra attenzione. Tornando alla questione del Default-Mode Network: il vantaggio di permanere in un momento di “sosta cognitiva” o vuoto, è quello di promuovere movimenti associativi a livello di reti neurali, e favorire l’elaborazione delle proprie esperienze e della propria storia di individui unici. In assenza di questa possibilità, di questa pausa, forse rischiamo di limitare la nostra crescita personale. Cosa vuol dire? Vuol dire che ci stiamo abituando sempre più a saltare da uno stimolo cognitivo all’altro, tra smartphone, tv e una società che fornisce continuo e costante intrattenimento. Forse rischiamo di non concederci la possibilità di trovare questi momenti di “fluttuazione” cognitiva, necessaria all’elaborazione di ciò che capita dentro e fuori di noi. Rischiamo di eliminare, o quantomeno ridurre il potere, del “default-mode”, la cui attività può invece aiutare ad associare, rielaborare, lasciar sedimentare. In effetti, ciò che succede quando il Default-Mode Network è attivo è per certi versi simile al lavoro che si fa in una psicoterapia.
Come ritrovare uno spazio di elaborazione personale
Dove troviamo, oggi, i “dispositivi di pensiero”, o gli “spazi elaborativi” necessari a promuovere questo lavoro associativo? Di fatto, la tecnologia non ce ne offre in pratica nessuno. Occorre guardare altrove; proviamo a fare qualche esempio:
- pratiche di mindfulness;
- suonare uno strumento musicale, una delle attività più associative ed efficaci in termini di “training” in assoluto;
- lettura prolungata e immersiva;
- contatto prolungato senza distrazioni con la natura;
- psicoterapia;
- ozio creativo, ovvero obbligarsi a “non fare nulla” per un tempo prolungato, “attendendo”, come quando si pesca;
- dedicare del tempo allo sport.
L’idea che la mente, per produrre di più, debba saper “fluttuare”, sembra contro-intuiva; in realtà è molto naturale se pensiamo a quanto idee brillanti, associazioni, vecchi ricordi che conferiscono un senso a quanto nel momento presente ci accade, collegamenti inaspettati, nascano dal nostro saper fluttuare o aspettare. Ovvero, abbiamo bisogno di “spazi” protetti per poter darci il giusto tempo di riflettere e trasformare “l’esperienza in saggezza”. In questa rivoluzione digitale solo ai suoi inizi, questi spazi acquisiranno sempre più valore, divenendo indispensabili. Nel disordine generato da un sovraccarico di informazione, dovremo cioè saperci ritagliare degli spazi dedicati al “lavoro di associazione”, protetti dal resto, come scrivanie vuote nel contesto di laboratori artigianali caotici e dedicati alla creazione e al “fare”.
(21 Maggio 2019)